
Carl Brave e Franco126 cantano la vita di ragazzi come loro, ma in una città infinitesimamente più grande di Perugia. Cantano il romanticismo nell’era del car sharing e degli smartphone, proprio come quelli che luccicano in una serata di inizio luglio ai Giardini del Frontone, durante lentoni che un tempo avrebbero esaurito gas invece che batterie.
Quando il pubblico ventenne accoglie i The Pills con un mezzo boato ti rendi conto che i ragazzi umbri e gli universitari fuori sede la Capitale un po’ la sognano, un po’ la idealizzano e un po’ la cercano, trovandola in quelli che ci sono nati, come Carl Brave e Franco, che te la raccontano per come la vedono e per come la sanno, senza troppi fronzoli. Davanti a me Altea e Caterina hanno fatto un po’ di strada per venire da Fabriano, ma volentieri, perché la coppia di Trastevere le diverte. Dicono che i versi di Carl e Franco, anche quando sono spinti, non scadono mai nella volgarità. Forse è anche questo il segreto del loro successo: celebrare il sentimentalismo bilanciandolo con espedienti crudi e dettagli insignificanti, teoricamente perfino “antipoetici”: "Ho saltato il compleanno di mio nonno/ Il giorno dopo è morto, l'ho abbracciato in sogno/ Lei, ai suoi piedi Jeffrey Campbell". Si mimetizza bene l’Umbria, che è dappertutto più selvaggia e rurale di Roma – sul logo del Festival ci sono pure i dinosauri. Emula fin quanto può e un pochino ci riesce, vuoi perché, alla fine, si era tutti sotto lo Stato Pontificio, vuoi perché il dialetto perugino suona a tratti anche romano.
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Il duo capitolino raccoglie consensi da due estrazioni diverse: i feticisti dell’indie e gli amanti del rap. Quando aprono con “Solo guai” i membri di entrambe le fazioni ciondolano lenti, accennando movimenti stile hip hop, ma è quando scatta il ritornello che diventa tutto un rito collettivo sull’altare della melodia e del sing along. “Americane alla John Cabot”, “la solita vecchia Santa Maria”, “è del Flaming ed è come se venisse da altri pianeti”: in certi punti del live pochi sanno davvero ciò che stanno cantando, ma a chi importa?
Accanto a Carlo Luigi Coraggio (Carl Brave) e a Franco Bertollini (Franco126) ci sono una batteria, un sintetizzatore, due fiati, due chitarre e un basso. Pescano in ordine sparso dalla tracklist di "Polaroid", il loro disco d’esordio, un album di istantanee scevre di morale, che cristallizzano attimi irripetibili e più o meno significativi, ma dopottutto unici. Tra abusi di autotune e stonature varie, Carlo e Franco puntano sul trasporto e la genuinità, come chi seduce puntando tutto sulla simpatia. La gente balla con la birra in mano, cantando a intermittenza i versi che si ricorda meglio. “Due rom fanno un falò con le buste Crai”, urlano quando parte "Lucky Strike", la più dilatata e greve di tutte. Tra un acquarello flash del Pigneto e una polaroid scattata sui “tombini tatuati SPQR”, qualcuno mi chiede se so cosa vuol dire “m’hanno alzato un’altra volta il tergicristalli”. Rispondo che è la maniera più carina possibile per far capirti capire che hai parcheggiato di merda. Promosso.
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Per far numero e rimpinguare la scaletta spunta fuori pure qualche pezzo nuovo di “Notti Brave” (il lavoro di Carl Brave senza Franco). Su tutte spiccano “Fotografia” e “Camel Blu” - con i fantasmi della Michielin e di Giorgio Poi (lui sempre Bomba Dischi) che cantano da chissà dove.
Riesumazioni di Neffa e lontanissimi echi di neomelodico (Roma è la prima città del Sud) portano a braccetto il concerto verso la fine. “Interrail” fa sognare i diciottenni del Frontone che partiranno a giorni, liberati dal fardello dell’orale come un detenuto che ha appena scontato la pena.
Si chiude, ovviamente, con i pezzi grossi. “Sempre in due” è una canzone amara, fredda come delle forbici che sfiorano il collo mentre ti tagliano i capelli, d’amore o d’amicizia non si sa, dipende da chi l'ha ascolta, ma il messaggio è sempre lo stesso: "Tu dimmi dove sei, mi faccio tutta Roma a piedi". Quando attaccano la base di “Pellaria” si alzano le luci sui Giardini: è il segnale che è ora di tornare a casa. Due-accordi-due e una base che sembra presa in prestito da i “I Gotta Feeling” dei Black Eyed Peas. Qualcuno canta urlando la parola "pizzardoni". Pochi ne conoscono il significato stasera, qui a Perugia. Ma a chi importa?