Antonello Venditti e Francesco De Gregori, gli amici ritrovati. Un incontro-concerto che la pandemia ha fatto slittare di due anni, finendo col farlo coincidere proprio con il cinquantenario del loro unico disco inciso insieme, “Theorius Campus”. È lo scherzo che il destino ha giocato ai due ex compari del Folkstudio. Ma “come i pini di Roma, la vita non li spezza” e stasera vogliono tornare a dire “questa notte è ancora nostra”, per citare una celebre hit vendittiana (“Notte prima degli esami”), quella dove era proprio inclusa la celebre allusione ai “quattro ragazzi con la chitarra e un pianoforte sulla spalla” (gli altri due erano Ernesto Bassignano e il compianto Giorgio Lo Cascio). Si sono presi l'Olimpico, lo stadio della loro Roma (che per l’occasione riapre le porte alla musica dopo la pandemia), per l'avvio di un tour che li vedrà fianco a fianco in estate sui palcoscenici di tutta Italia (con una nuova data annunciata a Verona per il 5 ottobre). Il suggello a una sintonia recuperata dopo un tira e molla di mezzo secolo, fatto di amicizia e rivalità, dissapori e riavvicinamenti.
In un mondo lontano anni luce da quello delle utopie e degli scontri ideologici dell'era del Folkstudio, Venditti e De Gregori si ripresentano con le loro due grandi valigie piene di canzoni che hanno fatto, in qualche modo, la storia d'Italia. Dalla tensione degli anni di piombo al disimpegno degli anni 80, dal marcio di Tangentopoli all'era della disillusione. Un percorso che si è nutrito anche di fatti di cronaca, dalla Festa dell'Unità di “Modena” all'impegno militante di “Bomba o non bomba” e alla tragedia della droga di “Lilly”, dall'affresco in chiaroscuro del paese “metà giardino e metà galera” di “Viva l'Italia” all'elegia degli ultimi di “Santa Lucia” e della “Donna cannone”. Un racconto in versi e note che ha plasmato l'immaginario di un paese intero, senza tralasciare squarci di pura fantasia, magari camminando sui “Pezzi di vetro” o intravedendo “Lo stambecco ferito” (con la durezza della realtà, però, sempre in agguato).
E così, alle 21 in punto, annunciati da una spropositata intro strumentale (“Also sprach Zarathustra”, il tema di Strauss che Kubrick utilizzò per “2001: Odissea nello Spazio”), rieccoli qua davanti ai quarantamila dell'Olimpico: De Gregori detto il Principe e Antonello Venditti detto “Il cicalone” (o “Toshiro”, come Mifune). Così lontani, con i loro caratteri agli antipodi, eppure così vicini, per la comune militanza politica e musicale della giovinezza, per quella romanità un po' spaccona e gigionesca che trasuda a volte dai loro versi. Due lati opposti della stessa faccia. Quella di un cantautorato capitolino che nell'umida cantina del tempio folk situato nel cuore di Trastevere affondava le sue radici. Era la scuola dello sgabello rosso e delle chitarre di tutto il mondo. Libera come lo spirito di quegli anni, in cui la discografia italiana era certamente meno condizionata da tutti i diktat e le paturnie attuali. Al punto che potevano uscire dischi dichiaratamente anti-commerciali come “L'orso bruno” di Venditti o “La pecora” di De Gregori. Tasselli di un percorso che ha portato, per gradi e passaggi diversi, i due vecchi amici verso il successo individuale, ma anche verso una divaricazione delle loro strade.
“Ora però dobbiamo diventare quello che non siamo mai stati, neanche ai tempi di Theorius Campus: un vero duo”, annuncia alla vigilia un ambizioso Venditti. E sentendo le loro voci avvicendarsi nell'iniziale “Bomba o non bomba”, con Antonello a pestare a modo suo sul piano a coda, l'impressione è che stavolta ci vogliano provare davvero. Seppellendo tutte le differenze che li dividono: di stile, approccio, concezione musicale. “Per decenni abbiamo avuto due suoni e due modi di scrivere canzoni paralleli, nel senso che non si incontravano mai – ha osservato De Gregori - Questo distacco, durato tantissimi anni, ci permette adesso di ricollegare due storie musicali e due modi di cantare, di far tornare i conti”.
