TAKADUM ORCHESTRA - Takadrom – Suoni Al Confine (2013, Odd Times)
world music
La Takadum Orchestra nasce nel 2007 come ensemble di percussionisti sotto la guida di Simone Pulvano e Gabriele Gagliarini, per poi espandere i propri orizzonti a strumenti a corde e fiato provenienti dalle tradizioni di tutto il mondo. Palmas, darbuka, sajat, daf, doholla e davul sono solo alcuni dei nomi che compongono la strumentazione di questa vera e propria orchestra di giramondo dedita ad una ricerca che si diletta nel fondere le più disparate tradizioni del mondo, dall'Africa porta all'Oriente, passando per l'America e l'Europa, in un vero e proprio filo conduttore. Non è per questo esagerato dire che “Takadrom – Suoni al confine” sia uno dei documenti più importanti ed eterogenei degli ultimi anni di world music, qualcosa che la RealWorld di Peter Gabriel farebbe bene ad accaparrarsi sotto la sua ala protettiva al più presto, nonché uno dei primissimi di marca quasi interamente italica. “Takadum” è un manifesto, apre l'album fra tribali da Continente Nero e un canto collocabile dalle parti del Peloponneso, prima che le distese d'archi di “Longa Shaihinaz” muovano verso il confine che separa Africa e Asia arabica. Le percussioni sono ancora dominanti in episodi come “Folk No Folk” e, soprattutto, “Batadum” - entrambi composti in stile e a cavallo fra Asia Minore e Nordafrica – mentre la conclusiva “Ar Meno Canto”, anch'essa composta dalla coppia di registi dell'ensemble, potrebbe tranquillamente essere un outtake di “Into The Labyrinth” dei Dead Can Dance. Sul versante dei tradizionali, il viaggio in Turchia arpeggiato di “Kara Deniz” e, soprattutto, la mixture di Balcani e Mediterraneo di “Üsküdara Gideriken”, segnano l'apice concettuale del lavoro, prima che “Alla Takanese” e “Acqua di fiume” gettino uno sguardo anche alla terra natia, da Roma a Giugliano in Campania. Strepitoso (Matteo Meda 8/10)ANDREA FRANCHI – Lei O Contro Di Lei (2013, La Pioggia Dischi)
pop-rock, songwriting
Andrea Franchi lavora da parecchi anni con diversi nomi di spicco della scena indipendente italiana. Principalmente, come molti sapranno, Paolo Benvegnù, ma ci sono stati anche Marco Parente, Manuel Agnelli, Alessandro Fiori, Enrico Gabrielli, Andrea Chimenti. Ora, dopo aver inserito un proprio brano – intitolato “L’Invasore” e ripreso anche qui - nell’ultimo disco di Benvegnù, Franchi ci mostra cosa sa fare come songwriter. Per questo lavoro, il polistrumentista toscano ha messo in piedi una band di quattro elementi, chiamata Collettivo Pupazzi, e ha avuto anche contributi di alcuni ospiti. Venendo al contenuto, ovviamente la curiosità maggiore è capire se e quanto Franchi si sia distaccato dallo stile del proprio progetto principale. In questo senso, innanzitutto c'è la rilettura di un brano proprio di Benvegnù ma scritto dallo stesso Franchi, ovvero "Superstiti", poi le prime tre canzoni mostrano effettivamente una certa aderenza con la produzione del musicista gardesano, ma in seguito si spazia molto di più con i riferimenti. “Cheng Wei” ricorda molto i Piano Magic più rock, “Confini Immaginari” strizza l’occhio al Beck degli anni Novanta, la seconda parte mostra anche una certa personalità, con l’unione tra giri strumentali circolari e atmosfere rarefatte e con melodie sfuggenti ma al contempo di facile ascolto. Questo è un disco che mostra diversi spunti di interesse: la bellezza intrinseca delle composizioni, arrangiamenti mai scontati senza essere di per sé complicati, una tracklist costruita con grande abilità nel collegare bene le canzoni tra loro, una forte identità complessiva del disco nonostante la descritta varietà stilistica. Franchi, quindi, è assolutamente promosso anche in veste di leader (Stefano Bartolotta 7/10)BARBARIAN PIPE BAND - Defecatio Imperatix Mundi (2013, autoprodotto)
