Enzo Carella

Enzo Carella

Un irresistibile outsider

intervista di Marco Bercella

"Ahoh yé nanà è un titolo nato dalle interiezioni, dai sospiri, dai coretti, dalle meraviglie, dalle vocali, dalle sospensioni, dalle attese, dalle decisioni prese, dalle smorfie della voce, dai versi che fanno il verso, dagli ah, oh, uh della vita sparsi nel canto". Ho sotto gli occhi  questa frase immortalata sul retro copertina del nuovo album di Enzo, quando alzo il ricevitore per fare la chiacchierata telefonica di cui vi darò conto. Una frase che promette una vita vissuta sotto le insegne di semplici emozioni che non fanno rima con banalità, quelle insomma che il Carella musicista ha saputo trasferirci con una proverbiale e mai superata leggerezza. E' l'antitesi del lasciarsi vivere che si conferma da quanto esce dalla nostra mezz'ora al telefono: onestà e trasparenze fuori dal tempo, una gran voglia di parlare di sé come artista, ma anche come uomo alle prese con la sua quotidianità. Un uomo che ha fatto della coerenza artistica e della linearità i suoi vessilli, e che ci racconta un po' di sé in questa intervista esclusiva.

Enzo, ascoltando "Vocazione", che è del 1977, si ha la sensazione di qualcosa arrivato troppo presto per il suo tempo, qualcosa di difficilmente catalogabile. Un'inedita commistione fra la scuola progressive italiana, cantautorato e musica black, con l'aggiunta dei testi assolutamente unici di Pasquale Panella. Ci racconti un po' di quel periodo, di come hai iniziato? Come hanno fatto a prendere piede idee così particolari e così moderne?
Ti ringrazio per i complimenti, e inoltre vedo che ti ricordi benissimo tutto. Sai, né io né Pasquale avevamo intenzione di fare dischi, men che meno di entrare nello show business. In realtà volevamo semplicemente unire parti di sue poesie con le mie canzoni. A quei tempi suonavo nelle cantine coi miei amici il rock dei Led Zeppelin e di Jimi Hendrix, mentre lui faceva teatro d'avanguardia alla maniera di Carmelo Bene. Fu così che cominciammo, trovando anche un produttore discografico che ci fece incidere il primo singolo, "Fosse vero".

Ti hanno affiancato dei grandi musicisti italiani, da Pignatelli dei Goblin a Elio D'Anna degli Osanna. Come hai fatto ad aggregarli attorno a un progetto così particolare?
Beh, i produttori credevano molto in me, e perciò hanno sempre chiamato i migliori musicisti a suonare con me nei dischi. Sai, consideravano la mia musica come qualcosa avanti di dieci o vent'anni rispetto a quella in circolazione...

...E ti posso garantire che è così! Anche ascoltando il tuo nuovo disco si ha la sensazione di qualcosa di estremamente moderno, eppure il tuo stile è sempre quello di 30 anni fa. Insomma, sei il nostro Donald Fagen, peccato che siamo in Italia e non negli Stati Uniti…
Caspita, Donald Fagen mi piace tantissimo, è un accostamento davvero lusinghiero, mi fa molto piacere che tu la pensi così.

Le tue canzoni di allora suonano ancora straordinariamente fresche e attuali: trovo che nella tua musica sia del tutto assente la seriosità che caratterizzava quel periodo (e certamente la banalità di certa musica leggera che faceva da contraltare). Un sound sì impegnato, ma spensierato allo stesso tempo. Oggi i nuovi cantautori fanno a gara a non prendersi sul serio, perciò ti domando:  c'è qualcuno fra di loro in cui ritrovi il tuo modo di fare musica?
Guarda purtroppo io non sento molta musica, quindi non saprei. Certo, ogni tanto alla radio sento qualcuno che forse si è ispirato a qualche mia canzone, ma davvero non ti saprei dire chi, come, o quando...

...Non sei dunque quel che si dice un ascoltatore attento...
Assolutamente no, anche se dovrei ricominciare, perché ascoltare musica è importante, per tenersi aggiornati. Però ecco, negli ultimi anni non me ne sono interessato affatto.

