Soundgarden - Chris Cornell

Soundgarden - Chris Cornell

Nel giardino del grunge

Fra i pionieri dell'ondata grunge, i Soundgarden di Chris Cornell furono fra le ultime band di Seattle a raggiungere la consacrazione su vasta scala, grazie al successo del singolo "Black Hole Sun". Album fondamentali, uno scioglimento, una reunion e un tragico epilogo...

di Paolo Avico e Claudio Lancia

Seattle, gli anni 80, il grunge...

A Seattle esisteva, agli inizi degli anni 80, un gruppo di nome Shemps dove militavano Chris Cornell alla batteria e voce, Hiro Yamamoto al basso e Matt Dentino alla chitarra. La band eseguiva principalmente cover (di artisti rigorosamente morti, per una particolare fissazione di Dentino) e annoverava un unico brano originale: "Marilyn Monroe", scritta (guarda caso) proprio dal chitarrista. Il gruppo in questione, dopo pochi concerti e alcuni avvicendamenti nella line up, si sciolse e dalle sue ceneri nacque una nuova formazione, sempre con Chris Cornell alla batteria e voce e Hiro Yamamoto al basso, ma con un avvicendamento: la sostituzione del chitarrista Dentino con Kim Thayil, il quale per un periodo aveva militato proprio negli Shemps come bassista al posto di Yamamoto.
Nacquero così i Soundgarden, mutuando il nome da una scultura di Duoglas Hollis ("A Sound Garden" per l'appunto) situata in un parco di Seattle e composta da una serie di strutture metalliche simili ad antenne radiofoniche che, con il vento, si muovono emettendo suoni e rumori particolari, a seconda dell'intensità del soffio (un'opera "sublime e squallida allo stesso tempo", a detta di Kim Thayil). A Seattle Chris condivideva un appartamento con Andrew Wood, l’amico che si sarebbe sbriciolato molto più in fretta di lui. Chris sognava di fare il salto importante con i Soundgarden, e ci riuscì, l’altro buttava giù i testi che si sarebbero concretizzati nell’esordio dei Mother Love Bone, ma il successo, per Andrew, non fece in tempo ad arrivare. Seattle stava esplodendo, stava diventando il centro del mondo per quei ragazzi dai capelli lunghi che sapevano trasferire dentro un formato canzone tutta la propria rabbia, tutto il proprio disagio giovanile.

Nel giro di poco tempo i Soundgarden completarono la stesura di una quindicina di brani e iniziarono a esibirsi per i locali della città, facendosi notare dal pubblico (e non solo), fino ad arrivare ad aprire (assieme ai Melvins) un concerto degli Hüsker Dü. Nel frattempo Chris Cornell, d'accordo con i compagni, decise di abbandonare il ruolo di batterista per dedicarsi esclusivamente alla voce, anche per sfruttare al massimo le indubbie qualità di frontman. Al suo posto, ai tamburi, dopo una breve parentesi di Scott Sundquist, venne ingaggiato Matt Cameron, ex batterista degli Skin Yard.
Correva l'anno 1986, e all'epoca la band, dopo aver inserito tre brani in "Deep Six", una compilation che aveva l'intento di fare una panoramica sulla nuova scena musicale di Seattle (oltre ai Soundgarden, erano presenti fra gli altri, Green River, Skin Yard e Melvins), girava i locali suonando con altri gruppi sconosciuti (fra i quali i Faith No More), quando venne contattata dall'etichetta indipendente Sst e dalla neonata Sub Pop, con le quali incise rispettivamente il primo singolo e il primo Ep, Fopp, lavori all'epoca bistrattati dalla critica, che, nel migliore dei casi, reputò i quattro musicisti epigoni dei Led Zeppelin. Nonostante ciò i Soundgarden acquisirono gradualmente una certa notorietà, tant'è che si presentarono alla loro porta alcune major (Geffen, Warner Bros, e A&M), ma gli stessi preferirono proseguire la propria strada con la Sub Pop, pubblicando nel 1988 l'Ep Screaming Life.