folk
Sono in cinque, girano le corti delle feste di rievocazione storica da anni, hanno all'attivo un catalogo di cinque album interamente autoprodotti e definiscono la loro musica “extreme folk music”. E ad ascoltarla bene, quella della Barbarian Pipe Band è davvero una delle espressioni più incontaminate dal mondo del folk, seppur estremizzata nella sua forma più bruta. Una strumentazione composta quasi interamente da fiati e percussioni provenienti dalle tradizioni più svariate e misconosciute guida in un viaggio nel mondo del repertorio popolare a cavallo tra Medioevo e Rinascimento, quasi interamente riprodotto in stile, eccezion fatta per la cavalcata dell'iniziale “Brigante”, tradizionale siciliano riarrangiato e rinvigorito. A svettare in un lavoro di ottima fattura sono poi l'evanescente “Ruvida”, la trascinante “Nutri-Ego”, la spettrale “Sinphon(I)e” e la danza dal sentore celtico di “Ruota meccanica”. Nei nove minuti della conclusiva title track trova spazio anche la sperimentazione, con un taglia-incolla di campionamenti vocali e scrosci elettronici primordiali che sembra quasi omaggiare un mondo lontanissimo come quello dei collage sonori. Un documento notevole e rigorosamente made in Italy per gli appassionati del folk medievale tanto quanto per chi volesse avvicinarsi ad un mondo di tradizioni secolari (Matteo Meda 7/10)IVORIES – In Between Ep (2013, Big Drop)
new wave
Prende il nome di Ivories il nuovo progetto di Patrizia Tranchina e Danilo Carnevale, entrambi attivi in passato (con le band Jeunesse D'Ivoire e Other Side) in quella "scena" milanese ben rappresentata dall'antologia "Milano New Wave", pubblicata qualche anno fa dalla Spittle Records. "Non tutti sono Ian Curtis, dopotutto": nelle loro stesse parole gli Ivories rivolgono uno sguardo verso gli anni ottanta appassionato ma mai troppo nostalgico: gli eighties di Patrizia, Danilo e Francesco sono più vivi che mai e in questo Ep i tre non perdono tempo a ricalcare un passato glorioso, ma si lanciano invece in una nuova avventura, permeata da affascinanti chiaroscuri. I quattro brani di "In Between" prendono il via proprio dove si era interrotto il cammino dei Jeunesse d'Ivoire, ma incorporano fra le righe del loro sound tanti elementi contemporanei: un "ponte" tracciato tra (cold) wave tricolore e revivalismo indie-rock, nel segno di una forte personalità, come appare evidente sin dall'iniziale "Kill By Silence". Un nuovo inizio che lascia ben sperare per un seguito su full-length (Lorenzo Pagani 7/10)THE TRICK - The Trick (2013, Afrakà)
alt-rock, prog-rock
Freschi vincitori di una serie di premi locali – non ultimo il partenopeo Neapolis – e forti di una lunga gavetta che li ha portati dall'esibirsi in pub di periferia a solcare i palchi di festival come Rockalvi e Upload, i The Trick arrivano all'esordio con il più tipico rock album vecchio stampo. Otto brani, forse il numero da sempre più equilibrato per una scaletta, di cui uno in lingua madre e gli altri sette votati al mercato internazionale compongono quest'omonimo primo parto del quintetto, la cui formula si muove con vorace abilità fra una serie di punti cardine ben evidenti. Sotto la lente d'ingrandimento sfilano in ordine sparso il prog-rock, l'alternative più crudo – quello figlio del rock'n'roll filtrato dal grunge – e il noise di Sonic Youth e successori. La passione c'è e si sente, ma questa volta ad abbondare