Cappellaio matto in un modo di ragionieri grigio fumo, Enzo Carella resta ancor oggi, a 46 anni dal sorprendente esordio a titolo “Vocazione”, tra i gioielli meglio custoditi di un’Italia musicale che non (ri)conosce i propri tesori. La formula carelliana, un pop-rock con velature funk e dettagli prog, rilascia nell’ascoltatore attento motivi di gioioso dadaismo, irresistibile non-sense e, negli episodi migliori, una malinconia mai adagiata sui luoghi comuni abusati dal cantautorato istituzionale. Il sodalizio con il genio di Pasquale Panella, Poeta maiuscolo successivamente coniugatosi nei leggendari album bianchi di Lucio Battisti, ha coniato cinque album da studio creativamente discontinui ma sempre animati da una strabordante creatività. Se le pietre miliari vengono identificate normalmente in “Barbara e altri Carella” (1979) e “Sfinge” (1981), l’ultima prova discografica, nel nuovo millennio, “Ahoh ye nanà”, contiene una manciata di brani d’una bellezza commovente, frenati appena da line-up e produzione non all’altezza delle prove precedenti. Divenuto negli ultimi due decenni autore cult per uno sparuto gruppetto di cantautori incapaci, come ovvio, di replicarne l’unicità, Enzo non ha avuto il piacere di gustare il dolce sapore della rivalsa, morendo per un attacco cardiaco nel febbraio 2017.
N.B. L’intervista a seguire, datata 10 aprile 2014, è rimasta inedita fino a oggi a causa di un bisticcio incorso tra Carella e il sottoscritto. Ho deciso di pubblicarla dopo aver ritrovato una nostra conversazione social in cui mi scrisse “Comunque le mie risposte alla tua intervista puoi pubblicarle benissimo!”.
Enzo, c’è un motto che riassume la tua vita fino a oggi?
Nessun motto. Diciamo, volendo riassumere, che faccio di testa mia, ma dopo aver ascoltato molto gli altri.
Come accadde l’incontro con Panella?
Lino mi fu presentato dal mio manager: vennero direttamente a casa mia con il testo per “Fosse vero” e mi piacque da subito il suo modo insolito di scrivere e parlare, anche se dentro di me ebbi qualche dubbio sulla possibile reazione del pubblico medio italiano. Comunque accettai con piacere la sua collaborazione, convinto che quelle parole avrebbero nobilitato la mia musica. Da allora si è sviluppata anche una sincera amicizia: è una persona molto seria, di grande sensibilità e intelligenza.
Della sua poetica come paroliere, cosa t’incanta?
Quando scrive per me, mi va bene in tutto, sono il suo primo ammiratore. Per quanto riguarda gli altri cantanti e compositori, beh, non so nemmeno con chi abbia collaborato, a parte Battisti.
Tra i testi più funambolici che ha scritto per te, c’è un verso che proprio non capisco; in “Solitudine vera” canti, se l’udito non m’inganna, “Mi scubidai tra me”.
Il riferimento è a quei portachiavi e braccialetti fatti intrecciando dei fili colorati, che andavano molto negli anni 90, te li ricordi? Si chiamavano, appunto, scoubidoud. Era un modo per dire che il protagonista si era incasinato con le sue stesse mani.
Quali compositori del passato ascolti ancor oggi con immutato piacere?
Jimi Hendrix, Beatles, Rolling Stones, ma la lista potrebbe continuare all'infinito perché da giovane ero fan di almeno un centinaio di gruppi. Vado avanti?
Perché no?
The Who, Led Zeppelin, Cream, Black Sabbath, Byrds, Bob Dylan, Free, Taste, Yardbirds, Animals, Beach Boys, Frank Zappa, Yes, Genesis e Peter Gabriel, Steely Dan, Donald Fagen, Weather Report, i bluesmen neri, il jazz. Pensa a tutte le band inglesi e nordamericane degli anni 60 e 70 e, sì, ci sono buone probabilità che io sia un loro fan!
Ai tempi di “Vocazione” quali erano le tue preferenze in ambito funk?
James Brown, Earth Wind and Fire e tutta la black music, in generale.
Come vuoi ricordare Vincenzo Micocci, fondatore della storica casa discografica It?
La It fu la prima etichetta con cui pubblicai, una realtà piccola ma mitica. Ai tempi era lui il mio “capo”, una persona eccezionale, un grande intenditore di musica, un vero artista nel suo lavoro. Mi ha dato tanti di quei consigli e insegnamenti… li ho conservati gelosamente, nella mia attività di musicista. Era una specie di padre, per me. Ripenso spesso a lui e alla sua enorme personalità.
