Le nostre valigie logore stavano di nuovo ammucchiate sul marciapiede; avevano altro e più lungo cammino da percorrere.
Ma non importa, la strada è vita.
(Jack Kerouac)
La strada è vita: parole provenienti da un mondo e un tempo sideralmente lontani, ma quanto mai appropriate a sintetizzare in un verso la romanzesca vita di Glen Hansard, cantautore irlandese dall’aspetto accogliente e dall’indole genuina; tratti caratterizzanti di un forte senso di appartenenza al suo popolo, quello di Bono Vox e Sinead O’Connor, con i quali ancora si intrattiene talvolta a suonare nei pub di Dublino per pochi fortunati.
Nel complesso firmamento della scena musicale attuale, caratterizzato dalla frenesia dei download selvaggi e dalla svendita dei talent show, esistono ancora artisti capaci di concedersi al pubblico senza barriere affettive e trarre dalla mutua condivisione emotiva una linfa vitale che travalica i confini strettamente musicali dell’arte. Glen Hansard appartiene a questa categoria in via d’estinzione, che fa sempre più fatica a emergere, schiacciata e svilita dal morbo degli ascolti compulsivi. Forte di una lunga e faticosa gavetta vissuta letteralmente in mezzo alla strada e consolidata poi sui palchi di tutto il mondo, il suo approccio live segue il solco tracciato dai grandi rocker d’oltreoceano, fonte per lui di ispirazione e riverenza.
Chi ha avuto la fortuna di assistere a uno dei concerti tenuti di recente con l’amico Eddie Vedder ha potuto toccare con mano la fama di grande performer live che lo accompagna e apprezzare lo spazio tutt’altro che marginale che il leader dei Pearl Jam gli concede ad ogni esibizione. Dopo aver calcato i sentieri lastricati e freddi delle strade di Dublino nei primi anni 80, Glen ha conosciuto la fama prematura con una parte da attore nel film “The Commitments”, ha ingoiato il dolore della caduta dopo l’effimero successo, accarezzato la gioia della rinascita fino al coronamento di un traguardo inimmaginabile anche nei sogni più belli: la vittoria di un Oscar per la miglior canzone originale per il film indipendente “Once”, in cui lui ha anche interpretato la parte del protagonista maschile. Come se non bastasse, poco dopo è arrivato il sodalizio con Vedder, assieme al quale ancora oggi infiamma le platee di tutto il mondo mandando in delirio fiumi di folla. Ma la sua impronta prima umana che artistica rimane quella di umile musicista di strada.
Come diretta da un invisibile regista-burattinaio, la sua storia reale si intreccia fino a confondersi con la finzione della rappresentazione scenica, si rincorrono e si alternano successi e cadute mentre la sua crescita artistica è caratterizzata da un susseguirsi di lotte dualistiche tra i miti di Eros e Thanatos, ovvero le pulsioni primordiali dell’amore e della morte.
Le origini
La strada ti insegna tutto. Ti insegna che per farti ascoltare devi amare quello che fai, devi crederci, e i soldi che la gente ti lascia sono solo una conseguenza dell’attenzione che ti danno, e che ti devi guadagnare. Ti insegna a cantare, a usare le dinamiche della chitarra e della voce, ti insegna a coinvolgere il pubblico.
(Glen Hansard)
Nato nel 1970 da genitori irlandesi, all’età di soli tredici anni, Hansard decide di lasciare la scuola per seguire la sua unica vera passione, iniziando come busker a Grafton Street, Dublino, senza un soldo in tasca ma sospinto dal suo innato amore per la musica e dal costante appoggio della famiglia. Il rapporto diretto col pubblico e l’urgenza della condivisione tracceranno in maniera indelebile un imprinting artistico che non lo abbandonerà mai più per il resto della carriera. Presto si farà conoscere per le sue doti di grande intrattenitore: i suoi show sono immediatamente apprezzati dal pubblico che si raccoglie attorno a lui e il suo nome inizia a farsi strada tra i pub e le vie della capitale. Grazie ad anni di risparmi e all’aiuto dei genitori riesce a racimolare denaro a sufficienza per confezionare e produrre 50 demo inizialmente destinati a amici e parenti. Fortuna vuole che uno di essi finisca nelle mani di tal Denny Cordell della Island Records, che lo porta all’attenzione del fondatore dell'etichetta Chris Blackwell. Glen riesce a strappare un contratto con la label irlandese; forte di questo piccolo traguardo economico, decide di fondare i Frames: un gruppo alternativo che guarderà al nascente astro del mondo britpop con il mito di Van Morrison nelle vene. La formazione comprende il chitarrista Dave Odlum, il cantante Noreen O'Donnell, il bassista John Carney, il violinista Colm Mac Con Iomaire e il batterista Paul Brennan e fa il suo debutto in un festival musicale irlandese nel settembre 1990, ma è destinata a rimanere nell’anonimato ancora per altri 5, lunghi anni.
