The Anchoress

The Anchoress

Tradurre il dolore

intervista di Alessio Belli e Cristiano Orlando

Catherine Ann Davies con il suo moniker The Anchoress ha rilasciato uno degli album più attesi di questo primo scorcio del 2021. “The Art Of Losing” è un oggetto di bellezza contorta dal cuore emotivo; è realismo magico, un concept-album molto forte nei concetti espressi, volti a sviscerare complesse vicende e aspetti personali, quali la morte del padre, aborti spontanei, il cancro, il tutto affrontato con un alto grado di ottimismo e di forza interiore. In quest’intervista, la cantautrice e polistrumentista gallese traccia le tappe che hanno costituito il processo creativo del disco, dall’analisi nel pubblicarlo in piena epoca pandemica, al metodo utilizzato per canalizzare in musica le vicissitudini – spesso dolorose – di partenza, dagli intriganti podcast pubblicati a tema, alle tante collaborazioni che l’hanno da sempre contraddistinta, fino a toccare la cura maniacale da sempre mostrata nella stesura delle partiture strumentali.

Quali sono i pensieri e le riflessioni nel rilasciare un disco ("The Art Of Losing" era pronto per uscire già nel marzo 2020) ai tempi del Covid-19: esiste adesso un momento “giusto” per pubblicare un disco in questa situazione?
È strano: l'album è stato terminato nel 2019 ed ero molto preoccupata per come sarebbe stato accolto, poiché alcuni temi erano così oscuri e scomodi. Non potevo prevedere che nel momento in cui sarebbe stato rilasciato (è stato ritardato di un anno), saremmo stati tutti costretti ad affrontare la nostra mortalità, vivendo nel mezzo di una pandemia mondiale. Quindi, in un certo senso, era il momento "giusto" per pubblicare un disco che si muove dissezionando la morte e il dolore. Sembra abbia avuto un forte impatto sugli ascoltatori, in un modo che non mi sarei mai aspettata nel momento in cui lo stavo scrivendo. È stato tutto molto fortuito.

Qual è il momento di "The Art Of Losing" di cui sei più fiera?
Aver scritto e prodotto l'album da sola è probabilmente la cosa di cui sono più orgogliosa in termini di disco nel suo complesso. È casuale come stabilisco la mia “platea” in termini di ciò che posso fare con la produzione e gli arrangiamenti moderni. Di solito, sono autocritica e raramente sono felice di qualsiasi cosa creo, ma onestamente posso dire che cambierei nell'intero disco solo una piccola cosa. Ne sono così orgogliosa... Non è tanto una canzone o un momento, ma più lo sforzo cumulativo dell'intero progetto, una dichiarazione di cui mi sento completamente soddisfatta. E non avrei potuto chiedere miglior accoglienza in termini di recensioni, radio ecc.

Ci racconti anche del podcast omonimo che ha anticipato la pubblicazione dell'album?
Il podcast è stato un processo catartico e integrativo dell'album, in quanto mi ha aiutato a elaborare tante esperienze e le perdite che ho avuto nella mia vita personale durante la realizzazione di "The Art Of Losing". Sono riuscita a parlare e imparare da tante persone sagge e profonde. Erano molto più avanti lungo la strada del dolore rispetto a me e ho potuto apprendere dai loro percorsi. È una sorta di progetto complementare al disco, per coloro che vogliono immergersi più a fondo nei temi e confrontarsi su come sia possibile fare arte da o nel mezzo di una perdita. Ho parlato con il produttore di David Bowie, Mario McNulty, a proposito della realizzazione dell'album "perduto" di Bowie, così come con Patrick Jones sulla poesia del dolore, Sophie Daniels sulla perdita di un figlio e con Kat Lister riguardo il suo essere rimasta vedova da giovane.

Tra i messaggi che hai ricevuto dopo la pubblicazione di "The Art Of Losing", ce ne è uno che ti ha particolarmente colpito?
Penso che la reazione generale avuta online da "5 AM" sia stata il più grande impatto – in termini di consapevolezza – di quanto l'album comunicasse alle persone. Avevo paura nel condividere una canzone che tratta l'argomento dell'aggressione sessuale – di solito sono una persona molto riservata – ma mi sono resa conto nel momento in cui l'avevo pubblicata che non si trattava solo della mia storia: era una storia condivisa che tante persone hanno vissuto. Quello è stato il momento più importante dopo la pubblicazione, quello che mi ha colpito di più: tutte queste persone che condividono le proprie storie con me, sia pubblicamente che privatamente.

I tuoi testi sono spesso autobiografici. Qual è la chiave per riuscire a canalizzare in parole e musica i tuoi sentimenti e soprattutto le esperienze dolorose?
Non sono sicura di conoscere la chiave, al di la di permettere semplicemente a te stesso di essere autentico e canalizzare la tua esperienza nel processo di scrittura delle canzoni. Scrivo molte frasi e pensieri man mano che mi vengono in mente e cerco di non concentrarmi troppo sull'idea che qualcuno ascolti la canzone quando è finita, ma piuttosto cerco di rendere una registrazione il più accurata possibile riguardo il momento o il sentimento in questione. Questo è tutto ciò che possiamo fare come cantautori: tradurre il dolore.

