Adriano Viterbini

Italian Desert Blues

intervista di Claudio Lancia

Ad oltre tre anni dalla precedente intervista, Onda Rock torna ad incontrare Adriano Viterbini, questa volta non nelle vesti di cantante/chitarrista dei Bud Spencer Blues Explosion, bensì alle prese con la promozione del proprio esordio solista, “Goldfoil”, nel quale ha dato libero sfogo alla personale tecnica chitarristica, in un lavoro interamente strumentale.

Un disco intimo e profondamente evocativo, nel quale convergono attitudini roots, visioni desertiche e persino suggestioni tuareg.

Il blues è al centro di tutto, questa volta in forma scarna e minimale, un blues lontano mille miglia dai furori elettrici dei Bud Spencer, ma con il quale condivide una evidentissima matrice comune.

 

Ciao Adriano, in questi tre anni ne è passata di acqua sotto i ponti. Anzitutto i Bud sono continuati a crescere divenendo una realtà di rilievo nazionale…

Ciao, e grazie per l’attenzione che mi riservate: dal 2009 ho fatto tantissimi concerti con i Bud Spencer Blues Exposion (assieme al batterista Cesare Petulicchio, n.d.r.), cosa che mi è servita tanto, per crescere sia dal punto di vista musicale che umano.

 

Nel frattempo ti sei definitivamente affermato come uno dei migliori chitarristi italiani, dotato di una tecnica con pochi pari dalle nostre parti. Come ti mantieni in allenamento? Cerchi continuamente un miglioramento? Ti piace esplorare nuove vie?

Anzi tutto grazie infinite per le belle parole . . . sono lusingato. Io amo la chitarra, adoro approfondire e studiare la musica che ascolto e che mi emoziona, trascorro molto tempo a casa a suonare sui dischi.

Ho sempre avuto l'esigenza di mantenermi in allenamento con lo strumento: se mi fermo, anche solo per pochi giorni, perdo lucidità e freschezza nelle dita. Considero la chitarra una vera e propria forma di disciplina.

 

La chiave del tuo successo sta nel riuscire a legare una forte matrice roots, in particolare blues, con suoni e tendenze contemporanee, che vanno dal grunge e l’alt-rock degli anni 90 all’indie del decennio successivo…

Voglio essere me stesso e suonare quello che più mi piace; cerco di mixare tutte le influenze che più mi  emozionano, è un’esigenza inderogabile.

Mi sento molto appagato se in un assolo, o all’interno di un riff, riesco ad inserire l'attitudine di un synth modulare, la potenza dei un banjo roots o la semplicità della slack-key guitar.

 

Adriano session man: accanto ai Bud hai sviluppato collaborazioni interessanti, fra i quali vale la pena menzionare almeno Valentina Lupi e Sadside Project.

Il confronto con altri artisti per me è fondamentale , ne sento l’esigenza, per proseguire l’apprendimento ed imparare ad esplorare verso nuove direzioni, o anche semplicemente per curiosità.

Non sempre è facile convogliare tutte le proprie sfaccettature in un solo progetto, anzi a volte potrebbe dar vita a risultati forzati. Ecco perché mi impegno continuamente in collaborazioni e progetti paralleli.

Ad esempio ho la fortuna di suonare con l'incredibile contrabbassista Enzo Pietropaoli, musica sottovoce, sto imparando tantissimo da questa esperienza.

 

Veniamo ai progetti paralleli: Black Friday. Com’è nata l’idea ?

Il disco uscito come Black Friday è stato il risultato di alcune session condivise con il cantante Luca Sapio.

Nel 2010, quando abbiamo registrato "Hard Times", ho sentito cuore in quella musica, ecco perché abbiamo deciso di concretizzare quell’incontro in un album che potesse documentarlo.

 

Classici del blues, ma in mezzo anche un pezzo dei Nirvana (“School”), che a conti fatti ci sta benissimo. Un cerchio che si chiude? Grunge e blues come due espressioni di sofferenza?

Ho voluto inserire quella cover dei Nirvana perché sia il blues che il grunge, che mi avevano ispirato con i Bud, era ancora fortemente presenti nel mio umore.

Una firma, un timbro, per rendere attuale un disco di delta blues.

 

I Black Friday sono un altro progetto a due, come i Bud Spencer Blues Explosion. Suonare in una band numerosa pensi non faccia più per te ?

In realtà ho sempre suonato in band con più elementi, è solo dal 2007 che ho intrapreso la via del duo, una scelta fatta prevalentemente per motivi di praticità.

Ma quando si presenta l'occasione, amo suonare anche con gruppi più numerosi.

 

E arriviamo al 2013: il tuo esordio solista è tale in tutti i sensi: tu, la tua chitarra e quasi niente altro...

Sentivo forte l'esigenza di un disco di sola chitarra, che parlasse per me, con il quale far emergere il mio lato musicale più semplice, senza istruzioni per l'uso, senza particolari chiavi di lettura.

Goldfoil” è stata un’esperienza profonda, sincera e onesta: sapevo che l'avrei potuta condividere con il pubblico, ed allora mi sono deciso, ed ho registrato.

