Lisa Hannigan

Lisa Hannigan

Connessioni emotive e trame sonore

intervista di Stefano Bartolotta
A un mese circa dall'uscita del suo terzo album, Lisa Hannigan è venuta a Milano per fare attività promozionale e abbiamo avuto il piacere di incontrarla. Le sue risposte rappresentano un punto di vista privilegiato per quanto riguarda tutto ciò che sta dietro a questo ritorno, tra la stretta collaborazione con Aaron Dessner e l'importanza di non separare mai la componente strettamente tencica da quella umana e emotiva.

L’ultima volta che ti ho vista è stata a Milano, quando eri in tour con Glen Hansard. Penso che ci fosse una chimica speciale tra voi due sul palco, quindi so che ora avevate entrambi un disco solista e un tour da fare, ma mi chiedevo se ci fosse l’idea di mettere questa chimica in qualche registrazione in futuro.
Oh, non so. Glen è la prima persona che ho visto che mi ha fatto pensare che avrei effettivamente potuto voler fare la cantante su un palco e cantare i miei brani. Ricordo che, durante il concerto, lui aveva un’armonica e gli è caduta dentro una pinta di Guinness piena, e lui semplicemente l’ha bevuta! Non avevo mai visto una tale passione in niente prima di quel momento ed è stato davvero eccezionale per me. Poi, dopo tante altre cose, è stato bellissimo fargli da spalla in tour e guardarlo ogni sera. Abbiamo in realtà già registrato diverse cose insieme nel corso degli anni, ma sono sempre disponibile a registrare con lui, è uno dei miei preferiti ed è una persona adorabile. È sempre bello incontrarlo.

Parlando del suono dei tuoi tre dischi, penso che ci sia un percorso, nel senso che il secondo parte da quello che avevi fatto nel primo per fare qualcosa di diverso, e anche in quest’ultimo c’è qualcosa che proviene dal precedente e anche qualcosa di ulteriormente diverso.
Penso che tu abbia ragione, e forse questo percorso potrà davvero continuare. Questo disco ha qualcosa di particolare in esso, però, in generale, penso che sia tutto basato sul processo di effettuare una performance e sentirsi più a proprio agio nel farlo, e anche l’essere più onesti con se stessi. Forse, nel primo disco, mi sentivo quasi imbarazzata nell’essere così onesta, ma poi diventa più facile, anche grazie al fatto di andare in tour, e questo disco dà l’idea di essere molto personale, voglio dire, sono tutti personali, però ora sono più anziana e chiunque ha un cambiamento lungo il corso di tutti quegli anni. Ci sono molte cose più cupe in questo disco, perché diventando anziani, ci sono diverse cose che entrano a far parte della tua vita e credo che qui ci sia un mix di tutte queste cose.

A proposito delle storie che racconti nell’album, ho letto nel comunicato stampa che “Prayer For The Dying” è dedicata a un parente di una tua amica che, purtroppo, è scomparso. Però, ascoltando o leggendo semplicemente il testo, non si riesce a capire per chi è la canzone. Ci sono altri testi che hanno una storia dietro di loro?
Tutte le canzoni sono personali, parlano di situazioni difficili, ciò vale ovviamente per quella canzone, ma tutte derivano da qualcosa, vuoi che ti parli di una canzone in particolare?

Sì, avevo programmato di dirti che di solito chiedo agli artisti qualcosa sulla mia canzone preferita, ma stavolta non sono riuscito a trovarne una, quindi forse ce n’è una di cui tu vuoi parlare.
Penso che la canzone più importante del disco, anche per il lavoro che ci ha messo Aaron Dessner, sia “Ora”. Non ero certa di cosa sarebbe accaduto nella mia vita, temevo che sarebbero arrivati tempi difficilissimi, e ho ricevuto una mail da lui in cui mi chiedeva se volessimo scrivere qualcosa assieme, e io ho detto di sì. Quindi mi ha mandato la sua musica, era lunga quattro minuti, e io mi registravo mentre ero a casa, poi mi fermavo per fare altro, tipo il bucato, e poi ricominciavo a cantare e registravo. Ricordo che, con “Ora”, ero a Londra e mi mancava casa. Avevo motivi validi per essere lì, però ricordo che, mentre cantavo su “Ora” “sto andando a casa, sto andando a casa”, mi sentivo come se non fossi sulla giusta strada, che mi fossi perduta, come quando affronti qualcosa di più grande di te. Quella canzone è così immediata e facile, e sento ancora che è molto importante per il disco e per il momento in cui eravamo nella fase di realizzazione. Ci sono tanti elementi in essa, e la parole sono molto personali, e poi tutte le trame sonore, sento che è una canzone molto importante per me.