Vivere il dolore e lasciare che faccia il proprio lavoro per farne esaurire la propria energia, come comunichi in "Let It Hurt". E' davvero possibile per tutti?
Non sono sicura che sia qualcosa che tutti possono o vogliono permettere, ma per me era un mantra su come dovevo evitare di affrontare il mio dolore e la mia perdita. Ero stata in tour e avevo viaggiato molto durante questo periodo di tempo: c'era una parte enorme di me che aveva “congelato” tanti miei sentimenti e il complesso processo di scendere a patti con cosa è accaduto nella mia vita. Questa canzone era un messaggio a me stessa per essere coraggiosa e affrontare tutto di petto. Alla fine della giornata, permettersi di essere vulnerabili a volte può essere l'atto più coraggioso. Affronta la difficoltà e impegnati per capire cosa è successo nella tua vita. Così tante persone si rivolgono all'alcol o alle droghe per alleviare il dolore. Non fa per me: meglio affrontarlo a testa alta.

Il brano "5 AM" ha colpito anche me per la gravità delle situazioni traumatiche descritte con un piglio inedito, quasi pacifico.
Grazie. Volevo presentare in maniera abbastanza “non drammatica” questi eventi che sono così comuni nella vita di molte donne, in una modalità che evitasse le solite rappresentazioni che spesso accompagnano una trasposizione sullo schermo o tramite parole. Sembrava più potente lasciare che le parole portassero questo peso e non avere la musica in competizione per l'attenzione. Volevo che fossero senza pretese e che si insinuassero nell'ascoltatore. Volevo creare un impatto tra la collisione del dolce suono di pianoforte e la brutalità delle parole.

Una delle tante virtù di "The Art Of Losing" è la varietà di generi musicali. Nelle tue composizioni sono i testi o le musiche a nascere prima?
Di solito mi ritrovo a comporre prima la musica. Sono ispirata da un'enorme varietà di musica, dal neoclassico all'heavy rock, quindi è naturale che ciò traspaia nel modo in cui compongo. Vengo spesso etichettata con "art rock" o "pop barocco", un modo per dare un senso a come mescolo questi stili diversi. Non mi censuro se voglio scrivere una canzone heavy rock come “My Confessor” e poi avere un intermezzo di pianoforte in stile Max Richter uno accanto all'altro.

Trovo una certa affinità, nel tuo metodo di descrivere il dolore e le difficoltà, con Martin Gore, che ne ha sempre ribadito l'effetto catartico. Anche tu provi questo?
Grazie! Sono una grande fan dei Depeche Mode e penso che Martin Gore sia un incredibile cantautore. La band ha avuto un'enorme influenza su questo nuovo album. Volevo rifarmi alla sua capacità di combinare argomenti oscuri con musica allegra, gioiosa, quasi come un inno, e tenerla come modello di approccio per i singoli di “The Art Of Losing”.

Da raffinata polistrumentista, c'è uno strumento in particolare che utilizzi per tradurre in musica i tuoi pensieri? Ci racconti anche della tua passione per la musica analogica e strumenti vintage?
Come strumenti di composizione per la struttura principale di una canzone tendo a scrivere al piano o alla chitarra, sebbene alcune delle tracce di questo nuovo album siano state composte sul sintetizzatore OB-6 direttamente su Pro Tools, che per me è stata un'evoluzione del processo. Mentre suonavo con i Simple Minds tra il 2014 e il 2018, imparavo e sfogliavo il loro catalogo per suonarlo dal vivo sul palco, e ovviamente mi sono interessata molto ai sintetizzatori analogici e vintage. Questo ha naturalmente influenzato gli strumenti che collezionavo per il mio studio e il modo in cui scrivevo nuove canzoni per “The Art Of Losing”.

Hai portato avanti tantissime collaborazioni in questi anni, qual è l'artista che ti ha arricchito di più e per quale motivo? Con chi invece vorresti collaborare in futuro?
È difficile scegliere un'esperienza tra tutte perché ho imparato tante cose diverse da tutti coloro con cui ho collaborato. Riguardo ciò che probabilmente ha arricchito di più “The Art Of Losing”, direi le mie collaborazioni con i Manic Street Preachers, in particolare con James Dean Bradfield. Da lui ho percepito la chiara sensazione di come il suo mestiere di compositore sia in gran parte il risultato di un'etica di lavoro coerente e di revisione e riscrittura. Ho applicato tale metodo alla realizzazione dell'intero album. Ad esempio, c'è stato un momento in cui "Unravel" proprio non funzionava e ho pensato di eliminarla, ma ho tenuto a mente ciò che James mi aveva detto riguardo la scrittura di oltre 30 versioni della loro "Faster" e ho continuato a rielaborare, arrangiare e “disfare” la canzone fino a quando tutto è andato a posto, all'ultimo minuto. In termini di future collaborazioni, mi piacerebbe lavorare in studio con Kate Bush. Penso che sia davvero un genio della produzione. Amo il suo senso di giocosità.

Discografia
 Confessions Of A Romance Novelist (Kscope, 2016)
 Live At The London Palladium (live, Self Release Bandcamp, 2020)
 In Memory Of My Feelings (con Bernard Butler, Needle Mythology , 2020)
The Art Of Losing (Kscope, 2021)

 

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