Non completamente realizzato da una venticinquennale carriera con i Frames, e dal progetto a due Swell Season, in coppia con Marketa Irglova, in grado di fruttargli un Oscar per “Falling Slowly”, tema portante del film low budget “Once” (nel quale fungeva anche da protagonista), Glen Hansard ha deciso di dar vita a un percorso solista che va facendosi denso di soddisfazioni, tanto da riuscire a cannibalizzare in brevissimo tempo le sue esperienze precedenti.
Che Glen, nato a Dublino 45 anni or sono, avesse cose da dire anche in solitudine lo si evinceva già da “Rhythm And Repose” (2012), avvincente esordio apprezzato da fan, critica e persino da valorosissimi colleghi musicisti. Lecito che oggi il secondo capitolo giungesse con aspettative generali molto alte.
E “Didn’t He Ramble” non delude, imponendosi come disco elegante e soffuso, di quelli che si insinuano lentamente sottopelle, dove le diverse anime di Hansard si riuniscono assieme, e le influenze di una vita di ascolti lo portano tanto dalle parti dello Springsteen acustico (“Wedding Ring”), tanto da quelle del Ben Harper più confidenziale (“Winning Streak”).
Gli arrangiamenti, sempre curatissimi, si fanno ora sommessi (“Paying My Way”, la sinuosa “Just To Be The One”, la conclusiva “Stay The Road”), ora ravvivati da crescendo emozionali (la solenne “Grace Beneath The Pines”, un mezzo capolavoro di rara intensità, “Her Mercy”, rigogliosamente arricchita dai fiati nel finale, “My Little Ruin”).
Non si disdegna qualche puntatina decisamente più briosa (“Lowly Deserter”), mentre le radici irlandesi emergono con prepotenza nella chiusura folk di “McCormack’s Wall”, il valore aggiunto che tende a farci ricordare da dove proviene Hansard, una terra di grandi musicisti e indimenticabili scrittori.
“Didn’t He Ramble” è un’opera onesta ed efficace, e pur non apportando rivoluzioni copernicane al panorama musicale contemporaneo, darà l’indispensabile contributo a consolidare la figura di Glen fra i grandi cantautori della nostra epoca.
13/10/2015