Appena finita l'università, Ellis Ludwig-Leone si è ritirato a Banff, sotto le Montagne Rocciose, per comporre il suo esordio come San Fermin, un disco che lo proietta sulle orme dei grandi compositori folk-pop degli ultimi anni, da Sufjan Stevens a Jim Guthrie.
Tra understatement newyorkese e grandiosità naturalistiche, "San Fermin" si prefigura già come una delle rivelazioni dell'anno in corso in campo indipendente: eccone la storia.
Hai deciso di ritirarti in un posto remoto dell’Alberta per comporre il tuo primo disco. Penso che tu sia a conoscenza della quantità di mitologia che questo porta con sé, oggi. Ti serviva un isolamento totale? Non è difficile concepire un disco con parti orchestrali senza uno studio di registrazione vero e proprio (ammesso che non ci fosse)?
Il motivo per cui sono andato in Alberta è dato da mia madre, in realtà; era andata là a dipingere per qualche mese quando ero piccolo. Le ho fatto visita, una volta, e ricordavo Banff come un posto davvero adorabile. Quando mi sono laureato, avevo idee per questo disco, e ho immaginato che, potendo seguire i passi di mia madre, quello sarebbe stato un buon punto di partenza. Avevo un piccolo studio lassù, e ci sono tanti musicisti classici nei dintorni, quindi avevo in realtà tutte le risorse di cui avessi bisogno.
Sono stato a Banff e a volte immagino la tua musica fluttuare in quella valle maestosa. Quanto l’ambiente ha formato “San Fermin”? E come si è mescolato col tuo habitat d’origine, Brooklyn, che è probabilmente più evidente nel disco?
La musica è stata decisamente influenzata dal luogo. Ogni giorno pasteggiavo guardando le montagne, e mi facevo una passeggiata praticamente tutti i pomeriggi. C’era un elemento di grandiosità che veniva dall’ambientazione, era quasi ridicolo scrivere una canzone e poi arrampicarsi su una montagna. Era decisamente esaltante.
Quando sono tornato a Brooklyn, allora è stato come mettere un occhio critico su quel che avevo scritto, cercando di distillarlo in qualcosa di un po’ più understated e affilato – “Sonsick” e “Crueler Kind” sono state scritte, in effetti, non appena tornato a New York.
Cerco di mettere insieme il tuo nome e l’artwork con la tua musica, ma non ci riesco del tutto. Puoi aiutarmi?
Il nome viene dal Festival di San Fermin, anche conosciuto come la “corsa dei tori”. C’è qualcosa di eroico in esso che mi piace, è del tutto ridicolo e sopra le righe, ma queste persone stanno cercando di sentire qualcosa, anche se questo vuole dire mettersi in pericolo. Questo è stato una specie di punto di partenza per me… Il modo in cui inseguiamo cose che ci fanno sentire vivi.
La forte dicotomia tra canzoni “maschili” e “femminili” nel disco è quasi sorprendente, nell’ascoltare il disco. Mi ricordo che, ascoltando “Sonsick”, la prima volta, ho controllato se il nuovo singolo di Beyoncé non fosse finito nella mia playlist! Lo dico in senso positivo, naturalmente. Questa differenziazione così netta era chiara fin dall’inizio?
Sì, l’interazione maschio/femmina era incorporata dall’inizio. Sapevo di volermi muovere su diversi stili in questo disco, e avere un cantante maschile e uno femminile mi ha permesso una certa variazione stilistica tra i brani. Questo serviva anche nell’idea del loro dialogo, che richiedeva che vivessero in mondi molto distanti per svolgere la loro discussione.
Ho letto che hai riarrangiato i pezzi per poterli suonare dal vivo con meno membri. Come suonano? Per esempio, quale canzone suona più simile al disco?
Rendere più scarne le canzoni è stato un processo così difficile, all’inizio. Andava così: come posso vivere senza tutti quei fiati?! Ma poi mi sono reso conto che era una cosa molto buona – tendo a esagerare ed è stato utile spogliare queste canzoni per scoprirne le linee davvero importanti. E comunque le suoniamo dal vivo in otto, fiati e archi inclusi, per cui mantengono quel senso orchestrale. Direi che “Renaissance!” è la più simile al disco, più che altro perché ha tutti quegli assoli strumentali.
“San Fermin” è un disco lungo, ambizioso, ma mi piace il fatto che è comunque basato su temi intimi, sui rapporti tra persone (nonostante il riferimento a Hemingway, d’accordo). Non sei tentato da un tema più “importante”, però? Come un vero e proprio concept (o una serie), qualcosa di teatrale, per esempio? O un’opera, magari?
Mi piacerebbe tanto scrivere un’opera un giorno, sebbene debba dire che non ho speso il tempo, con quel genere, che mi servirebbe per scrivere qualcosa di buono. È difficile per me immaginare di scrivere di prettamente narrativo come un’opera, perché quando ascolto musica in genere i testi sono l’ultima cosa che ascolto, per cui sarebbe difficile dare priorità alle parole, abbastanza da mettere insieme una trama coerente. Ma se capitasse l’opportunità, sarebbe difficile dire di no!
Ho adorato il disco, anche se stilisticamente mi sembra più una miscela di diversi artisti importanti degli ultimi anni che una tua espressione personale (che ovviamente si nota in tutti gli altri aspetti). Mi sbaglio, e di quanto?
Ci sono tante influenze molto chiare nel disco, più che altro perché, essendo questo il mio primo disco, stavo cercando di variare molto la tavolozza stilistica, e mi rivolgevo ai miei artisti preferiti nello sforzo di coprire più terreno possibile, per cercare di capire dove potessi far combaciare il mio suono. La mia speranza è che, nonostante tutte le influenze, è che il disco crei un mondo a sé stante. È come una grande stanza con tanti mobili… Un assolo di tromba lì, una canzone di pop al femminile qui, una canzone folk maschile qua. La sfida era fare un disco in cui tutta questa roba assurdamente diversa si accordasse sotto una logica unificante.
Quali sono i tuoi piani per i tour, specialmente per quanto riguarda l’Europa e l’Italia? Se potessi scegliere, preferisci locali o teatri?
Al momento preferiamo decisamente locali più “convenzionali”. L’energia di un gruppo di persone in piedi è palpabile, e ti aiuta a suonare con più energia e convinzione, laddove un pubblico seduto a volte è impenetrabile, non riesci a capire quanto o se stia apprezzando. Al momento siamo in tour in Europa – UK e Parigi. Resteremo fino al 13 novembre (il disco esce l’11) e poi non sappiamo. Sono abbastanza sicuro che torneremo in primavera… Di sicuro lo spero! L’Europa è stata pazzesca finora.