 

Com’è nato “Goldfoil”? Ci pensavi da anni, stavi mettendo idee e materiale da parte, oppure è stato un esperimento pensato e realizzato in tempi recenti?

L’idea è nata nel corso del 2012, un disco solista non è mai stato un mio obiettivo, mi ritengo un tipo da band. Però queste registrazioni hanno un significato che va oltre quello del progetto solo: sono per me un punto, un’istantanea che volevo fermare, altrimenti sarei andato avanti perdendo per sempre questa opportunità.

 

Dentro “Goldfoil” c’è il deserto americano, ma anche il Sahara, le suggestioni tuareg di “Blue Man”.

Esatto. L'idea del deserto, di orizzonti vasti, l’esperienza del viaggio, tutti elementi che ricorrono nelle atmosfere del disco, in maniera a volte inconsapevole.

E' stato sorprendente anche per me riascoltare il cd una volta finito, appena avuto fra le mani completo, con la copertina e tutto. Affrontarlo da ascoltatore mi ha fatto un effetto incredibile, mi rilassa molto, una cosa che non mi succede mai.

 

In questo lavoro tendi a sottolineare nuovamente quelli che consideri i tuoi maestri: sprazzi di Son Volt, di John Fahey, dei due Johnson e soprattutto di Ry Cooder sono un po’ ovunque…

Ci sono artisti che ti segnano per sempre, che diventano parte integrante del tuo esistere. Era inevitabile che Ry Cooder echeggiasse palesemente: sono praticamente cresciuto e ho sognato con i suoi dischi.

Riguardo John Fahey, ho inserito nella tracklist “Lago Vestapol”, che scrissi dopo aver ascoltato la sua “America”: ha il profumo dei posti nei quali sono cresciuto, delle giornate trascorse da adolescente in compagnia degli amici.

 

E poi una cover di Woody Guthrie, un altro tuo mito…

Quel brano, “Vigilante Man”,  ha lo stesso battito dei libri di John Steinbeck:  è un immaginario romantico che ci stava bene nel disco, soprattutto per il gran finale, con il solo che ho aggiunto io e che mi fa venire i brividi ogni volta che lo riascolto. Queste canzoni non vanno lasciate da sole, non vanno abbandonate mai.

 

Il disco si apre con “Immaculate Conception”

L’eco di Blind Willie Johnson è palese: è il mio riferimento assoluto per quanto riguarda la tecnica slide.

L’accordatura è in RE aperto, quella che più di tutte mi aiuta a suonare la chitarra slide ad occhi chiusi, con il massimo del trasporto passionale.

 

“Kensington Blues” è invece un pezzo di Jack Rose.

Un artista incredibile, venuto a mancare pochi anni fa. Ho deciso di inserire questo brano perché colpisce il mio animo: incredibile quanta dolcezza possa nascondersi fra le pieghe di un arpeggio.

 

Veniamo alla collaborazione con Alessandro Cortini, già con Trent Reznor nei Nine Inch Nails.

Ho scritto la musica di “New Revolution Of The Innocents” nei pochi metri quadri della stanza dove ho vissuto per anni a Roma, nel quartiere di Testaccio, poi il brano nel corso del tempo ha mutato aspetto, oggi mi pare quasi un film, una via di mezzo fra “Ai confini della realtà” e “A Scanner Darkly”.

Allora ho pensato che Alessandro si sarebbe trovato a proprio agio in una situazione simile, ed è nata l’idea dell’unico featuring del disco. Sono un grande fan di tutto il lavoro di Cortini, sia con i suoi numerosi progetti da solista che con le band nelle quali ha militato. Oggi continua a fare cose egregie con Sonoio e Blindoldfreak. Da sempre sono affascinato dal suo modo in cui Alessandro intende la musica, dal modo con il quale sfrutta la sua incredibile strumentazione, costituita soprattutto da synth modulari. In questo caso è stato utilizzato il BUCHLA. Inoltre amo i Nine Inch Nails, quindi puoi immaginare quale onore sia stato poter condividere un brano con Cortini. Oltre che una grande opportunità.

 

Annotazioni sparse sulle altre tracce?

“God Don’t Never Change” è uno spiritual tradizionale dal sapore mistico.

“No Name Blues” è un blues saltellante, che riporta alla mente campi di cotone e storie del delta.

“Stile-O-Blues” è un pezzo veloce, a metà strada fra Robert Johnson e il più recente Alvin Youngblood Hart, che prende il nome dalla chitarra con la quale lo suono.

“Montecavo” è il nome del monte che sovrasta i luoghi dove sono nato: quando le nuvole coprono il monte è meglio tornare a casa di corsa. La musica di questo pezzo però è molto “desert”, un posto dove non piove mai, mi piaceva il contrasto fra le due situazioni.

“Stella South Medley” è un insieme di traditionals che ho voluto unire assieme e suonare tutti d’un fiato. La chitarra che uso è appunto una “Stella”, una chitarra economica con un gran suono blues.

 

Poi c’è l’evergreen “If I Were A Carpenter”.

