Takadum Orchestra

Takadum Orchestra

Migrazioni al ritmo del mondo

intervista di Claudio Fabretti

In occasione dell'uscita dell'ottimo terzo album a nome Takadum Orchestra ("Addije"), abbiamo raggiunto Simone Pulvano, fondatore del progetto, per una chiacchierata sulla storia del gruppo, sulle sue metamorfosi musicali e sui contenuti di un'operazione ambiziosa, che, attraverso il recupero della musica popolare del Mediterraneo e del Vicino Oriente, dell'Asia e dei Balcani, testimonia una continuità culturale tra i popoli.

Com’è nato il vostro progetto: qual era l’idea comune che univa i dieci percussionisti “fondatori”?
Dopo varie esperienze, legate in qualche modo alla musica araba e al mondo delle percussioni, Ho fondato la Takadum Orchestra nel 2007 con l'idea di creare un gruppo stabile di percussionisti che suonassero strumenti e ritmiche del Vicino Oriente. Il gruppo per i primi anni è stato composto soltanto da allievi dei miei corsi che poi sono cresciuti e tuttora fanno parte del gruppo, condividendo il palco con musicisti professionisti.

Takadum Orchestra - Simone PulvanoPoi, dopo il primo disco, dedicato alla tradizione musicale nordafricana e vicino-orientale, avete allargato i vostri orizzonti, sia “geografici” sia strumentali, includendo violino, voce, chitarra e tromba. Quali differenze ha comportato nel vostro approccio?
L'inserimento di questi strumenti ha permesso di sviluppare un discorso più interessante e allo stesso tempo complesso, ossia il recupero di brani strumentali e canzoni che appartengono al bacino del Mediterraneo, dalla Spagna alla Turchia passando per i Balcani e il Nord Africa. Con questa scelta, al lavoro di composizione, si è aggiunto un lavoro di rielaborazione di musiche tradizionali secondo i gusti e le caratteristiche dell'orchestra. Fin dall'inizio la mia idea è stata quella di creare robusti e complessi tappeti ritmici sui quali innestare una delicata ma elaborata trama armonica e melodica. Quest'operazione è stata possibile grazie anche alla partecipazione del percussionista e amico Gabriele Gagliarini che da cinque anni dirige insieme a me l'orchestra.

È sempre rimasta, comunque, l’idea di rifarsi alla world music, un genere che, dopo la spinta iniziale, era apparso un po’ abusato e logoro. Come avete pensato di affrancarvi dai suoi cliché?
Al di là delle etichette, mai capaci di cogliere la complessità di un progetto musicale, noi proponiamo semplicemente musica che nasce dalle nostre ricerche e dagli strumenti che amiamo suonare. Nello specifico il termine world music nasce in Inghilterra negli anni 80 per la necessità di vendere nei negozi produzioni musicali pakistane, non ancora catalogate. Non ho mai creduto nell'esistenza di un genere world. Anche oggi penso che questo termine debba mantenere un uso esclusivamente commerciale e discografico, perché non rappresenta un genere musicale.

Il repertorio tradizionale a cui fate riferimento ha spesso origine in un passato precedente alla costituzione dei confini degli stati moderni e testimonia una continuità culturale tra i popoli. Che effetto vi fa proporre tutto ciò oggi, in tempo di nuovi muri e nazionalismi diffusi?
Per noi, ancora oggi, lavorare a questo tipo di repertorio non datato e spesso senza un unico luogo di origine riconoscibile, ci porta a fantasticare sullo spostamento e la circolazione di idee, usanze e costumi che allora come oggi non può essere evitato né frenato dall'imposizione di barriere e confini.
La nostra produzione artistica prima di essere direttamente politica è culturale. Ossia realmente politica. Mi spiego: il brano “Uskudara Gideriken” contenuto nel secondo album è una melodia conosciuta in tutto il bacino del Mediterraneo, dalla Spagna ai Balcani. Ogni paese ne rivendica la paternità, attraverso la creazione di un testo nella propria lingua. In realtà le note di questa melodia sfuggono a qualsiasi tentativo di possesso e travalicano ogni confine.
Per noi rappresentano un invito reale ai popoli a riconoscersi come fratelli e non come pedine di un diabolico gioco di scacchi.

