La scelta è stata studiata fin nei minimi dettagli. Bisognava chiudere senza traumi il passato politico dei Rage e tra le varie icone ribelli del passato, quella di un simpatico capo indiano, abusato nei tatuaggi degli anni ottanta, sembrava la più incisiva. E bisognava preparare i vecchi fan dei R.a.t.m alle nuove sonorità con un pezzo che introducesse Cornell in una sezione ritmica ben collaudata e capace di limitare le urgenze hard’n’blues. Poi, a fine novembre 2002, l’album. Ed è proprio come te lo aspetti. Ci sono i Soundgarden di “Badmotorfinger” con la voce di Cornell che con l’età si è fatta più roca, la passione quasi imbarazzante per i Led Zeppelin, le invenzioni chitarristiche di Morello (che iniziano sempre prima del ritornello finale) e la poderosa batteria di Wilk.
Tutto combacia, tutto è perfetto a discapito di spigolosità e fantasia. Sessantacinque minuti sfiancanti dove reminiscenze Seventies, echi di grunge e stoner all’acqua di rose si metabolizzano drasticamente in un prodotto vacuo e pavido. Va da sé che prese singolarmente le canzoni funzionano, soprattutto se ascoltate più volte, come il groove mantrico di “Set it off”, la pigra psichedelia di “Hypnotized” o la ballatona emo-blues di “Like a stone”. La somma delle parti, in definitiva, va ben oltre la sufficienza ma questo non può e non deve bastare. Perché per il sottoscritto i primi tre lavori dei Soundgarden sono gemme di assoluta bellezza che ancora oggi non perdono un grammo del loro valore. Talento, coraggio e voglia di sperimentarsi che è facile trovare anche nel devastante disco d’esordio dei R.a.t.m. Di quella istintiva rabbia nel disco degli Audioslave non v’è traccia ed è facile, ora, intuire i motivi che hanno spinto De La Rocha a uscire mestamente dal gruppo.
(25/10/2006)