Il prematuro esordio sul grande schermo: “The Commitments”
L’esperienza con i Frames appena fondati subisce infatti una brusca battuta d’arresto perché quando il grande schermo chiama non ci si può tirare indietro. Soprattutto se a chiamare è Alan Parker, regista di grande successo grazie a molte opere plasmate e fondate sulla musica.
Poco più che ventenne, Glen viene scelto per recitare parte del chitarrista squattrinato nel film “The Commitments” (1991), tratto dal romanzo di Roddy Doyle. Al momento prende con poco entusiasmo l’ingaggio: la band protagonista della pellicola ripete come un mantra la propria missione di portare il soul a Dublino; la dieta sarà: “James Brown a colazione, Otis Redding a pranzo, Smokey Robinson a cena e Aretha per gli spuntini fuori pasto” e l’urlo di battaglia: “Gli irlandesi sono i più negri d'Europa, i dublinesi sono i più negri di Irlanda e noi di periferia siamo i più negri di Dublino, quindi ripetete con me ad alta voce: sono un negro e me ne vanto!”. Il giovane non è convinto, teme un prematuro distacco dalle proprie origini, ha paura di perdere la propria autenticità e identità culturale.
Ma il film ha un successo planetario, diventa un vero e proprio cult generazionale dei primi anni 90. In un’intervista successiva affermerà: "Il film è stato una esperienza meravigliosa, molto facile. Eravamo a Dublino, ci si alzava alle sette del mattino, si lavorava tutto il giorno e si tornava a casa. E c'era una macchina a prenderci la mattina, quindi è stato facile. È stata una gioia". Ma la gioia, e purtroppo anche i soldi finiranno presto: nel corso delle celebrazioni per il 25° anniversario del film, Glen ammetterà: "Per qualche ragione penso che ci siamo sentiti tutti un po' bruciati, non da Alan o dalla compagnia cinematografica o da qualcuno in particolare, ma dall'esperienza troppo precoce, eravamo troppo giovani per questo tipo di esperienza".
La storia dei Commitments nella finzione del grande schermo finisce con i due chitarristi a chiedere soldi suonando per le strade e così anche nella realtà Glen Hansard dovrà presto accettare un lavoro in un bar di New York per risanare le lacrimanti casse dei Frames. “Ho un bisogno disperato di denaro. Non sono diventato uno di quei musicisti che vivono nel lusso mentre tutti si occupano delle loro necessità. Comunque, preferisco lavorare in questo modo piuttosto che cercare di scervellarmi per capire come fare i soldi con la musica, lasciando che il business prenda il sopravvento”.
La crescita artistica: The Frames
Il primo disco dei Frames, Another Love Song, uscito nel 1992, paga lo scotto, ingenuo quanto comprensibile, dell’esigenza di avere quanto prima abbastanza materiale per potersi esibire dal vivo. “Vedevo solo un palco immenso e un sacco di gente. Io, la mia chitarra, le mie canzoni […] Volevo come produttore il tizio che si era occupato di ‘Surfer Rosa’, ma neppure sapevo come si chiamasse. Conoscevo i Pixies, e mi piaceva da impazzire quel disco”. Il disco sarà prodotto da Gil Norton, lo stesso dei successivi lavori del gruppo di Boston, ma risulterà alla prova dei fatti un fiasco su tutta la linea, sia commerciale che musicale. La produzione di stampo garage-punk mal si combina con l’inclinazione folk del gruppo che paga altresì l’inesperienza a confrontarsi con lo studio di registrazione. Al disco manca una direzione precisa: di seguito Glen ammetterà: “Stavo facendo un errore di base volendo incidere un album rock come primo disco, perché non sapevo come si facesse a scrivere canzoni rock. Non erano parte del mio vocabolario, a quei tempi”.
Dopo essere stati scaricati dalla loro etichetta, i componenti del gruppo si leccano le ferite e continuano a registrare e a esibirirsi. Il 1995 è l’anno di uscita di Fitzcarraldo per l’etichetta ZTT di Trevor Horn. Finalmente si delineano le future coordinate musicali del gruppo: la sensibilità poetica di Hansard si fonde con un sound più robusto ed efficace: ne esce un brillante album orchestrale tra cui spicca la title track, un’avvolgente cavalcata paesana in omaggio al film di Werner Herzog che le dà il titolo.
