Tra le realtà più interessanti emerse dal panorama musicale italiano in tempi recenti, senz'altro troviamo El Topo, una band che inizialmente era un duo, poi si è allargata sia nell'organico che nelle nobili ambizioni musicali. Ne abbiamo recensito l'ultimo lavoro, "Pigiama Psicoattivo", che ci ha colpito assai favorevolmente. Abbiamo quindi raggiunto il chitarrista e compositore Adriano Lanzi, che gentilmente ci ha concesso questa intervista.
Adriano, anzitutto complimenti davvero per il tuo disco nuovo. Un lavoro complesso e intelligente. Hai difficoltà a proporre live la musica di El Topo?
Raccolgo i complimenti, grazie, e li giro al gruppo. Faccio da portavoce, e ne gestisco la maggior parte delle dichiarazioni pubbliche, ma per carità, il disco non è "mio", è il disco di El Topo, i cui pezzi sono composti da un duo (Omar Sodano con il sottoscritto), suonati e arrangiati da quattro persone, inclusi Andrea Biondi e Francesco Mendolia. Certo è anche "mio", è molto "mio", è una creatura anche mia... Le difficoltà che possiamo avere, eventualmente, con alcune strutture, promoter eccetera possono avere a che fare con la non immediata "catalogabilità" della nostra proposta. Per qualcuno magari siamo troppo jazz, per certi jazzofili troppo rock, per gli appassionati di radicalismi a tutti i costi, che godono autoflaggellandosi come i frati nel Medioevo, potremmo persino essere troppo easy, e ti dico, è un bene: insistiamo nel proporre El Topo come qualcosa di più fruibile, meno ostico di quanto si potrebbe pensare, nonostante gli evidenti tratti sperimentali e il fatto che chiaramente non proponiamo musica che definiresti "commerciale", ma musica strumentale con molti momenti di improvvisazione.
Domanda ovvia quanto inevitabile. El Topo after Alejandro Jodorowsky?
Sì, è un omaggio trasparente a Jodo. Con Omar avevamo già intitolato "El Topo" un pezzo del nostro precedente disco in duo. Il pezzo ora è trasmigrato nel repertorio live del quartetto.
Il sound della tua chitarra è molto moderno e personale. Si sentono comunque le tue influenze. Quali sono i chitarristi che ti hanno maggiormente ispirato?
Grazie! Per l'ispirazione potrei farti gli stessi nomi che piacciono a molti altri. In generale faccio riferimento a musicisti, non solo a chitarristi.
Per la chitarra un elenco molto parziale di strumentisti che ammiro comprenderebbe Richard Thompson, John Fahey, Sonny Sharrock, Fred Frith, Philip Catherine e tanti altri. Approfitto, visto che parliamo di chitarra, per una precisazione. Nella recensione di "Pigiama Psicoattivo" mi attribuisci anche gli "slides". Non sono io! Mi dai un bottleneck in mano e al massimo faccio macchie di colore, sssssdooooingg, senza cognizione di causa. Se rileggi le note stampa, ti accorgi che sono opera di Mike Cooper, altro musicista che adoro, tra i protagonisti del British blues revival degli anni 60 e poi dell'improvvisazione radicale, che vive a Roma da 20 anni e ci ha onorati della sua collaborazione, con la generosità e con l'umiltà che sono proprie dei più grandi. Lui è veramente un maestro nel controllo del bottleneck e nelle tecniche slack key delle Isole del Pacifico.
Raccontaci la storia di El Topo e di come la band, da te e Omar, si sia poi allargata...
El Topo è effettivamente nato dal duo Lanzi & Sodano. Con Omar abbiamo condiviso varie esperienze, colonne sonore di corti e documentari, workshop improvvisativi in cui ospitavamo i musicisti più diversi e ne registravamo le session, fino a un album per la Klangbad, etichetta di Hans-Joachim Irmler dei Faust. Dopo un certo numero di concerti in duo, la formula non ci bastava più, per mille motivi, ma soprattutto non ci bastava a rendere con efficacia, credibilmente, la complessità e la vena quasi orchestrale di certe nostre composizioni. Abbiamo tentato varie collaborazioni con validi musicisti che tuttavia non sono sfociate in nulla di stabile.
Un assetto interessante si è delineato con Andrea e Francesco, sia dal punto di vista artistico che da quello umano. Il loro apporto, progressivamente, si è fatto consistente e continuativo, sia nelle proposte di arrangiamento che nel coinvolgimento personale, a vario titolo, nel progetto. A quel punto non eravamo più un duo con degli ospiti, e abbiamo denominato il quartetto El Topo proprio per delinearlo come gruppo e separarlo con chiarezza dal discorso del duo.
Andrea Biondi asseconda sia la deriva jazz che quella classico-contemporanea: suona vibrafono e percussioni, abbastanza schizofrenicamente, finché gli regge il fisico, in contesti abbastanza lontani tra loro, dalla PMJO a Ars Ludi (un ensemble di percussionisti contemporanei che lavora soprattutto sui minimalisti americani), da Luigi Cinque a Ennio Morricone & Roma Sinfonietta. Francesco Mendolia si muove anche lui con grande agilità dal jazz al funk (e li fonde anche, nel suo bel gruppo Sun Energy) dall'elettronica (collabora con il compositore Mino Freda, che tra le altre cose ha curato la colonna sonora dell'ultimo Monicelli) a un mare di turni in ambito rock, pop e soul che qui non ti sto a elencare.