Che ricordi della registrazione di “Sfinge”?
Dopo il successo sanremese passai alla Rca, oggi Sony Music, che mi impose una nuova line-up per il mio primo Lp con loro. Rimasi un po’ deluso perché ero affezionato ai Goblin, la band che suonò nei miei dischi precedenti. Ma poi quando conobbi la nuova formazione (Fabrizio Milano, Gianni Guarracino, Fabrizio D'Angelo e l’inglese Anthony R. Walmsley) e sentii come suonava, mi rasserenai completamente; tutti avevano idee molto chiare e ne risultarono dei bellissimi arrangiamenti.
Quale fu il ruolo del produttore Elio D’Anna, altra eccellenza di un’Italia che oggi sembra semplicemente inarrivabile?
L’apporto di D’Anna, coi suoi magici fiati, fu straordinario. Ma che dico straordinario? Favoloso! Per dirla alla romana, “maggico”!
Qual è il tuo rapporto con lo studio di registrazione?
Creativo. Alcune cose sono già preparate ma la maggior parte sono frutto d'improvvisazione. Prima di iniziare la jam session parlo molto coi musicisti, faccio loro sentire cassette con un abbozzo di arrangiamento che ho preparato da solo e poi li spingo a mettercela tutta, secondo il loro estro e gusto personale. Banalmente, più sono bravi e migliore sarà il disco. Una volta terminato di registrare le basi musicali e i vari assoli, rimango solo io a cantare, con fonico e produttore dall'altra parte del vetro. E sono sempre presente anche nella delicata fase di missaggio.
Qualcosa nell’album del ‘95 “Se non cantassi sarei Nessuno” non funziona a dovere…
Magari un pezzo sarà venuto meno bene di un altro, ma nel complesso sono più che soddisfatto. Avrebbe potuto funzionare meglio se ci fossero stati più soldi per produrlo, perché è stato realizzato in grande economia, ma, detto questo, per me resta bellissimo. Ci sono ancora più attaccato rispetto ad altri album, forse perché ho dovuto curare in prima persona gli arrangiamenti.
Qual è la canzone alla quale sei più affezionato ma che il pubblico non ti chiede in ambito live?
Guarda, ho fatto talmente poche serate live nella mia carriera che non so proprio quali pezzi la gente potrebbe chiedermi. Ma spero di colmare presto questa lacuna. Anche ai tempi della It non c’era una grande organizzazione in questo senso. Sai, pianificare una serie di live vuol dire provare per almeno un mese e dunque investire dei soldi e perciò... a ogni modo, tornando al discorso del repertorio, pur essendo affezionato a ogni mio brano, forse ho un debole per quelli dal sapore vagamente progressive, come “Vocazione”, “Carmè” e “Sentimenti”, quelli cioè che hanno richiesto una creatività speciale per essere composti e una spiccata perizia per essere suonati.
Lo scrittore Lawrence Durrell azzardò: “La musica è stata inventata per confermare la solitudine umana”.
Vero è che quando componi una canzone sei solo, preso esclusivamente dai tuoi pensieri e dalla tua fantasia. Però per me la musica conserva anche un fortissimo potere aggregativo. Ai concerti tantissime persone si riuniscono, condividendo una specie di amore collettivo. Eppoi se vedi una donna e c'è la musica, dopo poco ti ci puoi trovare abbracciato, magari a ballare. La musica ha il potere di modificare la società, come è avvenuto negli anni 70. Oggi come oggi pare invece che abbia perso questa capacità. Quindi, in definitiva, direi che con la solitudine non c’entra molto.
Tornando ai giorni del Sanremo 1979, cosa ti impressionò?
Mi colpì la voglia che avevano i cantanti di sopraffarsi l'un l'altro. Sembrava che fossero lì per prendere parte a una battaglia e non per cantare.
In un mondo ideale quali sarebbero le caratteristiche imprescindibili per svolgere il mestiere di discografico?
Ce devi capì dde musica! Perché molti fanno i discografici, ma non ci capiscono un tubo.
Cos’ha impedito a un singolo squisito come “Oggi non è domani” di finire al primo posto delle classifiche e come spieghi invece il successo dei singoli di, a esempio, un Neffa?
No comment.
Andiamo sull’extra-musicale: qualità che ti conquistano in una donna?