I primi album

Nello stesso anno fu pronto anche il primo album, Ultramega Ok, per la Sst. La critica iniziò ad accorgersi di loro, pur continuando a essere accostati (in particolare per il modo di cantare di Cornell, "shouter" d'altri tempi) ai Led Zeppelin e venendo frettolosamente etichettati come band del giro metal/hard rock. Sicuramente il primo lavoro dei Soundgarden (ma anche il successivo Louder than love dell'anno successivo, in seguito al quale Yamamoto abbandonò la band, rimpiazzato prima da Jason Everman e poi da Ben Shepherd) è un album ancora acerbo, senz'altro influenzato da una certa pesantezza riconducibile agli stilemi del metal, anche a causa delle pressioni della casa discografica - a onor del vero - intenzionata a lanciare i Soundgarden come nuova band heavy-metal, sulla scia del grande successo riscosso dai Metallica.
Non c'è dubbio però che, a un ascolto più attento, si possa notare qualcosa di diverso, come se il gruppo avesse usato la forma (quindi anche la maggior tecnica) del metal per esprimere stati d'animo vicini allo spirito punk, anche in virtù delle tematiche trattate nei testi, lontane da quelle stereotipate della maggior parte dei gruppi heavy americani dell'epoca. Inoltre, a una più attenta analisi, non può sfuggire l'influenza più "scura" di alcuni gruppi new wave e dark che i membri della band non hanno mai nascosto (Pere Ubu, Bauhaus, Wire, Joy Division, Killing Joke), oltre agli evidentissimi richiami a Black Sabbath e Led Zeppelin.
Il modo di cantare di Chris Cornell, per molti versi accostabile a quello di Robert Plant o Ian Gillan (dei quali, in ogni caso, il frontman dei Soundgarden è ben lungi dall'essere un clone), ha avuto il pregio di reintrodurre nel rock uno stile che si era perso negli anni 80 o che, quanto meno, era divenuto demodé, come nel caso di alcuni gruppi power o epic metal del periodo in questione. La voce di Cornell, con il supporto musicale dei Soundgarden, rinnova questo stile canoro senza incappare nell'inconveniente di risultare stantia. In definitiva, il sound della band, pur non apparendo fortemente innovativo, è accattivante proprio perché riesce a esprimere la summa delle svariate ed eclettiche influenze musicali dei quattro elementi del gruppo, racchiudendo il tutto in una scorza punk-metal.

Il salto di qualità arriva nel 1991 con Badmotorfinger, pubblicato dopo una breve pausa durante la quale Cornell e Cameron hanno dato vita al progetto Temple Of The Dog, in memoria dello scomparso Andy Wood, insieme con Eddie Vedder, Jeff Ament, Mike McCready e Stone Gossard dei Pearl Jam (al tempo ancora in fase di start up) e collaborano sia in qualità di comparse sia come autori della colonna sonora (insieme ad altre band come Pearl Jam, Alice in Chains, Mudhoney, Screaming Trees, Smashing Pumpkins) al film "Singles, l'amore è un gioco" di Cameron Crowe, un'istantanea sulla scena grunge.
Temple Of The Dog è un album che resterà per sempre un vero e proprio culto, e che vede la presentazione ufficiale al mondo della voce di Eddie Vedder, impegnato in un epocale duetto con Cornell sulle note di "Hunger Strike".
 
Se fino a quel momento il gruppo era rimasto, per così dire, a "metà strada", nel limbo, partorendo lavori con spunti interessanti ma immaturi, con Badmotorfinger si colgono i frutti di tutto il lavoro precedente: ogni intuizione assume una forma precisa, dallo stile compositivo, al sound, fino all'uso della voce. E' l'ultimo disco decisamente heavy dei Soundgarden, e rimane uno dei migliori album hard rock degli anni 90, oltre che una tappa fondamentale nella carriera della band di Seattle.
A parte alcuni "trucchetti" (come il feedback creato soffiando sulle corde in "Slaves & Bulldozers" o il campionamento di un bambolotto parlante guasto all'inizio dell'epocale "Jesus Christ Pose") e le interessanti sperimentazioni con l'accordatura delle chitarre, brani come "Rusty Cage", "Outshined" e i già citati hanno una freschezza che non era rintracciabile nei lavori precedenti, pur essendo il sound sempre "borderline" con un certo tipo di metal, condito, peraltro, con un pizzico di psichedelia. In coincidenza con l'uscita del disco citato, arriva anche la notizia del tour di spalla ai Guns'n'Roses, il trampolino che li lancia definitivamente nel "grande giro" del rock 'n roll. 

