
Ore 21.40, interno di un fumoso pub con annessa sala biliardo, da qualche parte a Cagliari. Sono andato fiducioso, forte dell’ascolto del pregevole “Igneo”, all’appuntamento con questa band che prometteva faville.
Il locale è piccolo, il pubblico presente è piuttosto eterogeneo, con l’ovvia presenza in maggioranza di tipini e tipine alt-look. Il concerto è aperto da un volenteroso power trio del cui nome conosco solo la traduzione: “Non ti scordar di me”. Davvero bravini, autori di un rock scheggiato molto albiniano; la mia ignoranza non permette di stabilire se hanno suonato solo cover o era materiale loro, in ogni caso mezz’ora di set tirato e potente. Tempo 10 minuti, e nel minuscolo palco salgono finalmente gli Zu.
L’avvio è come immaginavo, debordante, con i tre strumenti (sax, basso e batteria) che partono improvvisamente e contemporaneamente schizzando note velocissime e ottundenti. Per chi non sapesse nulla di loro, gli Zu fanno una musica che si potrebbe definire jazz-noise-core: con strumentazione jazz cercano impossibili velocità, ritmi forsennati, intricatissimi tempi e controtempi, svisate free dove tutti gli strumenti esplodono ognuno per conto proprio, salvo poi seguire in perfetta sincronia una linea musicale, o concludere nello stesso istante il pezzo.
Detto così sembrerebbe una pura espressione di virtuosismo, invece quello che senti è pura energia, persino gioia di vivere, e lo vedi dalle facce felici dei membri mentre si sfidano in velocità, il batterista che fa la faccia-da-scemo a lingua di fuori mentre picchia come un forsennato, il bassista- monstre che usa il basso come chitarra, come tastiera, ne cava fuori i rumori più assortiti, il tutto restando perfettamente a tempo. Dal canto suo il sassofono (o sax alto) emette le sue note acide, va per i fatti suoi, come se quanto stanno facendo i suoi compagni di merenda non lo riguardasse affatto. E il pubblico? Avvezzo magari a forme musicali più fruibili (leggasi canzoni da pogo), ascolta con attenzione e con momenti di entusiasmo, gli applausi sono copiosi alla fine di ogni pezzo, è soprattutto estasiato dallo sfoggio di bravura dei tre strumentisti.
Dopo un ora e mezza circa tiratissima, finale incandescente con una ubriacante riedizione di “Beat on the brat” dei Ramones, cantata con voce stonatissima e con il pubblico in delirio. Concerto esaltante. Un gruppo di statura internazionale.