Chi crede che Bologna sia una città a misura d'uomo, in cui tutto è a portata di mano e le stressanti corse a perdifiato metropolitane siano bandite, forse non è mai stato alla Zona Roveri - o forse, più prosaicamente, ha una patente e/o un'automobile a disposizione... L'angosciante odissea dell'arrivo tuttavia è stata una buona preparazione, fisica e soprattutto psicologica, al mood della serata, a cui hanno contribuito pure le impeccabili condizioni meteorologiche a base di gelo affilato e nebbia ectoplasmatica: più new wave di così, e proprio il caso di dirlo, si muore.
Ne è passata di acqua sotto il ponte dello Scherzo Mortale (dal plumbeo post-punk degli esordi ai capitoli più sintetici/ballabili di metà anni 80 fino alle ultime prove, più metalliche e massicce), ma la le coordinate del loro vocabolario sono rimaste sempre le stesse: musica ossessiva, violenta, apocalittica, senza possibili spiragli rassicuranti. Nonostante i miei sforzi mi perdo il gruppo spalla, di cui nemmeno mi ero informato: poco male. Il tempo di un drink e il rito sacrificale ha inizio...
A parte un nuovo componente (dalla sessualità non decifrabile) affaccendato alle tastiere, ci sono tutti i membri originari: il chitarrista Geordie Walker, il bassista Martin "Youth" Glover, il batterista "Big" Paul Ferguson e ovviamente lui, il mitico Jaz Coleman, gran sacerdote goth che adesso si limita a cantare (o meglio, a tuonare) con un look a metà tra Alice Cooper e Renato Zero e una teatralità, se possibile, anche più esasperata.
L’attacco con "The Hum" chiarisce subito le intenzioni: sarà una serata all'insegna di ritmi marziali e distorsioni opprimenti. Il suono è un po' caotico, il che non è necessariamente un male. Nemmeno il tempo di riprendersi e l'assalto ricomincia: "Love Like Blood" (hit da "Night Time", l'album che segnò il passaggio a sonorità più fruibili) è un crescendo di epicità oscura, con Jaz a stregoneggiare come un invasato sopra l'implacabile marcia dei suoi soldati.
Poi, in un'imprevedibile reminiscenza degli esordi militanti, ringhia nel microfono "The following song is for the victims of 1980 bomb in Bologna Station... They said it was leftists' fault, but it's not true: you have to blame America!", ed è come se venisse giù una valanga: "Eighties" rimane un inno ancora attuale a trent'anni dall'epoca che lo ispirò, e quel riff così sferzante (che, come tutti saprete, fu poi portato al successo da qualcun altro, con sommo disappunto del Nostro) è la perfetta colonna sonora per danzare sulle macerie di un'umanità che non ha mai meritato alcun paradiso.
Due brani dall'ultimo lavoro, un ripescaggio dai 90 filo-industrial, poi si torna su temi più familiari con quello che rimane forse il massimo capolavoro della band: quando ascoltai per la prima volta l'incipit di "Requiem", traccia d'apertura del loro omonimo esordio, pensai che fosse la cannonata più devastante che mai mi avesse perforato i timpani, una di quelle cose che ti inchiodano contro il muro e ti ci lasciano, e la massa di suono che mi viene rovesciata addosso non può che confermare quella iperbolica impressione. Chi canta, chi balla, chi si dimena: la sala pare ormai il set di un'orgia selvaggia.
"Change" (outtake dal primo album) e "Turn To Red" (addirittura precedente) mantengono alta la tensione scaldando (?) il cuore dei fan della prima ora. Altri due brani più recenti, poi di nuovo una raffica di pepite: su "Complications" si scatena uno dei cori da stadio più improbabili che si possano immaginare, "Unspeakable" (da "What's THIS For...!", secondo Lp del gruppo) è uno srotolarsi di percussioni tribali e ipnotiche pulsazioni di basso, l'epocale "The Wait" è un concentrato di ferocia inaudita, mentre il treno in corsa di "Pssyche" chiude trionfalmente la prima parte della serata.
I bis sono quantomai graditi: "Wardance" pare davvero una dichiarazione di guerra all'universo, uno schiacciasassi terrificante che non risparmia niente e nessuno, mentre l'oceano di metallo fuso di "Pandemonium" è il perfetto commiato di una band che farebbe qualsiasi cosa pur di non regalarvi sonni tranquilli.
Un concerto breve, nemmeno un'ora e mezza, ma ci sta tutto: un proiettile più è veloce più penetra a fondo. Più o meno tutto come mi aspettavo: le suggestioni di ieri rilette con la potenza di oggi, e una ciurma di teppisti cinquantenni in gran forma, addirittura simpatici nel loro autoironico integralismo (e, qua e là, nel loro sprezzo del ridicolo).
Un provvidenziale passaggio in auto mi risparmia una possibile replica dell'epopea dell'andata. Non che mi sarei tirato indietro: dopo un concerto simile, non può intimorirti (quasi) più nulla.