Il successo di massa

Il 1994 è l'anno cruciale: esce Superunknown. Uno di quei rari casi nella storia del rock in cui l'apice del successo, l'ammorbidimento del suono in senso commerciale e la qualità artistica vengono a sovrapporsi l'un l'altro. Superunknown è, infatti, un album di ottime canzoni, che, con la loro nuova forma più accessibile consente ai Soundgarden di scollarsi definitivamente di dosso l'etichetta (riduttiva) di band heavy metal. Non tragga in inganno la nuova via percorsa dalla band: continuano a essere presenti sperimentazioni sulle accordature, tempi dispari, richiami alla musica indiana e accenni di psichedelia, solo che il tutto è più ovattato, meno strillato, più dosato e, fondamentalmente, contenuto nei migliori episodi a livello compositivo dell'intera storia del gruppo.
Persino la voce di Cornell pare più morbida, portata con meno insistenza all'estremo delle proprie capacità. Tra i brani da menzionare, oltre alla celeberrima "Black Hole Sun", che finirà persino in heavy rotation su MTV, è obbligo evidenziare "Spoonman", nella quale i Soundgarden suonano con Artist The Spoonman, un artista di strada noto per le sue esibizioni musicali create percuotendo i cucchiai, "Mailman", lenta, pesante e ipnotica, ma anche "4th Of july", "Let Me Drown", "Feel On Black Days", "My Waves", "Like Suicide" e la title-track. Dopo il già discreto successo ottenuto con Badmotorfinger, Superunknown catapulta i Soundgarden ai vertici del rock business, dove Nirvana e Pearl Jam erano giunti già da qualche tempo.

Nel 1996 è la volta di Down On The Upside, album molto atteso ma non accolto nei migliore dei modi. E' la logica prosecuzione di Superunknown, eppure da molti viene visto come il definitivo rammollimento e la ulteriore commercializzazione del suono Soundgarden: un giudizio quanto meno affrettato e un po' ingeneroso.
Certamente è il disco dove minore è stata la voglia di rinnovamento all'interno della band, ma, ciononostante, sono presenti alcune ottime composizioni (su tutte "Pretty Noose", "Ty Cobb", dove spuntano addirittura influenze country con tanto di mandolino, e la malinconica "Boot Camp", uno dei brani più scuri e depressi della loro discografia). Il disco scorre piacevolmente all'ascolto, basta non voler cercare l'esperimento a tutti i costi.

Lo scioglimento

L'anno seguente, attraverso un comunicato stampa, i membri della band annunciano lo scioglimento del gruppo, dopo oltre dieci anni di attività. I Soundgarden, insieme agli Alice In Chains, hanno rappresentato una delle mille facce (la più prossima al metal) di quello che i media hanno chiamato grunge. Un fenomeno legato a una scena musicale nata a Seattle (città che sino ad allora era stata ai margini del mondo del rock, salvo aver dato i natali a Jimi Hendrix) verso la seconda metà degli anni 80, ma che non può essere definito come espressione di una forma musicale ben determinata, tante ne sono state le manifestazioni stilistiche e le influenze (dal punk, al metal, all'hard rock, passando, seppur in dosi minori, per new wave, country e folk). Il grunge, infatti, sembra trovare un leit motiv più nella circoscrizione geografica e nel malessere generazionale che nei canoni stilistici della musica che ne è stata l'espressione.
Anche se alcuni gruppi della scena di Seattle hanno proseguito il loro percorso (Pearl Jam, Mudhoney, Melvins), si può affermare che lo scioglimento dei Soundgarden coincise con la chiusura di un ciclo, o, per dirla con parole più dirette, con la fine del grunge.

Nel 2002 Chris Cornell ha preso parte al progetto Audioslave, assieme a tre membri dei Rage Against The Machine, con i quali realizzerà tre album e un live fra il 2002 e il 2006.

