Autore: Fabio Maccheroni
Titolo: Solo - Quando George Harrison lasciò per sempre i Beatles
Editore: Fermento
Pagine: 148
Prezzo: 12 euroAll things must pass. Tutto deve finire, anche la leggenda di chi è diventato Fab fo(u)r ever. Un pensiero a metà tra ossessione e serena rassegnazione, che si fa largo nella mente tormentata del più enigmatico dei Beatles: George Harrison, il dark horse che ha vissuto per anni all’ombra del dualismo McCartney-Lennon inseguendo l’utopia hippie e lo spiritualismo orientale. Ma anche – come opportunamente sottolineato dallo splendido film-documentario “Living In The Material World” di Martin Scorsese – un uomo pienamente inserito nel mondo materiale, spesso assai meno cupo e sfuggente di quanto le biografie ufficiali abbiano sempre raccontato. Un personaggio ironico, acuto, profondo, avvinghiato alla sua chitarra che piange gentilmente.
Fabio Maccheroni lo fissa così, in quell’istante eterno in cui la consapevolezza della fine del mito beatlesiano ha lasciato spazio a nuovi sogni: uno strepitoso triplo album (“All Things Must Pass”, appunto), il leggendario concerto per il Bangladesh, ideato insieme all’amico Ravi Shankar, e l’avvio di una carriera solista che l’avrebbe segnalato come il più sorprendente songwriter del quartetto di Liverpool.
Ma per chi ha già toccato il cielo con un dito e si ritrova a dover ripartire a soli 27 anni, la consapevolezza della fine di un’epoca – quella di “long time ago when we was fab”, come l’avrebbe malinconicamente ricordata in una bella canzone scritta nel 1988 con Jeff Lynne – non può non essere foriera di dubbi, ripensamenti, nostalgie. Così, il George Harrison del 1970 è un uomo ancora alla ricerca della sua strada, tenacemente attaccato ai suoi ricordi, che si snodano convulsamente, in una sequenza di flashback efficacemente architettata da Maccheroni. Un flusso di coscienza che lo porterà a rimettere a fuoco alcune delle tappe salienti di quell’epopea: i momenti più difficili (la dura gavetta nel freddo teutonico di Amburgo), i primi, imprevedibili trionfi, i rapporti con i due dei ex machina del mito beatlesiano (il manager Brian Epstein e il produttore George Martin), gli scontri di personalità all’interno della band, le favolose donne (come Pattie Boyd, musa amata e traditrice), le massacranti tournée e le infinite session in studio. Fino ai titoli di coda, sfumati su quella chitarra piangente che, con l’aiuto dell’amico (e rivale in amore) Clapton, avrebbe forgiato quel capolavoro di nome “While My Guitar Gently Weeps”.
“Solo” non è l’ennesimo libro-ricordo dei Beatles. È un vero e proprio romanzo, in cui la successione degli eventi e dei ricordi avvince e conquista, specie per chi è sempre a caccia di aneddoti e storie dai favolosi Sixties. Ma ad ammaliare è soprattutto il percorso mentale di Harrison, quel passaggio da uno scintillante “Noi” a un “I Me Mine” tutto da costruire, come spiega una delle sue canzoni più intimiste. Io-me-a-me: attraverso la consapevolezza di questa nuova dimensione, Harrison riuscirà a dare un senso alla sua vita post-Fab, regalandoci una sequela di perle ancora troppo sottovalutate, nonostante tutte le riscoperte postume, non ultima quella, straordinaria, di Scorsese. Un cammino sempre sul filo della malinconia, tra slanci spirituali (“My Sweet Lord”, “Give Me Love”) e dirupi di malinconia (“Beware Of Darkness”, “Blow Away” e mille altre).
Chi conosce Fabio Maccheroni, giornalista e collega di Leggo, sa come possa bastare il minimo spunto di conversazione a riaccendere la sua sterminata (e irrefrenabile!) macchina dei ricordi beatlesiana. “Solo” ne è la brillante trasposizione in formato letterario. Per chi ha amato George Harrison – ma anche per chi non sa resistere alla seduzione della malinconia - una lettura preziosa.
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