Se Fitzcarraldo è il disco più amato dai fan, per chi scrive l’apice artistico dei Frames è il successivo album Dance The Devil… uscito nel 1999: il gruppo scopre una rafforzata attitudine rock, l’approccio stilistico si rivela più personale e marcato. Il lavoro regala il miglior singolo della band, “Seven Day Mile”: un’accorata e vibrante dedica all’ex-bassista Graham Downey andatosene per divergenze artistiche; il tema dell’allontanamento e della distanza viene trattato con un’enfasi interpretativa e musicale che si sprigiona a ondate, ritraendosi per brevi tratti di alterazione ritmica fino al trascinante e memorabile crescendo melodico finale. Segue, per un'accoppiata da ko, “Pavement Tune” brano di chiara ispirazione punk che sfoggia un potentissimo groove iniziale e un ritornello arioso e cantabile basato su un sapiente gioco di sovrapposizione voce-chitarra. Il disco è senza dubbio un gioiello nascosto della musica irlandese degli anni 90 da riscoprire e valorizzare; la band continua a riscuotere un ottimo successo in patria, rimane però semi-sconosciuta all’estero.
Molto validi anche i due album successivi, entrambi per la nuova etichetta Plateau Records: For The Birds e Burn The Maps, usciti nel 2001 e nel 2004. I due Lp estrinsecano le anime parallele della band: il primo mette in mostra l’aspetto delicato e malinconico dei Frames, il secondo sprigiona un robusto ed energico rock molto muscolare. Dopo essersi guadagnata uno spicchio di fama anche all’estero, la band tiene una serie di concerti in Europa e alcuni live in Nord America; a questo periodo risale il suo unico disco dal vivo, Set List (2002), una summa della discografia del gruppo portata sul palco. Forse a Glen inizia a stare stretta l’etichetta di “artista bravo solo dal vivo”, forse la sua esperienza con la band sta giungendo al suo termine fisiologico; fatto sta che la band prende la discutibile decisione di realizzare in presa diretta quello che sarà il disco del congedo, The Cost (2006). Il risultato è l’appiattimento di canzoni che successivamente segneranno invece la carriera di Glen, come “Falling Slowly” e “When Your Mind's Made Up”. La svolta di Hansard suggella il congedo dai Frames e la creazione sempre più marcata del progetto The Swell Season con Markéta Irglová, il primo dei due incontri chiave della sua vita artistica.
L’incontro con l’amore: The Swell Season
Il destino che porterà a compimento il primo sodalizio artistico di Glen inizia a tessere le sue trame nel lontano 2001: i Frames vengono invitati a un festival musicale in Repubblica Ceca. Il leader del gruppo conosce il precoce talento della tredicenne Markéta Irglová, figlia dell’organizzatore del festival, e ha la possibilità di apprezzare le sue doti canore e il prematuro talento di polistrumentista. La ragazzina, infatti, spinta dal padre, aveva iniziato a 7 anni a suonare il piano e a 9 la chitarra, mostrando immediatamente doti fuori dal comune.
Un paio d’anni dopo i due iniziano a collaborare saltuariamente e Markéta fa più di una volta la sua comparsa sul palco con la band. Nel 2005, quando ormai l’esperienza con i Frames volge al termine, Glen fonda assieme a lei il gruppo The Swell Season, tenendo diversi live soprattutto nel paese della giovane. Si accorge di loro il regista ceco Hřebejk, e gli chiede di registrare alcune canzoni per il suo film “Beauty in Trouble” (2006). Nella colonna sonora compaiono i primi due brani scritti a quattro mani dagli Swell Season (“Lies” e “Sleeping”, che faranno parte del loro primo disco) e due canzoni dei Frames reinterpretate (“Star” e la celebre “Falling Slowly”).
Sciolti i legami con la band per la quale aveva dato tutto ma con cui ormai l’esperienza era giunta al capolinea, Glen inizia ad assaporare la libertà artistica; l’ispirazione d’ora in poi va di pari passo con il legame che lo unisce a Markéta, la quale dal canto suo porta in dote un bagaglio musicale di stampo neo-classico: nel frattempo, la giovane polistrumentista ha sviluppato un talento innato anche per il violino. L’alchimia sentimentale riesce a conciliare magicamente due impostazioni musicali che più diverse non si potevano immaginare. L’esordio di The Swell Season con l’omonimo album nel 2006 è profondamente permeato da una vena romantica; molte canzoni d'impronta cantautoriale sono impreziosite da limpide orchestrazioni sinfoniche d'archi e pianoforte. Dieci delicate ballate d’amore tra cui trovano spazio anche le nuove versioni di “Falling Slowly” e "Lies". Elemento stilistico caratterizzante i numerosi duetti presenti nel disco sono le splendide polifonie vocali tra il controcanto alto di Markéta e la melodia principale sempre a cura di Glen che conferiscono all'ascolto momenti di profondo coinvolgimento sentimentale. Spicca anche la splendida title track strumentale, una languida linea di violino su un profondo loop pianistico per tre minuti di pura magia.
