La notte di Kangding Ray è stata la notte in cui abbiamo assistito alla trasformazione del pensiero in impulsi e gli impulsi in carne che si muoveva, dentro una macchina calcolatrice, tra miliardi di informazioni e nanomacchine infestanti attorno a noi.
Tra le sculture spigolose e grezze del Museo Marini, tra le sue strutture in bilico fra modernità e classicità, una messa in scena industriale e tecnologica si è mossa organica verso il pubblico raccoltosi poche ore prima per il live set degli Alpin Folks.
Lo spettacolo a cui assisteranno sarà ben diverso da quella formula ambient techno sperimentale, tra riflessioni '60s e panorami montani, di cui il duo fiorentino si fa pregevole fautore.
I ritmi di Kangding Ray, nome d'arte di David Letellier, si muovono su onde cerebrali anomale, destrutturando il ritmo in atmosfere nere e fantascientifiche, per poi scavare dentro il grasso di ingranaggi matematici.
È una techno che parte dalle atmosfere cyberpunk care ai Black Rain e a quelle prog/sci-fi dell'ultimo Umberto, per poi sconvolgere in un flusso di coscienza di riprogrammazione neurolinguistica.
Il movimento è in equilibrio costante su una geometria caotica e lisergica, che collide continuamente in uno spazio vuoto, cercando adepti da contaminare.
David Letellier sta a capo chino per quasi tutto il tempo, concentrato sulla sua matassa spigolosa di ritmi. Una solida formula funzionale, una serie infinita di particelle soniche in apparente caos architettonico che racchiude tutto il museo, per poi scivolare dentro i tessuti muscolari e farli muovere in una danza meccanico-industriale.
Il processo di conversione mentale procede ineluttabile lungo tutto il live set, una serie incontrollabile e difficilmente riassumibile di pulsioni elettriche che riuscivano a concentrare nella loro essenzialità tutta la violenza e l'energia sessuale di un tribalismo teletrasportato in un futuro astratto.
Uno spettacolo freddo e perfetto nella sua forma cristallina e percussiva, un piccolo gioiello di suono geometrico.