11/09/2013

David Byrne & St. Vincent

Auditorium, Roma


Appena cinque minuti dopo l’orario previsto, alle 21:05, quando molti ancora brancolano mezzi chini alla ricerca del loro posto tra le rosse poltrone della incantevole Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, le luci si abbassano e velocemente fanno il loro ingresso sulla scena i 10 musicisti, di cui 8 agli ottoni, un batterista e uno “smanettone” di gingilli elettronici, seguiti a breve distanza dai due protagonisti. Stasera, nonostante i biglietti non siano propriamente economici, c’è il tutto esaurito per David Byrne e Annie Clark, aka St. Vincent, sua straordinaria compagna di viaggio stasera come nell’ultimo, bellissimo, “Love This Giant”. La tappa romana è una delle quattro italiane, dopo Brescia e Padova e prima di Firenze, del lungo tour mondiale, ormai alle ultimissime date, che ha promosso in lungo e in largo l’ultima fatica discografica dell’inesauribile ex-frontman dei Talking Heads.

C’è poco da fare, più che a un concerto sembra di essere a teatro. La scenografia è però scarna, ricorda quella di una scena in allestimento, ragion per cui la mia mente vola immediatamente alle immagini di “Stop Making Sense”, il film-documentario del 1984, nonché opera discografica tra le più esaltanti dell’intera carriera dei Talking Heads. Un semplice panno nero fa infatti da sfondo a quello che sarà un vero spettacolo, in tutti i sensi. Di base c’è la riproposizione di tutti i brani da “Love This Giant” che, a dire il vero, pochissimi sembrano conoscere realmente, intervallati dai classici (praticamente tutti, esclusa, ahimè, “Psycho Killer”) di quelle teste parlanti, assolute protagoniste della scena post-punk che fu.
Si inizia con “Who”, la perla dell’ultimo album, ed è quindi via via divertente scoprire come ogni brano abbia una sua precisa e studiata coreografia, che coinvolge tutti i personaggi in scena, e una sempre diversa collocazione fisica di partenza dei protagonisti. Uno spettacolo nello spettacolo, ma c’era d’aspettarselo da un personaggio che di genio e creatività ha tempestato la sua lunghissima e ininterrotta carriera. Una sorta di musical surreale e schizoide, dove guadagna presto la stima del pubblico e parte della scena una bionda St. Vincent in grandissima forma. Voce potente ma gentile, spesso alle prese con complicati e particolarissimi riff di chitarra elettrica, intervallati da buffe movenze che richiamano volutamente quelle di una ballerina su un carillon.

David Byrne, a 61 anni, non può certo essere quello di una volta, ma gli anni non sembrano aver scalfito affatto la sua voglia di essere artista a modo suo, mai banale e sempre alla ricerca del particolare o della situazione che spiazza, dall’abbigliamento (è vestito completamente di bianco, scarpe comprese, tanto da meritarsi l’appellativo di “angelo” da parte di St. Vincent) alle particolari movenze dei suoi balletti (sembra un automa danzante) o come quando assiste a una esibizione in solitaria di St. Vincent immobile, riverso per terra su un fianco, o quando ancora imbastisce un simpatico siparietto con la fan delle prime file che non la voleva smettere di riprenderlo nell’atto delle sue preziose performance (“continua pure a riprendere, fare foto e video e quello che vuoi con il tuo i-Pad, ma goditi pure un po’ lo spettacolo, per favore. In rete ci sono tanti miei filmati, e si sentono e vedono pure bene”).

Inutile dire che i momenti più esaltanti sono stati quelli in qui David Byrne & C. ripropongono, in versioni necessariamente riadattate ma comunque piuttosto fedeli agli originali, i classici del repertorio dei Talking Heads, da “This Must Be The Place”, introdotta da una doverosa menzione speciale per Paolo Sorrentino, a “Burning Down The House”(momento di esaltazione massima del pubblico, fino ad allora piuttosto composto) per arrivare quindi all’apoteosi di “Road To Nowhere”, il pezzo con il quale, dopo due ritorni in scena, l’allegra e colorita combriccola, in fila indiana, saluta il pubblico romano, letteralmente in delirio.

Ne è passato di tempo da quel 1977 quando David Byrne e i suoi Talking Heads irruppero sulla scena musicale offrendo al pubblico attento e certamente selezionato qualcosa di mai visto e sentito prima, diventando modelli di innovazione e creatività per infinite schiere di discepoli a venire. Ne è passato di tempo certo, ma pochi, stasera, sembrano realmente essersene accorti.

Setlist

Who

Weekend in the Dust

Save Me From What I Want

Strange Overtones

I Am an Ape

Marrow

This Must Be the Place (Naive Melody)

The Forest Awakes

Optimist

Like Humans Do

Lightning

Wild Wild Life

Cheerleader

Lazy

I Should Watch TV

Northern Lights

The One Who Broke Your Heart

Outside of Space and Time

 

Encore

 

Cruel

Burning Down the House

 

Encore 2:

 

The Party

Road to Nowhere

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