Il ritorno

Largamente annunciata dalle pubblicazioni della doppia antologia Telephantasm (2010), e del live d’annata Live On I-5, la reunion frutta ai Soundgarden il primo album originale, il sesto in totale, dopo circa 16 anni. King Animal (2012), coerente con il classico sound del quartetto, tenta di riprendere (almeno idealmente) il discorso dal punto esatto in cui s’era interrotto nel 1997: un lavoro piuttosto muscolare e compatto, grunge pesante anni 90 con accentuate (e adulte) inclinazioni bluesy-psych, a tratti quasi stoner, e qualche apertura melodica di taglio sixties. Sebbene non riesca, per sopraggiunti limiti d’età e d’ispirazione, a rinverdire i fasti del passato, ne ripropone quantomeno una versione onesta e dignitosa.
Cominciano forte, i Soundgarden, galvanizzati da un paio di anthem robusti ed efficaci come la sincopata “Been Away Too Long” e la tiratissima “Non-State Actor” (con Cornell che si lancia nei suoi ruggiti coraggiosi). “By Crooked Steps” velocizza un riffone ribassato e sabbathiano su un portamento acido e bluesy, introducendo due fra i brani migliori del lotto: la bella chitarra orientaleggiante su ritmica spasmodica e scrosciante di “A Thousand Days Before” e l’heavy-blues rallentato di “Blood On The Valley”. Sulla stessa linea “Taree”: una traccia cattiva, rugginosa e senza fronzoli. Su un registro leggermente più melodico e sfumato d’influenze anni 60 spiccano invece l’acid-rock di “Bones Of Birds” e “Black Saturday” che parte acustica e stonesiana per sfociare in un crescendo incalzante su ritmi dispari. Qui finiscono le note positive e sopraggiungono stanchezza e prolissità: la brulla e pasticciata “Attrition”, l’immancabile (e inutile) ballad cornelliana (“Halfway There”), brani che fanno fatica a ingranare (“Worse Dreams”) o girano a vuoto (“Eyelid’s Mouth”). Meglio, allora, la conclusiva “Rowing”, una sorta di dark-blues sbrecciato e un po’ doomy coi suoi tenebrosi call and response.

Nel 2014 la A&M pubblica un triplo Cd di rarità, Echo Of Miles: Scattered Tracks Across The Path, che contiene sette tracce inedite, fra le quali "Storm" (da vecchie session condotte con Jack Endino) "Kristi" (una outtake di "Down On The Upside"), "Twin Tower" (dalle session di "Louder Than Love"), lo strumentale "Night Surf", due cover di "Everybody's Got Something to Hide..." dei Beatles e un remix di "The Telephantasm". La raccolta è stata curata dal chitarrista Kim Thayil. E' prevista anche una versione in cd singolo, contenente soltanto 14 tracce.

L'avventura solista e il tragico epilogo

All'indomani dello scioglimento dei Soundgarden, e prima dell'avvio dell'esperienza Audioslave, Chris Cornell aveva intrapreso un'altalenante carriera solista, ben inaugurata nel 1999 dall'apprezzato Euphoria Morning.
Archiviati gli Audioslave, Cornell tornerà qualche anno più tardi con l'elettroacustico Carry On (2007) al quale seguirà il passo falso dell'imbarazzante Scream (2009), prodotto da Timbaland.
Il live del 2011 Songbook ed il riuscito Higher Truth (2015, a reunion dei Soundgarden avvenuta) riporteranno Chris sui giusti binari, anche grazie a fortunati tour solisti nei quali ripresenta in chiave acustica estratti da tutte le proprie reincarnazioni artistiche.

Nel 2016 è il momento di grandi celebrazioni per i Temple Of The Dog: il disco viene ristampato con la presenza di inediti, e un giro di concerti in America riporta il supergruppo al centro dell'attenzione, facendo sperare persino nella realizzazione di un nuovo album.
Ma mentre i fan in trepidazione attendono almeno l'annuncio di un tour europeo, la mattina del 18 maggio 2017 giunge improvvisa la notizia della scomparsa di Chris Cornell, trovato impiccato nella sua stanza d'albergo la sera dopo l'ultimo concerto tenuto con i Soundgarden, al Fox Theatre di Detroit. Si chiude così definitivamente una delle favole più belle e avvincenti del rock, non solo della scena grunge di Seattle, lasciando milioni di estimatori nell'incredulità.