La svolta avviene quando John Carney, ex-bassista dei Frames e ora regista indipendente irlandese, chiama Glen Hansard per collaborare alla colonna sonora del film che aveva in mente, “Once”. Glen coinvolge Markéta; complice il bassissimo budget del film, i due prendono la parte dei protagonisti. La pellicola galeotta è di chiara matrice autobiografica: un giovane di Dublino che ripara aspirapolvere e arrotonda suonando la chitarra per strada conosce e si innamora di una ragazza-madre. Lei di mestiere fa la venditrice ambulante di rose e riviste e dal loro incontro nasce un legame delicato e fragile, permeato da un profondo rispetto reciproco verso le differenti scelte di vita e le divergenti ambizioni personali. La speciale collaborazione artistica si conclude con la produzione di un disco registrato assieme ad altri busker locali, prima che le loro strade si separino di nuovo. Il tema della musica di strada, della ricerca di sé attraverso il filtro dell’anima gemella sono protagonisti di una finzione scenica che palesa un chiaro parallelismo con la vita reale. Molte scene sono girate in presa diretta all’insaputa dei passanti, alcune all’interno della casa di Glen Hansard stesso. Il film riscuote ottimi consensi dalla critica e un inatteso successo economico. La colonna sonora, distribuita dalla Canvasback Music, elemento imprescindibile della narrazione cinematografica, vede protagoniste le canzoni scritte e registrate dal duo durante il film, tra cui un paio di pezzi dei Frames.
Per i due è l’inizio di un sogno d’amore che li porterà prima a esibirsi dal vivo per ben 250 volte in tutto il mondo in due anni infine addirittura a vincere l’Oscar come colonna sonora originale, nel 2008; se volete spendere bene tre minuti del vostro tempo, guardate la sincera vena di commozione nell’espressione dei due musicisti premiati durante la cerimonia:
This is such a big deal, not only for us, but for all other independent musicians and artists that spend most of their time struggling, and this, the fact that we’re standing here tonight, the fact that we’re able to hold this, it’s just to prove no matter how far out your dreams are, it’s possible.
(Markéta Irglová)
Di nuovo, la finzione del grande schermo anticipa beffarda la realtà: le strade di Glen e Markèta si separano, lei adesso vive in Islanda dove porta avanti un proprio progetto musicale ed è madre di due bambini. Gli Swell Season fanno in tempo a lasciare un secondo disco nel 2009, Strict Joy, sulla scia del precedente ma pervaso da un sapore decadente come la loro storia d’amore. La recensione di Spin Magazine, pur dando un giudizio positivo dell’album, afferma: "Se i ruoli di Glen Hansard e Markéta Irglová nel film indie irlandese di successo ‘Once’ involontariamente hanno tessuto il racconto della loro vita reale e del loro innamoramento, il loro secondo album come Swell Season intesse la storia della loro caduta fuori da esso".
Lo scontro con la morte
Ancora una volta il destino gioca d’anticipo nella vita dell’artista di Dublino. Primo luglio 2000: al Roskilde Festival danese, presso Copenhagen, durante l’esibizione dei Pearl Jam per una tragica serie di eventi nove persone muoiono schiacciate ai piedi del palco davanti agli occhi della band. Quell’orribile evento segnerà per sempre la storia personale di Eddie Vedder, come egli stesso ha dichiarato più volte nelle interviste a seguire (si è parlato perfino di un possibile scioglimento della band, poi smentito). Dieci anni dopo, il concerto degli Swell Season al festival Mountain Winery di Saratoga, in California, è stato funestato da un terribile lutto: dopo essersi arrampicato sulla struttura del palco, un trentaduenne si è lasciato cadere da oltre sette metri d'altezza atterrando proprio vicino a Glen Hansard, che ha subito abbandonato la chitarra per cercare di prestare i primi soccorsi. Nonostante l'intervento di un medico per il giovane non c’è stato niente da fare.