Se dico che i tuoi tre primi lavori rappresentano una sorta di raccordo fra il Battisti dell'era Mogol e quello successivo, da "Ancora tu" a "Don Giovanni" insomma, è un'affermazione che ti disturba o che ti lusinga?
Mi lusinga, perché Battisti è stato un grande cantautore. Essere accomunato a un cantante del genere è solo un onore, perché Battisti è stato Battisti, era il numero uno: lui si differenziava davvero da quelli che tu hai definito cantanti seriosi. Anch'io, da questo punto di vista, avevo una certa allegria nel proporre le mie canzoni, in un periodo in cui i cantanti si presentavano con qualche mossetta qua e là, in maniera molto simile fra loro.

Parlare dei testi è d'obbligo. Raccontaci di come lavori con Pasquale Panella. Come si concretizza la vostra collaborazione? Suppongo che sia tu a mandargli i brani e su questi poi lui ci scrive i testi. E' una sensazione che ricavo anche sentendo i lavori con Battisti in cui, ad eccezione di "Don Giovanni", sembra che accada il contrario. Sbaglio?
Non sbagli. Dopo l'esperienza di "Don Giovanni", in cui Battisti mandava a Pasquale le canzoni su cui lui poi scriveva i testi, a partire dal secondo disco e fino alla fine, era Panella a mandare i testi a Lucio affinché li mettesse in musica. Ti confesso che non mi è piaciuto come Battisti ha lavorato su quei testi, secondo me non li ha saputi musicare bene...

...E' anche più difficile ritagliare delle melodie intorno a testi già fatti...
Si, in parte è come dici tu. Nel mio caso, ho quasi sempre scritto le canzoni e Pasquale ha poi aggiunto le parole, ma è capitato anche il contrario, come ad esempio in "Malamore".

Ho un'età tale per cui ricordo abbastanza bene l'edizione di Sanremo del '79. Fu per molti versi un'edizione surreale, piena zeppa di debuttanti e priva di primedonne. Tu arrivasti secondo con quello splendido pezzo che è "Barbara", ma la sensazione che mi desti fu quella di un folletto giunto su quel palco da un altro pianeta. Non c'entravi proprio nulla! Raccontaci di quell'esperienza...
Sanremo fu un'esperienza incredibile. Nonostante all'inizio cercassi di rimanerne emotivamente fuori, fui subito preso dal clima che vi si respirava. Iniziai a farmi assalire dalla tensione, mi perseguitavano mille dubbi su come avrei cantato, o se fossi riuscito a fare bella figura, roba da psichiatra, insomma! E invece andò tutto davvero per il meglio, e questo mi restituì una sensazione bellissima. Se poi consideri che giunsi secondo ("Ma "Barbara" se la ricordano ancora in molti, mentre quella che vinse non se la ricorda più nessuno", aggiunge con una punta di comprensibile orgoglio), fu davvero una gran festa.
Non avrei mai creduto di provare simili sensazioni partecipando a un festival come quello di Sanremo, visto che lo snobbavo, non lo seguivo più di tanto. Però una volta che ci sei dentro ti prende, c'è poco da fare.

Hai smesso di fare dischi per molto tempo all'indomani di "Sfinge", forse il tuo miglior album. Cosa ti ha spinto ad abbandonare le scene?
Dopo Sanremo si passa a in una dimensione del tutto nuova, perché inizi a vendere i dischi e, di conseguenza, senti sulle spalle la responsabilità di un'industria che investe su di te, che ha certe aspettative e che per questi motivi ti mette addosso una grossa pressione. Un clima per nulla adatto a me: ho sempre suonato in tutta tranquillità per il gusto di suonare, per passione e per amore della musica. Così capii di sentirmi a disagio in quella situazione e perciò ho cominciato a disamorami, distaccandomi subito dopo.

Dopo che hai fatto? Come hai trascorso gli anni successivi?
Ho continuato a suonare per passione, sono tornato nelle cantine e nelle sale prove, da dove ero venuto insomma. Nutro un grande amore per la chitarra, così ho ripreso a fare il chitarrista. Poi, siccome ho fatto certi studi, ho svolto dei lavori un po' come architetto, ma poca roba. Ho iniziato a vivere normalmente, come tutti, a fare tutte quelle cose che il mestiere del musicista mi aveva impedito di fare prima, anche se adesso mi è tornata la voglia di occuparmi solo di musica. Il mio rientro è stato accolto molto bene, specie dai musicisti che incontro durante le manifestazioni a cui partecipo. Forse è dovuto al fatto di aver abbandonato le scene in un momento in cui avevo ancora successo: pare che molti abbiamo percepito quest'aspetto, e che per questo la gente mi stimi ancora.

