Un piccolo teatro, l’Elfo Puccini di Milano. Una sala intima, la Fassbinder, con nemmeno 200 posti a sedere, e il riferimento al cinema che tornerà più tardi nel corso della serata.
Palcoscenico spoglio, al limite dell’essenziale: una pedana occupata dalla poltroncina zebrata, un paio di stivaletti quasi consumati e abat-jour da un lato, la console per i vinili che suoneranno le basi e gli archi, congegni elettronici e due chitarre acustiche dall'altro.
Luci soffuse, i protagonisti che si appalesano timidamente, quasi di soppiatto, il silenzio in platea figlio di una tensione emotiva unica.
Come se non ci fosse alcuno spazio temporale che ci ha portato qui, stasera.
E oggi è soltanto un ricordo di ieri
dai, prendimi adesso e trascinami giù
allarga le labbra su questa pelle
poi sciogli la vita e rovescia le ali
balliamo balliamo la Nera Signora
L'atmosfera è intima, quasi da salotto, le immagini del regista Francesco Frongia scorrono veloci: canzoni, reading, poesia. E una componente teatrale fortissima, figlia di un esperimento portato in scena già vent’anni fa, quando la parabola dei La Crus era in divenire in tutto il suo splendore.
Potremmo chiamarla rimpatriata tra vecchi amici, prima ancora che di musicisti, una "non-reunion" l’hanno definita loro. Perché non poteva bastare la fugace comparsata nel Sanremo 2011, con quel gioiello orchestrale che è “Io confesso”, per colmare una dolorosa assenza che va avanti da dieci anni. Esattamente, da quell’ultimo struggente concerto in un Arcimboldi sold-out, dove si salutava Milano prima dello scioglimento: un'intera orchestra alle spalle, una carriera marchiata a fuoco sinfonico, in compagnia di tanti compagni di viaggio, da Cristina Donà a Cristiano Godano, da Nada a Manuel Agnelli. E quindi no, non chiedetemi di essere imparziale con Mauro Ermanno Giovanardi e Cesare Costantino Malfatti.
In quella che è stata l’ultima grande scena della musica italiana, parlo degli anni Novanta, i La Crus sono stati unici nel rimaneggiare con classe la musica d'autore, aggiornando e attualizzando i grandi chansonnier con il contributo decisivo di quella benedetta new wave da cui tutto ha preso piede.
Come Tenco e Brel che incontrano i Portishead, o Bruno Martino che flirta coi Cccp.
Testi autorali, suoni in stile noise e dilatate atmosfere elettroniche con le orchestrazioni e la tromba di Paolo Milanesi, e il prezioso contributo ai testi dell'uomo-ombra Alessandro Cremonesi. Lui, sempre dietro le quinte, ma che forse è stato il più importante di tutti.
Ma è dentro i gesti di ogni giorno
l'amore è tutto lì
e' dentro alle cose di ogni giorno
dove ti perdo è sempre lì
Nell’oscurità della sala, appena illuminata dalla timida abat-jour ma più che altro dalla luce del proiettore, la serata si dipana tra letture di Crocevia, con brogliacci sparsi sul pavimento senza alcun ordine come appunti di un viaggio infinito, che riportano testi di Pasolini e Bufalino. Giovanardi, pose e movenze da crooner consumato, giganteggia al centro della scena. Come un Marc Almond più oscuro e signore del varietà. Si divide istrione tra reading e canzoni, comodamente sbracato in poltrona quando non sfiora il pubblico della prima fila con i suoi monologhi intrisi di gestualità teatrale.
Tenco e l’armonica sono con lui, sia dunque lode.
Malfatti più composto e riservato, come da copione. Concentrato sui vinili e sulle sei corde, saltuariamente raggiunge il sodale accucciandosi in pedana chino sulla chitarra.
Un’eleganza nel portamento e nei modi senza eguali, Cesare, maestro nel mettere a frutto una volta di più l'esperienza dei Dining Rooms e l’arte dei campionamenti al servizio dei La Crus. Quello che ne vien fuori è un mix perfetto di note acustiche e battiti elettronici provenienti dalla console, che inonda la sala di sonorità elegiache.
E il ricordo può e deve andare al 1996, quando furono proprio Mauro e Cesare per primi ad affidare le loro canzoni ad alcuni alternativi manipolatori di suoni (Vernetti, Madaski, Casino Royale, Technogod) per un disco di remix. Loro, che hanno saputo vincere due volte il premio Tenco e il premio Ciampi, entrando contemporaneamente in classifica con singoli quasi techno-pop, sempre coerenti nel proporre musica alta nei grandi festival come in minuscole location. Tra Sergio Endrigo e i bpm da scatenare nel club.
La setlist “canzoniera” è una carrellata di brani senza tempo dove il background, che parte dal post-punk, arriva dopo varie mutazioni all'elettronica, recuperando la canzone d'autore. Emblematica, in tal senso, "Come ogni volta", vero manifesto della capacità del gruppo di dar vita a questo strambo e geniale crossover.
Sei le sbarre al mio silenzio
sei il nemico andato via
mille volte l'unica poesia
Sei la cella e il prigioniero
l'illusione che cadrà
mille volte l'unica realtà
Correre, correre, balliamo balliamo la Nera Signora, e il pubblico, fino a quel momento in totale e rispettoso silenzio, quasi in apnea, si scioglie in un'ovazione da brividi. "Il Vino" chiude ottanta minuti di sconquasso emotivo totale, pelle d'oca e gioia interiore impossibile da esternare. Una voce fantastica, rimasta miracolosamente intatta nel tempo, arpeggi sonori che ti portano in un'altra dimensione. Il mio cuore sanguina per i La Crus. Io ho bisogno dei La Crus, la musica ha bisogno dei La Crus. Ridateci i La Crus.
Reading
Natale a Milano
Notti bianche
Reading
La luce al neon dei baracchini
Correre correre
Dentro me
Reading
Buco di pietra
Angela
Reading
Come ogni volta
Le cose di ogni giorno
Reading
L'uomo che non hai
Reading
Nera Signora
Il vino