Glen è distrutto dal dolore: quell’orrore si è consumato davanti ai suoi occhi e il suo aiuto non è servito. Non riesce a dormire, ma il giorno successivo il dolore è mitigato da una telefonata che cambierà la sua vita: “Quella notte è stato tutto molto pesante e il giorno dopo ho ricevuto una telefonata – ‘Ciao Glen, sono Eddie Vedder, canto in una band chiamata Pearl Jam, voglio solo sentire come stai’. Per me quella chiamata ha significato tantissimo. Mi ha parlato di Roskilde, di com’era stato male per mesi dopo quella tragedia. Abbiamo parlato per oltre un’ora. Era come se una strana benedizione stesse nascendo da una simile tragedia, e dopo quel giorno mi ha chiamato ogni giorno per quattro giorni di fila, solo per sentire come stavo e passare un po’ di tempo al telefono con me”.
Un paio di mesi dopo Hansard è di passaggio a Seattle con i suoi Swell Season e ha l’opportunità di incontrare Eddie di persona. I due passano alcuni giorni insieme, sfruttando l’occasione per incidere in studio il duetto di “Sleepless Nights”, che verrà inclusa in "Ukulele Songs". L’invito a seguirlo come spalla per alcune date del tour è solo il passo successivo. A settembre 2011 i due si trovano a calcare di nuovo lo stesso palco durante le celebrazioni dei vent’anni dei Pearl Jam che si tengono ad Alpine Valley, vicino a Chicago. Prima incantano i presenti con una struggente versione di “Falling Slowly” poi Glen duetta con Eddie su “Smile” durante il set dei Pearl Jam e partecipa come corista alla reunion dei Temple of the Dog. In seguito si recano anche in studio con Jack Clemons della E Street Band per incidere una cover di “Drive All Night”, suggellando definitivamente il rapporto di reciproca stima.
L’eterno scontro dualistico tra le spinte primordiali opposte dell'amore e della morte si è presentato nuovamente mostrando adesso il suo lato più crudele, ma l'alchimia affettiva nata dalla condivisione di un dolore è stata trasformata in energia positiva: i loro duetti live sono sempre caratterizzati da una perfetta intesa, e Glen è ancora lì, pronto ad accompagnare Eddie in capo al mondo.
La carriera solista
All’età di 42 anni Glen Hansard ha raggiunto la piena maturità artistica e può spiccare il volo da solista. Vanta ormai un discreto seguito di fan, un background artistico di alto livello e un buon contratto con l’etichetta Anti – che ha coprodotto il secondo Lp con gli Swell Season. Il primo lavoro, Rhythm And Repose esce nel 2012 ed è subito centro pieno. Il ragazzo di Dublino, svincolatosi dai sodalizi che hanno arricchito ma condizionato finora il suo cammino artistico, può dare libero sfogo alla propria ispirazione endogena; le coordinate musicali sono di chiara matrice retrò, omaggio ai suoi numi tutelari Van Morrison e Cat Stevens. Come nella migliore tradizione cantautoriale, la musica si plasma e si forgia al servizio di testi ricercati e poetici, ma il valore aggiunto sono gli arrangiamenti che sfatano il consolidato cliché voce-chitarra, grazie a calibrati innesti orchestrali, sezioni ritmiche a tratti robuste e a una produzione sapiente affidata all’esperto Thomas Bartlett.
L’album si apre con il duetto migliore del disco: una delicata ballata sul tema della speranza, un invito ad andare avanti anche quando la vita ti si rivolta contro nei modi più impensabili e crudeli. “Maybe Not Tonight” è il brano di maggior respiro dell’intero lotto: un’elegia bucolica e intimista sul tema dell’amore perduto e della difficoltà della separazione, il tormento dei ricordi che sigillano un legame indelebile. La sua voce calda e delicata si alterna a momenti musicali illuminati da una limpida chitarra solista d'alta scuola. Da subito si coglie l’intento autobiografico dell’artista, sempre in bilico tra depressione, paura di non farcela (l’accoppiata “Bird Of Sorrow”, “The Storm, It's Coming”) e certezza di poter sprigionare energia positiva anche dal male. In “Song Of Good Hope” e “High Hope” emerge forte un grido di speranza perché la priorità dell’artista rimane quella di lanciare un messaggio positivo al mondo. Glen assorbe dall’illuminata collaborazione con Markéta alcuni innesti di partiture orchestrali di matrice mitteleuropea mentre in alcune impennate vocali e musicali si sente l’eco dei migliori Frames.