A novembre del 2018 la Universal pubblica un ricco box set commemorativo, curato dalla moglie Vicky e intitolato semplicemente Chris Cornell, che ripercorre l'intera carriera dell'artista, con numerosi inediti e un booklet contenente foto e testimonianze di musicisti che hanno collaborato con lui: Kim Thayil, Mike McCready, Matt Cameron, Tom Morello e Brendan O’Brien. I primi due dischetti ripercorrono tutte le reincarnazioni artistiche di Chris, ripescando al massimo due tracce per ogni album realizzato con Soundgarden (a partire da “Haunted Down”, dall’Ep d’esordio “Screaming Life”), Temple Of The Dog e Audioslave, più estratti dalla carriera solista. Nel terzo e nel quarto Cd trovano posto l’ultima parte della carriera e una selezione di live performance, a partire da una pazzesca “Into The Void” (dal repertorio dei Black Sabbath) eseguita con i Soundgarden al Paramount Theatre di Seattle nel 1992, versione che sottolinea sia le radici musicali della band sia le capacità trasmutative di Cornell. La sequenza dei brani mostra il progressivo ridimensionamento dell’estensione vocale di Chris, evidente nelle prestazioni dell’ultimo decennio, basti ascoltare la versione dal vivo di “Reach Down” dal reunion tour dei Temple Of The Dog che, essendo stata registrata il 21 novembre del 2016 (di nuovo al Paramount Theatre, quasi a voler tracciare un fil rouge con gli esordi) è la registrazione più recente qui contenuta.
Il box raccoglie le colonne sonore, realizzate per “Singles”, “Great Expectations”, “Casino Royale” (la celebre “You Know My Name”), “The Avengers”, “12 Years A Slave”, “13 Hours: The Secret Soldier Of Benghazi”, “The Promise” e “Vinyl”, le collaborazioni con Slash, Santana (con il quale ripropone “Whole Lotta Love”) e Gabin (realizzata durante uno dei suoi soggiorni romani, dove Chris aveva acquistato un appartamento centralissimo), i duetti con Cat Stevens (“Wild World”) e la figlia Toni (“Redemption Song”), le cover di “Hey Baby” (suonata con McCready, Ament e Cameron per “Stone Free”, il tributo a Jimi Hendrix del 1993), “Billie Jean”, “Imagine”, “A Day In The Life”, “Nothing Compares 2 U” e “One”, tutte spesso omaggiate durante i propri set acustici. Oltre al toccante e premonitore inedito “When Bad Does Good”, alcune esecuzioni vengono pubblicate in via ufficiale per la prima volta assoluta. Qualche rarità era invece già nota ai fan più attenti, come la “Storm” ripresa da una vecchia session con Jack Endino. Quando sul quarto dischetto i Temple Of The Dog rifanno dal vivo “Stargazer”, brano dei Mother Love Bone scritto da Andrew Wood, Chris riabbraccia idealmente il compagno di stanza dei tempi nei quali a Seattle tutto ebbe inizio. Ma la vera chiusura del cerchio è sull’ultima traccia del box, con Chris che esegue, solo voce e chitarra, “Thank You” dei Led Zeppelin di Robert Plant, una voce alla quale Cornell è stato, da sempre e con merito, accostato.

A luglio del 2019 viene pubblicato Live From The Artist Den, la registrazione di un concerto tenuto dai Soundgarden il 17 febbraio 2013 al Wiltern Theatre di Los Angeles, di fronte alle telecamere dell’omonimo show televisivo. I brani di “King Animal” girano che è una meraviglia, anche perché costruiti sulle attuali condizioni vocali di Chris, ma qui la curiosità è quella di scartabellare fra i grandi classici, spostandosi dal sabba iper ritmico di “Jesus Christ Pose” all’irruenza di “Ty Cobb”, dalla minacciosa “Hunted Down” alla morbidezza di “Fell On Black Days”, dal tritasassi “Spoonman” alle note che resero immortali “Rusty Cage” e “Black Hole Sun”, dal caldo abbraccio di “Blow Up The Outside World” ai gorghi chitarristici di “Slaves & Bulldozers” che sfociano nella tristemente profetica “In My Time Of Dying”.
Negli anni Dieci Chris Cornell sembrava aver sconfitto i propri demoni interiori. Non era così, ed ora, col senno di poi, le immagini di quell’uomo con i capelli a coprire un volto che pare perennemente imbronciato, sembrano una premonizione. Vederlo piegarsi in quel modo sulla chitarra, oppure arrampicarsi con la voce lì dove non poteva più, per via dell’età e degli anni trascorsi sui palchi di tutto il mondo, sono testimonianze quasi drammatiche, che molti fan probabilmente non sono ancora pronti ad affrontare. Ancora troppo recente la ferita per una dipartita giunta inaspettata come non mai. Lussuosa la confezione. Ventinove tracce per oltre due ore di musica. Si può scegliere fra il formato in doppio Cd, il quadruplo vinile, oppure puntare sul Blu Ray per non perdere le immagini del concerto ad altissima definizione. Nella versione super deluxe, a tutto quanto già elencato, occorre aggiungere oltre mezzora di interviste inedite, un libro illustrato di quaranta pagine, le litografie dei membri della band e la replica dei pass per l’accesso alla serata.