Altro tema-cardine delle vostre storie è il concetto di viaggio e di migrazione, al quale avete dedicato l’intero “Addije”…
Nel lavorare al nostro ultimo album, siamo partiti dal concetto di migrazione intesa come spostamento di genti verso un altro paese per motivi economici e politici, ma durante il lavoro di ricerca siamo stati colpiti anche da brani che parlano, più che di migrazione, di un addio, dall'amore scomparso (vedi la “Ballata del Dolor”) o dalla terra promessa (“Verso Est”). Per questo poi la scelta di “Addije” per il nuovo album, omaggio a un famoso brano italiano, “Amara terra Mia”, il cui testo è di origine abruzzese.

Takadum Orchestra live © Rosy Romano 2015Alla resa del disco contribuiscono anche le voci di Lavinia Mancusi e Valeria Villeggia, due artiste impegnate da anni in un lavoro di riesumazione delle radici della musica mediterranea. Che cosa è cambiato con il loro ingresso?
Lavinia Mancusi è entrata per la realizzazione del secondo album dell'orchestra, mentre Valeria Villeggia si è unita successivamente a noi ed è presente insieme a Lavinia nel terzo. La presenza prima dell'una e poi di entrambe ci ha permesso di fare un salto di qualità sia sotto il profilo performativo sia sotto quello della ricerca e della rielaborazione del repertorio tradizionale da noi scelto. Oltre alle loro doti canore, inoltre, Lavinia suona il violino e Valeria l'arpa, quindi ciò ci ha permesso di arricchire ulteriormente di nuovi timbri il nostro lavoro.

La vostra musica è in gran parte rielaborazione di materiale folk tradizionale. Vi piacerebbe in futuro comporre un disco di brani originali?
In realtà lo abbiamo già fatto perché il primo album è costituito esclusivamente da brani percussivi originali, composti da me e Gabriele Gagliarini. Anche nel secondo e terzo album compaiono altri brani di nostra composizione, sempre esclusivamente percussivi. Se tu invece ti riferisci alle composizioni di testi e musiche originali, non escludo che in futuro possa succedere. Attualmente ci stiamo riprendendo dalla fatica del terzo album e non abbiamo iniziato a lavorare su nessuna nuova idea, anche se non nascondo che già da tempo inizio a pensarci, ho qualche suggestione ma vi lasciamo in attesa.

C’è qualche gruppo che vi ha ispirato? A noi ad esempio, oltre al catalogo Real World, sono venuti in mente i Dead Can Dance
L'ispirazione ci è venuta dagli ascolti che ognuno di noi fa e dagli studi che ha compiuto. Nel nostro lavoro si possono sentire influenze disparate, dal flamenco alla musica popolare italiana, greca, turca etc. non abbiamo un gruppo di riferimento particolare ma se dovessi dirne uno, apprezzo molto il lavoro dei turchi Kardes Turkuler.

La world music per definizione non ha confini, ma l’italianità della Takadum Orchestra si può rintracciare in qualche aspetto specifico del vostro sound?
La caratteristica di lavorazione della Takadum Orchestra è quella di “mescolare”. Tra gli ingredienti della nostra musica senza dubbio vi è anche un forte riferimento al filone popolare italiano, attraverso l'utilizzo di testi, strumenti e ritmiche del nostro folklore. Questi si intrecciano con gli altri universi musicali presenti nel Mediterraneo. Detto ciò mi piacerebbe comunque avere una risposta a questa domanda anche da un ascoltatore straniero, e capire se riuscirebbe a risalire alla nostra origine.

Il vostro repertorio trova naturale espressione nella performance live, molto spettacolare anche per le coreografie e i balli (inclusa la danza del ventre). Farete un tour per promuovere “Addije”?
Stiamo cercando faticosamente di promuovere "Addije" e di portare in giro la nostra musica; come gruppo sostanzialmente autoprodotto e vista l'estensione dell'organico, il lavoro di booking a volte è assai difficile. Abbiamo realizzato alcune date estive e cerchiamo ora di costruire una programmazione per i mesi a venire.



Discografia
 Takadum Orchestra (Sp, 2011)

 

Takadrom - Suoni al confine (Odd Times, 2013)

8

Addije (Helikonia/ O.A.S.I. Studio, 2015)

7,5

pietra miliare di OndaRock
disco consigliato da OndaRock

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Recensioni

TAKADUM ORCHESTRA

Addije

(2015 - Helikonia/ O.A.S.I. Studio)
Un concept sulle migrazioni, con due voci mesmeriche e un ricco armamentario strumentale