La scrittura loffia e i ritornelli imbarazzanti del disco precedente sono di nuovo presenti, pur imbevuti di aromi a mo' di quel r'n'b tecnologico ("Get Up", "Part Of Me", "Enemy", "Never Far Away") che già tenne a battesimo la carriera solista di Justin Timberlake e innumerevoli star del jet-set.
Le canzoni mainstream si caricano di armature drum'n'bass, da "Time" a "Take Me Alive" a "Long Gone" (ma la meno peggio è il breve shouting di "Ground Zero", che dà una parvenza di senso alle involuzioni dell'ormai sbiadito vocalist), e la ballata radiofonica della title track.
Quantomeno equivoco è poi il mazzetto di numeri da club ("Watch Out", "Sweet Revenge", ecc).
Timbaland, dopo il flop megalitico di Steve Lillywhite in "Carry On", fa il diavolo a quattro per rinsaldare voce e basi, forse prendendo come spunto il Robert Plant borderline di "Shaken And Stirred" (Es Paranza, 1985); a stento aggiusta di responsabilità. Cornell invece batte il suo record di sconcezza.
(23/03/2009)