Nel frattempo è in corso una battaglia per rendere compiuto l’album al quale i Soundgarden stavano lavorando al momento della scomparsa di Cornell. Kim Thayil, Matt Cameron e Ben Shepherd avrebbero già completato le rispettive parti, ma mancano i master con le tracce vocali originali incise di Chris, che a quanto pare la moglie Vicky sarebbe restia a concedere. E mentre da un lato sta impedendo il completamento di tale operazione, dall’altro comunica al mondo la volontà di diffondere molte delle canzoni che Cornell aveva messo da parte. Secondo la versione diramata dalla famiglia, Chris incise nel 2016 dieci cover, seguendone personalmente produzione e mastering, e suonando tutti gli strumenti, con i soli contributi di Brendan O’Brien. Il risultato è contenuto in No One Sings Like You Anymore, disponibile in digitale da dicembre 2020 e in formato fisico dal marzo successivo.
Fa sempre effetto riascoltare la voce di Cornell, ogni volta così potente, espressiva e densa di quel malessere che mai lo ha abbandonato. Le immagini del video che accompagnano “Patience”, l’omaggio di Chris ai Guns’n’Roses, sono particolarmente toccanti, con il susseguirsi di fotogrammi che ripercorrono un’intera esistenza, per lui dolorosa oltre qualsiasi nostra possibile immaginazione. Ed è interessante udirlo misurarsi senza timore con brani ai quali solo i più grandi possono osare avvicinarsi, vuoi per la bellezza delle canzoni (“Nothing Compares 2 U”, scritta da Prince per una straordinaria Sinead O’Connor), vuoi per la grandezza dei personaggi coinvolti (il tributo riservato a “Watching The Wheels”, da “Double Fantasy”, il disco pubblicato da John Lennon pochi giorni prima di essere brutalmente assassinato).
Ma i momenti di maggior interesse di No One Sings Like You Anymore si annidano nel materiale meno popolare, in particolare nelle – per molti poco prevedibili - escursioni soul, un mondo solo apparentemente distante dal furore grunge di Cornell, un mondo per il quale dimostra di avere grande padronanza e smisurato rispetto. Da questo punto di vista resteranno senz’altro memorabili le interpretazioni di “You Don’t Know Nothing About Love” (incisa da Carl Hall nel 1967), e “Stay With Me Baby”, portata al successo nel 1966 da Lorraine Ellison. Le derive più “pop-oriented” qui incluse risultano invece oggettivamente meno intriganti, pur lasciando trasparire artisti e brani che in qualche modo hanno influenzato e ispirato il suo percorso artistico. Vicky Cornell ha già annunciato la prossima diffusione di un secondo volume, che questa volta sarà completato e assemblato senza poter seguire le intenzioni di Chris, colui che canta come nessun altro potrà, mai più...


Contributi di Simone Coacci ("King Animal")

Soundgarden - Chris Cornell

Discografia

SOUNDGARDEN
Ultramega Ok (sst, 1988)

Louder Than Love (A&M, 1989)

Screaming Life/Fopp (Sub Pop, 1990)

Badmotorfinger (A&M, 1991)

Superunknown (A&M, 1994)

Down On The Upside (A&M, 1996)

A-Sides (A&M, 1997)

Telephantasm (antologia, A&M, 2010)
Live On I-5 (live, Universal, 2011)
King Animal (Seven Four/ Republic, 2012)
Echo Of Miles: Scattered Tracks Across The Path (rarities, A&M, 2014)
Live From The Artist Den (live, Artist Den, 2019)
CHRIS CORNELL
Euphoria Morning (Interscope, 1999)
Carry On (Interscope, 2007)
Scream (Interscope, 2009)
Songbook (live, Universal, 2011)
Higher Truth (Universal, 2015)
Chris Cornell (box set,2018)
No One Sings Like You Anymore (Universal, 2020)
TEMPLE OF THE DOG:
Temple Of The Dog (A&M, 1991)
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