Mi hai appena dato un esempio di come inizi a scrivere una canzone, ma mi chiedevo, inizi mai semplicemente da una melodia?
No, mai. Passo semplicemente un po’ di tempo a borbottare fino a quando non ho una linea da cui iniziare, e la melodia e il testo arrivano sempre insieme. Per questo disco, quando mandavo ad Aaron quello che avevo scritto, mi dava sempre un responso positivo, così, ad esempio, non dovevo preoccuparmi del fatto che io non sono una chitarrista molto brava.

E poi ho letto che hai registrato il disco in sette giorni.
Beh, io ho fatto la mia parte in sette giorni, io, Aaron, un bassista e un pianista, a New York in questa bellissima chiesa, ma poi, io sono tornata a casa e Aaron stava lavorando su centinaia di dischi, penso che stesse lavorando su otto dischi diversi, ricordo che uno era dei Frightened Rabbit. Per cui, se aveva un giorno libero, chiamava degli amici a suonare sul mio disco, quindi ci sono voluti un paio di mesi per fare tutto quello che serviva, tutte le trame, e lui mi mandava mail in cui mi chiedeva cosa pensassi di una certa cosa e io dicevo sempre che suonava una meraviglia e ringraziavo. Avevo tutte queste parti nella mia casella mail e arrivavano a distanza, cosa positiva perché così potevo ascoltare tutto con attenzione. Alla fine, ci è voluto qualche mese perché si sviluppasse compiutamente.

Abbiamo parlato di come è stato costruito il suono dell’album, ma ho l’impressione che ci siano delle novità anche nel modo in cui hai usato la tua voce.
Sì, io sento che per prima cosa sono una cantante e, nel corso degli anni, volevo davvero usare la voce come uno strumento. Su “Prayer For The Dying”, ad esempio, sento di aver cantato in modo diverso rispetto a prima. Anche la fiducia in se stessi è importante, ora sento che davvero posso usare la mia voce come uno strumento e penso di averlo fatto in quella canzone, tenendo conto di quanto fosse potente. Anche in “Lo”, ci sono diversi strati di voce, e gli alti vanno davvero bene assieme agli archi. Quindi, per prima cosa per me la voce rappresenta una connessione emotiva, ma mi piace anche pensare a essa come a un suono fisico, che possa far parte di una trama.

Stavo anche per chiederti un’altra cosa, ma non so se sia una competenza di Aaron più che tua. Notavo un lavoro molto approfondito sul ritmo nell’album, e forse mi vuoi dire qualcosa in proposito.
Una persona molto importante per questo aspetto è Ross Turner, un irlandese, ha molto talento e molta creatività. Ci sono molti musicisti che hanno interagito assieme nel disco, quindi non posso dire di averlo fatto io quel lavoro, non sono molto brava in questo. Il bassista ha fatto molte belle scelte, e anche Aaron ovviamente. Per cui, è tutto merito dei musicisti.

In questo disco non c’è un momento da canto collettivo come “Knots”, ad esempio. Hai la sensazione che in futuro potresti avere un’altra canzone di quel tipo?
Sì, sono sicura, penso che in questo disco non ci fossero le sensazioni giuste per una canzone come quella, ma sono certa che ne scriverò almeno un’altra ancora. Forse, nel prossimo disco, saranno tutte così, chi può saperlo.

Si ritiene comunemente che si possa apprezzare in modo diverso un disco a seconda di come e dove lo si ascolti. Non sono mai stato totalmente convinto di questa cosa, però, ascoltando il tuo disco in situazioni diverse, ho avuto la sensazione di coglierlo meglio quando lo ascoltavo nel mio letto, di sera, da solo in stanza. Senti che esista una situazione ideale in cui ascoltarlo?
Sento che il disco si assocerà perfettamente con novembre. Adesso fa caldo e sento che funzionerà al meglio quando farà freddo e nevicherà. Molte delle mie canzoni preferite sono collegate a momenti come guardare il sole che sorge, o essere a casa da soli, però penso che anche mentre si guida potrebbe essere un buon momento per ascoltarlo.

Suonerai a Milano a fine ottobre, cosa possiamo aspettarci?
Tante canzoni nuove e anche tante vecchie. La band è leggermente diversa rispetto al tour precedente, ci sono più pianoforte e più synth e c’è una cantante americana, Heather Woods Broderick, che apre e poi cantiamo insieme, ha una voce davvero fantastica, quindi ci saranno tante armonie, momenti in cui si salta, non vedo l’ora.

Discografia
 Sea Sew (Barp/ATO, 2008) 
 Passenger (Hoop/Pias, 2011) 
 At Swim (Hoop/Pias, 2016) 

 

pietra miliare di OndaRock
disco consigliato da OndaRock

Lisa Hannigan su OndaRock