In questo periodo continua a infiammare le platee di tutto il mondo con i più grandi rocker di sempre: ha l’onore affiancare sul palco Bruce Springsteen in occasione della seconda data di Kilkenny del “Wrecking Ball World Tour”, in un toccante duetto sulle note di Drive All Night, che dà anche il titolo al suo primo Ep edito nel 2013 dall’etichetta indipendente di Los Angeles, la Epitaph. La traccia portante del disco è proprio la magica e intensissima canzone estratta da The River, in un vibrante duetto con l’amico Eddie mentre al sax si esibisce proprio Jack Clemons, nipote del leggendario e compianto Big Man. Tutti i profitti delle vendite della versione digitale del singolo sono stati devoluti all’associazione Little Kids Rock, che provvede ad assicurare l’educazione musicale agli studenti delle scuole pubbliche e che Clarence Clemons seguiva di persona. L’Ep, che consigliamo di recuperare a chiunque lo avesse ingiustamente scartato, contiene altre perle di indiscussa bellezza: la successiva “Pennies In The Fountain” è un’emozionantissima e disperata invocazione all’amore. C’è spazio per un bel duetto di ritorno con Markéta e una toccante ninnananna cantata a cappella.
Nel marzo del 2015 esce il secondo Ep: It Was Triumph We Once Proposed… Songs Of Jason Molina: un doloroso e commosso tributo a un amico protagonista dell’ennesimo episodio a tinte chiaro-scure che ha segnato la vita dell’uomo/artista. Verso il finire degli anni 90, Glen Hansard conosce l’arte di Jason, allora noto con lo pseudonimo Songs:Ohia; dopo averne ascoltato un solo brano, decide di acquistare il suo primo Lp omonimo. A bordo dell’autobus che lo stava riportando a casa dopo l’ennesimo concerto ascolta l’intero album e ne rimane estasiato: "Ero così commosso dalla strana natura di queste canzoni sulla guerra civile, e questa voce che sembra provenire da uno spazio senza età, senza tempo [… ] E non ne avevo idea, era vecchio, era nuovo? In realtà la copertina non forniva alcun dettaglio, era piuttosto semplice”.
Il risultato di queste riflessioni è un gesto infantile, da fan: dopo aver trovato una casella postale nel retro della copertina, gli scrive una lettera di sincere e accorate lodi, certo di non ricevere risposta. E invece la risposta arriva pochi giorni dopo; da quel momento in poi i due intrattengono un’intensa corrispondenza fino a conoscersi personalmente, ritrovandosi più volte nella cucina di Glen a suonare. Da queste registrazioni esce uno sfortunato split, a nome di “Fade Street/A Caution To The Birds”. È un artista tutto da riscoprire, Jason, uno di quelli che dal mondo della musica ha ricevuto molto meno di quanto non abbia dato, un archetipo dell’antieroe moderno, morto in un anonimo appartamento del Midwest nel 2013, a soli trentanove anni, vittima dell’alcolismo e di se stesso. Glen lo omaggia nel migliore dei modi reinterpretando in chiave elettrica cinque brani del suo passato. Il risultato è la prova più emozionante dell’artista irlandese dal punto di vista evocativo, talmente espressiva da ricordare in alcuni passaggi le epiche cavalcate chitarristiche di Neil Young. L’ugola di Glen, potenzialmente dominante è invece equilibrata, rispettosa dell’originale, ma la sua naturale espressività vocale fa emergere i testi che svelano una sorprendente e profonda ricerca interiore. Processo che si eleva e si sublima solo assecondando la parte irrazionale di sé: l'amore.
Il successivo Lp, Didn’t He Ramble esce nel 2015 e ha il pregio di delineare in maniera sempre più netta le coordinate musicali di Hansard solista, la voglia di ritorno alle sue origini popolari con un occhio rivolto ai grandi interpreti della sua terra ed ai migliori live-performer d’oltreoceano: Bruce Springsteen ed Eddie Vedder. È un disco che lascia grande spazio agli elementi strumentali: la coda di violino in “Mccormack's Wall” scandisce il ritmo di una festa paesana celtica che è il preludio al pezzo-clou del disco, “Lowly Deserter”: una rutilante cavalcata folk che mette in mostra coraggiose partiture orchestrali d’archi e ottoni che non sfigurerebbero in un concerto della Pete Seeger Session. Nel complesso il disco è valido, forse troppo di mestiere: vi sono comunque altri momenti di pregio (“My Little Ruin”) e l’ascolto scorre gradevole. Un piccolo passo indietro rispetto al disco d’esordio, complice anche una produzione talvolta troppo patinata.