L'intelligenza, la femminilità, la grazia. Mi fa impazzire come si muovono, come ridono, la leggerezza delle ballerine classiche. La voce da usignolo delle cantanti liriche. Ma anche quelle che fanno atletica o pattinaggio o ginnastica artistica. Amo le donne in tutte le loro manifestazioni. Uh, dimenticavo le mamme e quelle che c'hanno i cani e i gatti. Insomma le amo quasi tutte a parte quelle troppo aggressive.
Cosa ti getta nella disperazione?
Vedere l’Italia governata da politici come quelli attuali.
E la crisi creativa della musica nostrana nell’ultimo decennio?
Personalmente, se penso ai decenni passati, non nutro grandi ricordi di un periodo d’oro della musica popolare italiana: se guardi con attenzione un programma revivalista tipo Da Da Da noterai che anche negli anni 70 il livello qualitativo che passava dalla tivù era comunque medio. E in questo senso mi sono sempre sentito un pesce fuor d’acqua. L’Italia, con alcune eccezioni, mi ha spesso annoiato.
I tuoi difetti più evidenti?
La pigrizia. Non sono capace di lavare i piatti o per terra e di tenere in ordine casa.
Quali sono le tue principali stravaganze?
Dicono che gli artisti sono gli stravaganti per eccellenza. Ecco, io lo sono in tutto.
Quali sono i tuoi scrittori favoriti?
I greci, tipo Saffo, e i romani antichi. Vado avanti?
Ti prego.
Majakovskij, Rimbaud, Shakespeare, Wilde, Lee Masters, Emily Dickinson, Dostoevskij, Anna Achmatova. Oltre alla letteratura m'ispirano anche la pittura, l'architettura, la danza, gli animali e la natura in generale.
Pensi che il mondo sia un posto tutto sommato piacevole?
Il mondo è bellissimo. Peccato che sia sempre rovinato da politici più o meno corrotti.
Quali sono i compositori che ti piacciono ma che anche un tuo fan della prima ora non potrebbe sospettare?
Il primo De Gregori, il primo Battiato, Fabrizio De André e Paolo Conte.
Quali sono le caratteristiche che più ti impressionano favorevolmente in un brano musicale?
Al primo posto c’è la melodia, poi il ritmo.
Possibile un risollevamento del music business italiano?
Sì, ma con metodiche diverse da quelle attuali. Il pubblico deve capire che un disco richiede un investimento economico. In questo senso una possibilità come Musicraiser, ad esempio, mi sembra una soluzione interessante che potrei anche utilizzare in futuro.
Qual è l’aspetto più straordinario nell’essere un artista?
Che alcune persone ti ringraziano perché con la tua musica gli hai fatto passare dei bei momenti. Che alcuni ti applaudono, che altri ti scrivono delle email di complimenti. E poi si acchiappa più facilmente, no?!
(10 aprile 2014)
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Oltre il muro di cinta del pop
"Ahoh yé nanà è un titolo nato dalle interiezioni, dai sospiri, dai coretti, dalle meraviglie, dalle vocali, dalle sospensioni, dalle attese, dalle decisioni prese, dalle smorfie della voce, dai versi che fanno il verso, dagli ah, oh, uh della vita sparsi nel canto". Ho sotto gli occhi questa frase immortalata sul retro copertina del nuovo album di Enzo, quando alzo il ricevitore per fare la chiacchierata telefonica di cui vi darò conto. Una frase che promette una vita vissuta sotto le insegne di semplici emozioni che non fanno rima con banalità, quelle insomma che il Carella musicista ha saputo trasferirci con una proverbiale e mai superata leggerezza. E' l'antitesi del lasciarsi vivere che si conferma da quanto esce dalla nostra mezz'ora al telefono: onestà e trasparenze fuori dal tempo, una gran voglia di parlare di sé come artista, ma anche come uomo alle prese con la sua quotidianità. Un uomo che ha fatto della coerenza artistica e della linearità i suoi vessilli, e che ci racconta un po' di sé in questa intervista esclusiva. |
Vocazione (IT, 1977) | 8 | |
Barbara e altri Carella (IT, 1979) | 7,5 | |
Sfinge (RCA, 1981) | 8 | |
Carella De Carellis (antologia, IT, 1992) | 6,5 | |
Se non cantassi sarei nessuno (L'Odissea di Panella e Carella, 1995) | 7 | |
Enzo Carella (doppio cd, antologia, BMG Ricordi, 2004) | ||
Ahoh Ye Nànà (Sony BMG, 2007) | 7 |
Barbara (live dal Festival di Sanremo, 1979) |
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