è anche il talento: l'iniziale, splendida “Don't Believe In Me” è un inchino ai King Crimson più crudi coronata da un assolo di chitarra dove pare riecheggiare lo Steve Hillage dei tempi d'oro, mentre “Ishmael” parte avvighiante per poi ammorbidirsi su strutture vicine a certo neo-prog degli ultimi tempi (The Pineapple Thief su tutti). Sul versante più spigoloso svettano invece la punkadelica “Dinner Of Fools” e il blues dispari di “Thus Spoke Zarahustra”, dove Nietzsche è omaggiato ben oltre il titolo. Questo poker sfiora l'eccellenza ben da vicino, e così non bastano un paio di passaggi a vuoto (le tra l'altro brevissime “Merry Go Round” e “On The Mouth”) e il non del tutto riuscito esperimento funk-robotico della comunque elaboratissima “Non capire” a minare la qualità dell'esordio di una band da tenere decisamente d'occhio (Matteo Meda 7/10)SHED OF NOIZ - Re:SoN (2013, autoprodotto)
alt-rock
Ad un primo e distratto ascolto, il disco di debutto dei livornesi Shed Of Noiz non sembra nulla più dell'ennesimo prodotto di alt-rock autofinanziato e lavorato con pochi mezzi. La tendenza al lo-fi è evidente, i richiami ai primi Afterhours (quelli migliori) si fondono a chitarre di puro stampo garage pur senza rinunciare ad una carica melodica di fondo. Eppure, tentando di mandare l'orecchio oltre l'apparenza, da “Re:SoN” traspare una complessità di fondo tale da renderlo un prodotto tutto fuorché indegno di attenzioni. Trattasi in ogni caso di una raccolta di brani che non vanno ad affrontare certo territori sconosciuti o ardite sperimentazioni, plasmando però sulla più classica formula dell'alternative italiano un concentrato di tensioni (title track), gelo (“Immutevole”) e malinconia (“Corri Dora”), per poi aprirsi a squarci di serenità (“Senza Peso”). Un'opera per certi versi probabilmente ancora acerba ma in grado di nascondere dietro una matrice piuttosto comune una carica personale notevole, che rende gli Shed Of Noiz qualcosa di più della “solita band alternative” da sottoscala. In attesa di una consacrazione che potrebbe non tardare ad arrivare (Matteo Meda 6,5/10)FURIOUS GEORGIE – You Know It (2013, Tone Deaf Records)
songwriting, blues, psych
Dal blues di “Giggrind” e “Day Of The Dead” alla psichedelia beatlesiana (con tanto di sitar) della title track, dalle dolenti invocazioni di “Lost And Found” ai Pink Floyd agresti di “Ignorance” e “Watch The Drift As It Goes”, l’esordio solista del palermitano Giorgio Trombino è una piacevolissima ed inattesa sorpresa. Furious Georgie è la ragione sociale prescelta, per un musicista che abbiamo già incontrato da queste parti con gli egregi Elevators To The Grateful Sky, e in “One Of My Turns”, il disco tributo ai Pink Floyd, dove rileggeva la poco scontata “Grantchester Meadows”. In pochi anni Giorgio ha allineato una serie impressionante di esperienze, e questa volta grazie ad una manciata di ottime canzoni trova la forza per metterci la faccia da solo, accompagnandosi con la chitarra acustica e con pochi altri strumenti. Si canta in inglese, ma c’è anche l’esperimento italiano di “NGC 6543”. Dentro “You Know It” ritroviamo un po’ lo spirito del “Goldfoil” di Adriano Viterbini, ma qui c’è una maggiore commistione di generi che rende il risultato finale meno settorializzato. Solchi dai quali traspare tutto l’amore nutrito per i dischi di Neil Young, Syd Barrett, Elliott Smith e George Harrison (Claudio Lancia 6,5/10)GALLERIA MARGÒ - Fuori Tutto (2013, Rocketman)
indie, pop-rock