L’Ep A Season On The Line uscito nel 2016 svela un’inusuale vena blues-rock di Glen che riesce persino a riprodurre senza forzature una voce da consumato bluesman nero. Si apprezza piacevolmente un primo importante passo verso una nuova evoluzione stilistica nella carriera solista di Glen. Solo quattro canzoni, come al solito si alternano siluri terra-aria come la opening track, con svolazzanti aneliti di delicatezza pura (“Let Me In”).
Il successivo e ultimo Lp segna la definitiva emancipazione dell’artista dalle etichettature divenute ormai strette, quegli obsoleti stilemi musicali che lo legavano alla tradizione folk irlandese. Con Between Two Shores (2018) Glen Hansard porta a compimento il processo di evoluzione musicale iniziato con l’Ep precedente. Se nel passato ogni brano aveva una genesi testuale, ora è chiaro che la parte musicale è l’ispirazione di fondo, assecondata da una produzione satura di suoni multicolori e da un’orchestrazione di grande rilievo e spessore musicale. Le interpretazioni vocali del ragazzo di Dublino, colme di enfasi e trasporto anche in studio, conferiscono al lavoro a tratti l’energia del momento live. Il tentativo è il medesimo dell’ultimo fallimentare disco coi Frames, ovvero quello di trasporre su disco le emozioni del concerto, ma l’approccio è l’opposto. Il vecchio tentativo fu basato su un’impostazione lo-fi di sottrazione sonora estrema per consentire l’auto-identificazione da parte dell’ascoltatore, qui siamo di fronte a un lavoro di fino, in cui l’elemento emozionale è dato invece da un fattore aggiuntivo. I testi seguono spesso le vicende umane vissute dal cantautore, che ha appena troncato una relazione importante. Eppure lo struggente brano acustico solo voce e chitarra “Moovin’ On” lo vogliamo pensare come un omaggio a Markéta (che offre un piccolo cameo ai cori in “Your Heart’s Not In It”). Troppa nostalgia mista a rabbia ma anche a riconoscenza negli splendidi versi del testo:
Well if you've got blood in your heart
If you've got flesh on the bone
You should be playing your part here
Not rushing off all alone
We should be planning on a windfall
Instead of banging this drum
I'm tired of sitting around and waiting
I'm moving on
La purissima vena rockabilly nel cantato e il profondo giro di basso di stampo blues sono invece gli ingredienti dello splendido brano d'apertura, che vive il suo climax in un assolo di chitarra su ottoni che ricordano molto da vicino i fasti di Belushi-Aykroyd. Il capolavoro del disco, “Wheels On Fire” ha un'intro funky di Hammond che accompagnerà per tutto il brano la miglior interpretazione canora della carriera di Glen, che è capace di sciorinare falsetti, spoken e chiaro-scuri vocali da brivido. Fatta eccezione per questa webzine, l’album non è stato accolto con molto entusiasmo dal mondo musicale per ora, ma come ci insegna la vita di Glen Hansard, nulla è impossibile, nemmeno che un domani il disco possa giungere al cuore del grande pubblico.
A poco più di un anno dall’ultimo album esce il quarto Lp da solista, preceduto dal singolo “Fool's Game”: una chiara dichiarazione d’intenti da parte dell’artista di abbandonare la strada maestra dell’indie-rock melodico striato di venature folk che ha caratterizzato la sua carriera in passato. This Wild Willing (2019) va catalogato come la classica “prova della maturità”; il cantautore irlandese trova la dimensione giusta per spogliarsi da ogni sovrastruttura artistica e “predisporsi selvaggiamente” verso l’ascoltatore, colpendolo direttamente al cuore come pochi musicisti sono capaci di fare al giorno d’oggi. E lo fa sviluppando un originalissimo songwriting sussurrato e intimista capace di accogliere in un unico abbraccio cosmico eleganti echi di world music assieme a sorprendenti derive psichedeliche e code dissonanti. Hansard rinuncia alla melodia facile e riduce al minimo i vocalizzi che sono stati il suo marchio di fabbrica per anni a favore di un impianto armonico straordinariamente sofisticato e policromato, intriso di strumentazioni etniche sovente accompagnate da calibrati accordi pianistici cupi e notturni.
Il singolo, dicevamo, è un moderno e accorato “elogio della follia”, quale unico motore del sentimento primigenio che governa ogni cosa; il cantato sommesso, che ricorda l’ultimo Sufjan Stevens, si dipana su un delicato sottofondo melodico di archi e ottoni fino a sfociare in un’inattesa appendice cacofonica; ma le sorprese non finiscono qui, al termine si schiude un grazioso cameo della turnista di origine iraniana Aida Shahghasemi, che si esibisce in un canto plasmato su un ghazal del poeta conterraneo Rami.