Sì, il superclassico di Tim Hardin non poteva mancare, perché a casa dei miei si fischietta spesso, ed a me piaceva l’idea che potesse essere dentro “Godfoil”.

 

Dato per assodato il tuo background, cosa stai ascoltando invece in quest’ultimo periodo? Quali sono i dischi che hai apprezzato maggiormente in questi ultimi mesi?

Cose anche molto diverse fra loro. Mi è piaciuto molto il disco solista di Alain Johannes, ed anche l’esordio solista di Jack White, ma allo stesso tempo ho apprezzato anche How To Destroy Angels e St. Vincent

 

Continui a vivere a Roma?

Per ora sì, anche se un po’ fuori dal caos, ai Castelli Romani.

 

Non pensi mai che trasferirti a Londra o a New York potrebbe consentirti di aumentare esponenzialmente la tua visibilità, potrebbe metterti nelle condizioni di collaborare con artisti di rilievo internazionale, e magari riuscire ad importi oltre i confini del nostro paese?

Al momento non mi sto ponendo il problema, ma non mi sento di escludere di poter vivere o lavorare altrove in futuro. Mi piacerebbe molto andare negli Stati Uniti per poter suonare nelle loro realtà.

 

Intanto in autunno la Rough Trade si occuperà del lancio di “Goldfoil” su scala europea. Come sei entrato in contatto con l’importante label londinese?

Grazie al distributore italiano, Audioglobe, ho avuto questa incredibile opportunità: il mio disco non ha lingua, quindi può suonare vero, senza accento, ovunque.

 

Come trovi la scena alternativa musicale italiana (in generale) e romana (in particolare)? In salute?

Certo, in grande salute. Trovo che le band prendano linfa vitale da questo momento spietato, è un bene per l'arte e per l'onestà artistica.

E’ dura, non lo metto in dubbio, però questo lavoro e davvero molto gratificante.

 

Ci sono band/artisti che ti hanno colpito, magari fra le giovani formazioni che si trovano sul palco ad aprire i concerti dei BSBE?

Abbiamo condiviso il palco con tantissime band, e molte di queste si sono dimostrate veramente forti. Solitamente mi rimangono impresse quelle più hardcore:  mi sembrano più sincere

 

Stai portando avanti un percorso all’interno del quale ti stai togliendo parecchie soddisfazioni. Oggi a cosa aspiri? Quali sono i tuoi desideri? Quali saranno le tue prossime mosse?

Gli obiettivi principali sono continuare a realizzare buona musica, e confrontarmi con altri artisti.

Mi piacerebbe dare un seguito a questo filone di sola chitarra, ma chissà . . . in questi giorni nei miei pensieri c'è il nuovo lavoro dei Bud, ma ci saranno anche altre sorprese....

 

Qualche anticipazione sul futuro dei Bud Spencer?

Sorpresa!

 

Facci il nome di qualche artista con il quale ti piacerebbe collaborare in futuro. Qualche sogno nel cassetto…

Mi piacerebbe moltissimo fare qualcosa con i Verdena: sono da sempre un loro fan.

E sogno di poter suonare con David Lindley e con i Tinariwen.

 

Beh, il messaggio è lanciato…

La crisi del mercato discografico è senza fondo: quante copie ha venduto “Do It”?

Purtroppo non conosco i numeri reali, però so che è andata bene, molto meglio di quanto ci saremmo  aspettati. Ma tieni conto che noi siamo felici con poco.

 

Con le vendite che si riescono a totalizzare oggi, l’unica fonte di guadagno deriva dall’attività concertistica…

Per me i concerti sono sempre stati importanti, restano i momenti più sinceri che possono essere donati ad un ascoltatore.

Momento magici, che fra l’altro consentono l'improvvisazione, che rende ogni evento diverso dall'altro.

 

Favorevole o contrario al downloading “illegale”?

Favorevole, anche se in realtà io i dischi li compro.

Solitamente sul web, visto che purtroppo i negozi stanno pian piano scomparendo.

 

A parte coloro che hanno dei progetti in corso con te, a quali musicisti italiani sei più legato?

Ti cito un nome: i Colle der Fomento.

Discografia

ADRIANO VITERBINI
Goldfoil (Bomba Dischi, 2013)6,5
Film O Sound (Bomba Dischi, 2015)6,5
Solitario Solidale (Ep, Hyperjazz, 2022)6,5
BUD SPENCER BLUES EXPLOSION
Happy (autoprodotto, 2007)6
Bud Spencer Blues Explosion (Yorpikus/ Audioglobe, 2009) 7
Fuoco Lento - Live EP (Yorpikus, 2011)6,5
Do It (Yorpikus/ Audioglobe, 2011) 7,5
BSB3(42 Records, 2014)7
Vivi muori blues ripeti (La Tempesta, 2018)6,5
I HATE MY VILLAGE
I Hate My Village (La Tempesta International, 2019)6,5
Gibbone (Ep, La Tempesta,2021)7
BLACK FRIDAY
Hard Times (2010, Alì Bumaye)6
Pietra miliare
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