Nel frattempo hai messo su famiglia, hai avuto figli?
No, non ho figli. Ho avuto delle storie d'amore, delle compagne. Una di queste aveva una bambina nata da una relazione precedente, perciò ho provato per alcuni anni anche l'esperienza di essere, come dire... "mezzo padre".

La domanda da giornale dei pettegolezzi era funzionale a chiederti se avresti eventualmente appoggiato un figlio che avesse voluto intraprendere la carriera musicale, specie alla luce della tua esperienza artistica così articolata...
La musica è innanzitutto una passione, e se ce l'hai è davvero difficile dissuaderti! Certamente il mestiere del cantante, specie ora con l'avvento dei computer, è diventato davvero poco remunerativo, quindi da questo punto di vista non sarei favorevole. Tuttavia, se dovessi vedere del talento e della passione, credo che lo incoraggerei, visto che la musica è come un amico fedele, è qualcosa che hai dentro, è una compagnia solo tua e  qualcosa che nessuno ti può levare.

Parliamo di "Ahoh yé nanà" e di Pasquale Panella che l'ha prodotto. Com'è avvenuto il nuovo contatto? Parlaci del nuovo disco, di com'è nato, da quanto tempo ci lavori...
E' nato perché man mano che scrivevo nuove canzoni le mandavo a Pasquale, e lui il giorno successivo puntualmente mi telefonava entusiasta di quei brani. Insomma, ne è rimasto davvero conquistato, così spero che anche la gente la pensi come lui, vorrebbe dire che ha avuto successo. Comunque, "Ahoh yé nanà" è frutto di esperienze diverse, ho cercato cioè di cimentarmi in diversi generi musicali, dalla world music, al rock, dal folk al funk...

...Trovo che sia più funky di ogni altro tuo disco precedente...
Sì, me l'hanno già detto. In ogni modo, ho cercato di avere un approccio che definirei totale con la musica e nell'album ho messo tutto quello che avevo.

Suppongo che tu abbia lavorato molto con la tecnologia, ti trovi a tuo agio con il digitale? Io, ad esempio, trovo che sia molto comodo,  ma che tenda a uniformare il sound, specie se ci si fa prendere la mano...
In effetti, oggi ci si imbatte in ottimi arrangiamenti, ma spesso all'appello mancano i pezzi. Ciò detto, non mi trovo affatto a mio agio con i computer, se dipendesse da me vorrei sempre suonare con gli strumentisti. Il problema è che per motivi economici questo non mi è stato possibile, e quindi ho fatto ricorso alla tecnologia. Con tutto che io non mi ci avvicino nemmeno, dato che mi limito a suonare e a farmi registrare, però trovo che la tecnologia proponga un suono troppo squadrato, standardizzato, mentre io sono decisamente più black ed emozionale. Vorrei sempre suonare con i ragazzi, è tutto più naturale, ma il problema è che poi bisogna pagarli tutti (ride)! Così alla fine "Ahoh yé nanà" l'ho prodotto, arrangiato e mixato interamente con Fabio Raponi, che suona le tastiere, mentre io mi sono occupato della chitarra e del basso.

Hai in programma dei concerti?
Voglio fare assolutamente una tournée, tanto che sto pianificando la cosa con Fabio e con gli altri amici che suonano con lui.

(31 luglio 2007)

Si ringraziano Ivano Rebustini e Fabio Russo

Discografia
Vocazione (IT, 1977)

8

Barbara e altri Carella (IT, 1979)

7,5

Sfinge (RCA, 1981)

8

 Carella De Carellis (antologia, IT, 1992)

6,5

 Se non cantassi sarei nessuno (L'Odissea di Panella e Carella, 1995)

7

 Enzo Carella (doppio cd, antologia, BMG Ricordi, 2004)

 

 Ahoh Ye Nànà (Sony BMG, 2007)

7

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