Una volta registrato il quartetto, abbiamo raccolto i contributi degli ospiti. Di Mike ti ho già detto, immediatamente dopo abbiamo catturato il suono di Riccardo Lay, storico contrabbassista della scena etno-jazz e improvvisata italiana e internazionale, anche lui generoso - e improvvisatore fantastico e ispirato, capace di entrare nel senso di un pezzo al primo o al massimo al secondo ascolto - sebbene in questo periodo stia ridiscutendo la sua esistenza e suoni molto poco.
Poi è arrivato il contributo di Amy Denio, cara amica, e "collaboratrice" nata, nel senso che è piena di energia e da 25 anni non si nega a collaborazioni in ambito indipendente e underground che possono ancora darle stimoli artistici diversi. Purtroppo Amy non era a Roma quando stavamo registrando, quindi il suo apporto è stato "in differita" (ci siamo spediti i vari file di riferimento) ma credo azzeccatissimo, sia per il sax che per la fisarmonica che per i brevi inserti di voce, quei sovracuti estremi... Infine, Anadi Mishra, vecchio amico e collaboratore del duo, è tornato a suonare l'udu drum su "Telegraph Dakar". A quel punto la frittata non era ancora proprio fatta, cioè missata e cotta a puntino, ma avevamo tutti gli ingredienti.
Tornando alla chitarra elettrica, quale è il tuo set oggi?
Col gruppo, a parte il campionatore, suono una Les Paul, che però mi ha stancato. Fisicamente! E' una chitarra meravigliosa ma pesantissima, per non sentire il peso la dovrei tenere o inguinale, cioè da metallaro, oppure ascellare... Due posizioni non proprio comode per suonare correttamente. Quando la metto all'altezza giusta, dopo mezz'ora mi piega la gobba. Comunque la chitarra passa attraverso un filtro completamente analogico della Moog, controllato anche con un pedale d'espressione, e all'occorrenza è bagnata nel delay. L'ampli è un vecchio Polytone, con uno switch a pedale per il canale overdrive. E' tutto.
La traccia "Scelsi" mi ha colpito particolarmente. Un omaggio al compianto Giacinto?
Ovviamente. La figura di Scelsi mi ha sempre incuriosito. E' stato rivalutato dopo la morte, ora è addirittura "di moda" in certi ambienti, ma non credo ancora completamente compreso, decifrato. Ha avuto, in un modo assolutamente personale, delle intuizioni enormi sulla natura del suono, e la cosa che lo rende modernissimo è proprio questo accento, nella composizione, sulle caratteristiche del suono in sé piuttosto che sulla "struttura". Questo almeno nella sua produzione matura. Chi ha avuto il privilegio di incontrarlo racconta di uno strano uomo, ipersensibile - e ciò era un bene per la sua arte e una difficoltà per lui nel quotidiano, pare - che vedeva se stesso, dalla sua casa di Via di San Teodoro, a Roma, come sul crinale esatto tra Oriente e Occidente, tra tradizione arcaica e modernità.
"Crew’N’C’", con un tuo solo di lunare, cupa bellezza. Sento quasi un sound alla Marc Ribot qui...
Può darsi. Ribot è un altro chitarrista che mi piace, come quelli citati più sopra, perché è un anti-retorico, come anche per esempio Phil Miller (Matching Mole, Hatfield & The North...). Tutta gente che quando suona non ti dice "ascoltami perché sono bravo", anche se magari è gente bravissima. Strappa le note al loro destino e ti dice, "Ascoltami perché sto suonando, ed è l'unica cosa che posso fare, che devo fare". C'è una differenza enorme! Nel mio piccolo, anch'io al mio meglio suono in questo modo. Sodano potrebbe dirti le stesse cose applicate al basso, sono sicuro.
Che mi dici del progressive?
Niente... :-)
Progetti per il futuro?
Concerti, il più possibile. E, personalmente, la cura di me stesso.
Dimmi i 10 album che porteresti con te sull'isola deserta.
No, aiuto, questa è una cosa che odio profondamente, anche perché dopo dieci minuti ti darei una lista diversa. Per il valore che può avere, di getto e senza alcun ordine di preferenza, provo ad arrivare a dieci titoli. "Domino" di Roland Kirk. "The Singles" di Sun Ra, una raccolta fatta qualche anno fa, sorprendente, paradossale, con il suo materiale più "accessibile" dagli anni 50 agli anni 70 (come monito rispetto all'esigenza di cui ti ho detto all'inizio, per cui sperimentazione, anche estrema, non dovrebbe dire alienarsi il pubblico: e guarda che Sun Ra quando voleva essere ostico lo era fino in fondo, senza paura). Il "Voyage d'Hiver" di Schubert, nella versione Philips con Dietrich Fischer-Dieskau alla voce e Alfred Bendel al pianoforte. La Prima Sinfonia di Mahler diretta da Mitropulos. "71 Minutes Of Faust" dei Faust. "Leige & Lief" dei Fairport Convention. "Axis: Bold As Love" di Jimi Hendrix. "Brilliant Corners" di Monk. "Sei minuti all'alba" di Enzo Jannacci. "Sulle Corde di Aries" di Franco Battiato. Tra dieci minuti, nessuno di questi.
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