Disco da ascoltare in religioso silenzio e con un buon impianto audio che permetta di apprezzare al meglio la sua caratteristica peculiare, che è la magistrale modulazione della dinamica musicale, ovvero la gestione delle intensità sonore e della loro gradazione all’interno dello stesso brano: provare per credere il memorabile crescendo di “The Closing Door” che si apre con un sommesso tappeto di synth e offre una progressione melodica che sfocia in un tripudio di ritmica tribale e strumentazioni dal sapore medio-orientale.
Il lavoro rappresenta l’apice della carriera musicale di Glen Hansard in termini di personalità e coraggio suggellando la perfetta sintesi di un connubio tanto originale quanto efficace: quello tra la tradizione cantautoriale anglofona sempre cara al busker di Dublino e la novità della world music, intesa in senso più ampio come sperimentazione di contaminazioni musicali etniche estranee al repertorio classico occidentale.
A ottobre del 2023 esce il primo album post-pandemia di Hansard, All That Was East Is West Of Me Now, titolo intricato per rappresentare un’amara constatazione: il tempo ci scivola via fra le mani, inesorabile, trascorre beffardo, e da un certo punto in poi per qualsiasi essere umano esiste più passato che futuro. Al cantautore irlandese è da sempre riconosciuto un talento innato nella composizione di brani morbidi ma al contempo densi di rabbia, in grado di provocare brividi sottopelle, e Glen colpisce nel segno anche questa volta: quando parte la dolcissima “Sure As The Rain” è impossibile non restare accecati da tanta classe: andatura in valzer, voce in odore di Cohen, declinata in parte in francese, supportata dalla grandeur impressa dagli archi.
L’album decolla subito, trascinato da un piglio inaspettatamente “rock”, già nell’iniziale “The Feast Of St. John” (con ospite Warren Ellis al violino) ma ancor più nella successiva “Down On Our Knees”, una delle più incisive cavalcate elettriche mai realizzata da Hansard. La matrice cantautorale non tarda a farsi spazio, nella folk oriented “There’s No Mountain” (dove Glen indossa il vestito buono di James Taylor) e in corrispondenza della doppietta “Between Us There Is Music” / “Ghost”, che schiaccia la parte centrale del disco verso un mood più meditativo, che a tratti appiattisce l’ascolto. Glen ne esce con eleganza grazie al ritmo impresso da “Bearing Witness”, appena prima di chiudere il lavoro con la malinconica introspezione espressa dall’epico crescendo di “Short Life” e affidare i titoli di coda alla brevissima strumentale “Reprise”.
Il suo carisma, l’energia sprigionata durante i concerti, momenti vissuti come veri e propri atti liturgici di vicendevole devozione lasceranno certamente il solco nella storia della musica attuale, prestandosi perfino come insegnamento per le nuove generazioni di artisti a concedersi maggiormente al pubblico e, soprattutto, pensare che nulla sia impossibile, se veramente lo vuoi.
Contributi di Claudio Lancia ("All That Was East Is West Of Me Now")
THE FRAMES | ||
Another Love Song (Island, 1992) | 4 | |
Fitzcarraldo (ZTT Records/Warner Music UK, 1996) | 7 | |
Dance The Devil... (ZTT Records, 1999) | 8 | |
For The Birds (Plateau Records, 2001) | 6,5 | |
Set List (Live, 2002) | ||
Burn The Maps (Plateau Records, 2004) | 6,5 | |
The Cost (Plateau Records Ireland/ANTI- International, 2006) | 4 | |
THE SWELL SEASON | ||
The Swell Season (Overcoat Recordings, 2006) | 7,5 | |
Strict Joy (Plateau Records Ireland/ANTI-International, 2009) | 6 | |
GLEN HANSARD | ||
Rhythm And Repose (Anti-, 2012) | 7,5 | |
Drive All Night (Ep, 2013) | 7,5 | |
It Was Triumph We Once Proposed… Songs Of Jason Molina (Ep, 2015) | 8 | |
Didn't He Ramble (Anti-, 2015) | 6 | |
A Season On The Line (Ep, 2016) | 6,5 | |
Between Two Shores (Anti-, 2018) | 7 | |
This Wild Willing (Anti-, 2019) | 8 | |
Flag Day (O.S.T., 2021) | 7,5 | |
All That Was East Is West Of Me Now (Anti-, 2023) | 7 |
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