
Dentro il locale, spazioso ma caldino, sembra di venire catapultati in "This is England" di Shane Meadows: skinhead di ogni età e provenienza in Fred Perry/Ben Sherman, jeans d'ordinanza, bretelle e Doctor Martens alle prese con qualche tonnellata di birra, in sottofondo mega-hit della prima ondata ska (Hot Rod All Stars, Tony Scott, Symarip of course) diffuse dagli impianti. D'altronde, come testimoniato abbondantemente da YouTube, il pubblico degli Specials era così: di estrazione working class, antirazzista, coscientemente impegnato, ma con pretese di stile. E'emozionante riconoscere molti skin originali del ‘69, quando il movimento non era ancora stato contagiato dalla propaganda del National Front che decretò poi il grande pregiudizio sulle teste rasate. Stasera è una reunion anche per loro.
Dopo un'inutile mezz'oretta di un'anonima band locale, una musichetta infantile, che solo dopo 20 secondi scopri essere "Enjoy Yourself", determina un macro-girotondo collettivo che non può non metterti a tuo agio. Cerchi di immaginarti come sarà, e quando si riaccendono le luci vedi prima volare litri di birra a una discreta altezza, poi gli Specials, nel 2009. Incredibile.
Beh, non proprio tutti: il membro fondatore Jerry Dammers e il mitico trombone di Rico Rodriguez hanno preferito declinare l'invito dei compagni (suonando però insieme qualche sera prima a Londra) ed è infinitamente più di un peccato.
Detto questo, passiamo ai presenti. Il primo a farsi riconoscere è Neville Staple, che ballerà e istrioneggerà per un'ora e mezzo, seguito dal suo interlocutore di sempre sul palco, il chitarrista Lynval Golding, l'altro giamaicano del gruppo. Poi l'altra chitarra di Roddy Radiation, in formissima nella sua mise punk nonostante qualche dente in meno, e il basso di Sir Horace Gentlemen, uno che in vita sua ha pure scritto un libro sullo ska e che attualmente insegna Storia dell'Arte ai bambini poveri nel Warwickshire. A completare l'organico, il vecchio leone Bradbury alla batteria, una sezione fiati che non vale neanche mezzo Rico, e un giovanotto che suona bene le tastiere, ma che rischia grosso a imitare le movenze di Jerry.
Già, ma Lui dov'è? Frontman ventunenne nel primo disco, Rude Boy per antonomasia, instant icon di una generazione: dov'è Terry Hall? E' lì, splendido e immobile signore in un abito da malavitoso che neanche ai tempi d'oro. Cinico nell'atteggiamento e impassibile nella sua faccia da schiaffi. Vai, Terry.
Si comincia nientemeno che con "Do The Dog", sorta di manifesto del gruppo dedicato a ted, mod, skinhead e a qualunque altra confraternita si sia mai battuta nelle calde strade inglesi dei Seventies; si prosegue con "Dawning Of A New Era", si salta sulla mitica "Gangsters" e si gode con l'azzeccatissima accoppiata "Monkey Man"-"Blank Expression", proprio come tanti anni fa. E' chiaro fin da subito che la reunion riguarda la line-up originale degli Specials, quella del biennio '79-'81, quella dei primi due album, tralasciando tutta la successiva produzione "radio friendly". E meno male.
Terry si ferma per svestirsi un attimo, forse si immagina anche lui come si sta là sotto: nel locale non si respira più, dice Neville che la prossima canzone è adatta al momento, si chiama "Too Hot". La spensieratezza lascia spazio alla riflessione degli Specials, o forse anche loro sentono quest'afa malefica (mai provata prima, giuro!) ; fatto sta che si balla di meno e si canta di più con "It Doesn't Make It Alright", "A Message To You", "Rudy" e "Do Nothing", ma non c'è verso. Ogni pezzo di questo gruppo è una hit, ogni volta è un colpo al cuore.
"Happy?" chiede Sua Laconicità Terry Hall. Certo che sì, lo saremmo stati anche se tu ti fossi presentato biascicando un chewing gum e muovendo le labbra solo quando ne avessi avuto voglia, come facevi a Top Of The Pops; lo siamo anche ora, nonostante sappiamo quanta parte abbia il portafogli in un evento del genere, dopo aver dichiarato che non avevi problemi di soldi e che lo avresti fatto "solo per comprarti i dolci". Ma se le rivoluzioni non si processano, figuriamoci le reunion. Il pubblico conosce ogni parola delle canzoni ("Little Bitch", "Nite Klub")e balla incessantemente su una musica senza tempo, suonata, se possibile, con più classe che in passato; i testi poi (intercettazioni telefoniche, ragazzine ricche, giungle d'asfalto) sembrano profeticamente scritti per i giorni nostri. Felice? Da morire, Terry.
L'esecuzione migliore è il capolavoro "Ghost Town", che parla di Coventry e della sua seconda rovina, dopo il famigerato raid nazista del '40, per via di una disoccupazione che raggiunse l'apice nel paese, proprio mentre i Nostri ne diventavano una delle band più popolari. Ok, due soli album all'attivo, abbiamo già visto, ballato e sudato abbastanza. Macché: l'apoteosi investe l'Academy, una fornace ormai, con "Too Much Too Young", il classico dei Pioneers Longshot Kick de Bucket e il pezzo più gettonato all'entrata come nei pisciatoi del locale. Si chiama "Skinhead Moonstomp", viene suonata così così, ma non importa, a 40 anni dall'originale di Symarip c'è tranquillamente qualcuno che piange. "Enjoy Yourself" a chiudere circolarmente e trionfalmente, poi: solo applausi.
Ho visto padri con bambini per mano, ho visto una vecchia (ma vecchia) coppia di skin baciarsi appassionatamente, ho sentito l'amore in quella sala. Se solo il mondo fosse così, almeno per un giorno... poi mi guardo le scarpe e mi viene a mente il verso finale di "Friday Night": "Wish I had lipstick on my shirt, instead of piss stains on my shoes", e temo che tutto questo non cambierà niente. Eccetto noi stessi.