Ci sono emozioni che riusciamo a esternare nel modo giusto, come un brivido insano e coinvolgente che soffre nel tentativo di essere spiegato, un pensiero che si dissolve appena proviamo a raccontarlo. È una purezza sentimentale che appartiene a pochi autori contemporanei, e che spesso viene archiviata come vintage, quella che traspare dal primo album solista di Glen Hansard "Rhythm And Repose".
Dai Frames agli Swell Seasons, il percorso artistico dell'irlandese sembrava imbrigliato in una nuance armonica spesso invadente, anche se la collaborazione con la pianista ceca Marketa Irglova possedeva un'intensità emotiva che sorrideva al decadentismo europeo con un riuscito matrimonio sonoro tra folk e neoclassicismo. "Rhythm And Repose" ripete l'incanto, non perché Glen Hansard rinunci a un'estetica coinvolgente, ma perché gli anni trascorsi a New York hanno trasformato il pianto in rabbia, la dolcezza in poesia e le storie in piccoli racconti.
Poche incertezze e tanta ispirazione reggono le fila delle undici tracce: amori in dissoluzione in cerca di conforto, barlumi di speranza e riscatto umano che scorrono come in un film in bianco e nero e una devozione sonora a poeti del suono come Van Morrison e Leonard Cohen.
La raggiunta maturità espressiva di Hansard è evidente nelle canzoni nelle quali voce e chitarra sono indiscusse protagoniste, come "High Hope" e "What Are We Gonna Do", che mettono in fila una serie di accordi elaborati e tenaci che scorrono con una dolcezza che evoca ancora una volta il Cat Stevens dei tempi migliori. La registrazione di Patrick Dillett (Laurie Anderson, David Byrne) e l'intelligente produzione di Thomas Bartlett (già all'opera con Antony & The Johsons e i National) aprono spiragli nei quali vengono inseriti frammenti di romanticismo attraverso il banjo e l'organo in "Races", avvolgendo con residui orchestrali le fluenti note di chitarra in "Maybe Not Tonight" o simulando il cinguettio degli uccelli in "You Will Become".
Fosse un disco targato anni Settanta, saremmo qui a discuterne come di un meraviglia perduta, ma il pudore che si è impossessato della nostra sensibilità arcaica sembra volerci mettere in guardia da questo fiume lirico, che se lasciato scorrere liberamente rischia di trascinarci in melme dolciastre e appiccicose. Eppure non si riesce a provare vergogna o senso del peccato se ci si lascia coinvolgere dal candore della già citata "Maybe Not Tonight", dal profumo di country alla Jimmy Webb di "Philander" o se il crescendo barocco di "Bird Of Sorrow" stuzzica la nostra glicemia. Ogni frammento, ogni parola prende vita partendo da suggestioni personali e universali che Glen Hansard rende credibili - il racconto quasi marinaresco di "The Song Of Good Hope" e l'arioso poema d'armi e amori di "Talking With The Wolves" non hanno alcunché di lezioso.
"Rhythm And Repose" non è destinato a convincere i detrattori del pop "sentimentale", che al massimo si limiteranno a un attestato di stima per la grande professionalità e il garbo. Neppure i due brani più riusciti e intensi ("The Storm, It's Coming" e "Love Don't Leave Me Waiting") hanno una tale forza persuasiva; non basta infatti la tensione palpabile e oscura del primo né la raffinata mistura di folk celtico e soul del secondo per far breccia nei cuori più granitici.
Il primo album solista di Glen Hansard è privo di quei trucchi che rendevano amabile e leggera la musica dei Frames e non ha le ambizioni spirituali dei Swell Seasons: questo è puro cantautorato pop. Prendere o lasciare.
04/07/2012