Prendete il Max Gazzè più ironico e la recente scena elettroindiesatirica dei vari Lo Stato Sociale e Officinadellacamomilla, mischiandola con quella più tradizionalista di gente come I Cani: avrete ottenuto l'essenza della Galleria Margò, quartetto lombardo che debutta sulle scene aggiungendosi di diritto alla lista di cui sopra. Va subito specificato che se c'è un elemento in grado di distinguerli da gran parte dei loro predecessori e contemporanei, quello è la varietà stilistica: “Fuori Tutto” è un album che cerca con successo di guardare a questo microcosmo provocatorio e mai troppo serio da angolature differenti, almeno dal punto di vista musicale. Così “Giro Di Vite” è lanciato da un violino che potrebbe tranquillamente venir fuori da uno dei (pochi) buoni episodi degli ultimi Modena City Ramblers, “Glitter” parte all'attacco a suon di synth e drum machines fuori controllo, “Dovessi Mai” recupera la forma della pop song infilandoci vibrazioni elettroniche e “Linea Gialla” si contorce fra distorsioni chitarristiche. Il punto debole del tutto sta però nei testi, di fatto collage di quelle invettive a metà fra sarcasmo e provocazione delle quali obiettivamente si comincia ad avere abbastanza – manca, per altro, un bagliore di genio nel buio come fu per esempio “Mi sono rotto il cazzo” nell'ultimo Lo Stato Sociale. Un futuro possibile fuori da certi cliché (Matteo Meda 6/10)NIMA MARIE – Woollen Cap (2013, Orange Home Records)
folk-pop
Sembrerebbe trovarsi un po’ a metà del guado, “Woollen Cap”, tra il pop semi-alternativo “che guarda oltre confine” delle ragazze un po’ toccate (ma non troppo), sul genere Elisa, e il mondo indipendente italiano. A voler essere cattivi (o buoni, a seconda dei punti di vista), si noterebbe l’aria di anni 90 che spira per tutto il disco, di tutta la serie di cantanti post-post-Joni Mitchell, ma soprattutto post-Suzanne Vega, da Meredith Brooks ad Alanis Morissette. In realtà si tratta di un album di brani semplici, con pochissime pretese, in cui gli arrangiamenti sanno inconfondibilmente di mestiere, interpretati con stile professionale e vacanziero, come in un piano bar di un caffè-libreria di provincia. Ma è impossibile voler male a “Woollen Cap”, così come a tutto l’immaginario di pastrani e oggetti in feltro e tazzone fumanti e amore platonico che evoca (Lorenzo Righetto 6/10)FAKE HEROES - Divide And Rule (2013, Antistreet)
pop-rock
Da tempo, il panorama emergente italiano pullula di band che si dilettano nel ripescare sonorità di sicuro impatto e non troppa originalità. Di questa categoria fanno parte a pieno titolo i pescaresi Fake Heroes, il cui pop-rock fa il verso a certi “ruggiti” a metà tra post-grunge e nu-metal (si pensi a gente come Staind, sull'ala più melensa, e Audioslave e Nickelback su quella più muscolosa). Musica che se fosse uscita a inizio millennio o poco dopo avrebbe con tutta probabilità pure trovato un certo riscontro, considerato il periodo d'oro vissuto da quelle sonorità e da una miriade di band votatesi alle stesse, ma che nel 2013 suona a dire il vero piuttosto datato e fuori tempo massimo. Che la band ci metta grinta e passione nei propri brani è evidente sin dall'apertura del singolo “FH”, che non è però nulla più del classico anthem che avrebbe fatto fortuna sulle frequenze di qualche stazione radio AOR nei primi 2000. Il resto del disco procede tentando variazioni minime sulla medesima formula, ma che si tratti di irrobustimento del “muro” di chitarre (“Beyond This Class”), di inchini alla forma della rock ballad (“Between Sounds And Noises”) o di mezze virate in territorio proto-metallico (“Wise Man”), i risultati stentano fortemente ad arrivare. Tutto troppo già sentito in un passato ormai lontano (Matteo Meda 5/10)