“Partirono in due ed erano abbastanza”, allora, è l’incipit ideale. Ma ad affiancarli c'è una band che unisce i migliori musicisti che da anni collaborano con loro: Alessandro Canini (batteria), Danilo Cherni (tastiere), Carlo Gaudiello (piano), Primiano Di Biase (hammond), Fabio Pignatelli (basso), Amedeo Bianchi (sax), Paolo Giovenchi (chitarre) e Alessandro Valle (pedal steel e mandolino). Per l’occasione, sul palco anche Fabiana Sirigu al violino e le coriste Laura Ugolini e Laura Marafioti. Ai lati del palco due maxi-schermi neanche troppo “maxi” (risulteranno anzi invisibili per il pubblico delle curve, che se ne lamenterà non poco). Con giochi di luce colorati, non sempre riuscitissimi, anche per via dei fari bianchi dello stadio perennemente accesi su tribune e curve. Ma sono dettagli. Perché al centro di tutto ci sono le canzoni. Trentadue nella scaletta extralarge di questa serata, che cerca di attraversare le fasi più ispirate delle loro carriere.
“È passato un po' di tempo, ma ce l'abbiamo fatta. Ed è bellissimo: ce la godiamo tutta”, spiega Venditti al pubblico. Poi, pochissime chiacchiere e tanta musica, come un unico flusso dall'inizio alla fine. Emoziona una sentita “Modena” - tra i vertici indiscussi di Venditti – cantata a due voci, con il sax che cerca di inseguire le traiettorie impossibili di quello originario di Gato Barbieri. Arrivano anche i classici di De Gregori, dalla struggente “La leva calcistica della classe '68” alla sempiterna “Bufalo Bill”, recentemente oggetto anche di un imprevedibile dibattito tra il Principe e Bill Clinton (!). Sembra quasi che ognuno abbia scelto le canzoni dell’altro: ad esempio “Peppino”, che De Gregori considera una delle canzoni più riuscite dell'amico, poi “Sotto il segno dei Pesci”, “La storia”, “Generale”. I due compari intrecciano le voci, si mettono al servizio l'uno dell'altro, si cercano, anche se con un filo d’emozione, come se avvertissero il peso del debutto. Non sempre le due voci si amalgamano bene: più bassa e morbida la tonalità di De Gregori, più potente e squillante quella di Venditti, però la forza emotiva dei brani a due riesce a prevalere.
Dopo il commovente ripescaggio della folkeggiante “Dolce Signora che bruci” - il brano di “Theorius Campus” in cui giocavano un po' a fare i Simon & Garfunkel italiani - c'è spazio anche per cantare da soli una manciata di pezzi: “Alice”, “Sangue su sangue”, “Santa Lucia”, “Rimmel” e “Titanic” per De Gregori, che si cimenta con la chitarra e l'armonica (e gioca come sempre, a volte anche malauguratamente, a stravolgere gli arrangiamenti dei suoi brani); “Ci vorrebbe un amico”, “Sara”, “Notte prima degli esami”, “Giulio Cesare”, “Alta Marea” per Venditti, che spesso si siede al piano (e in “Sara” sembra far il verso all'amico con una versione piano-voce piuttosto sgraziata).
Insieme poi rendono omaggio all'amico Lucio Dalla - con cui De Gregori condivise il tour di “Banana Republic” nel 1979 – interpretando la sua “Canzone”. Il pubblico scandisce in coro “Lucio Lucio”, ed è come se per un attimo il cantautore bolognese fosse con loro sul palco, evocato dal gioco di citazioni incrociate, con De Gregori che lo ricorda accennando “Come è profondo il mare” al termine di “Santa Lucia” (la sua canzone per cui Lucio stravedeva) e Venditti che gli dedica “Ci vorrebbe un amico”.
Decisamente imprevedibile, invece, la strizzatina d’occhio ai Pink Floyd di “Shine On You Crazy Diamond”! in apertura di una bella “Pablo” a due voci, seguita dalla vendittiana “Unica” (altra riscoperta recente di Francesco) e dall’immancabile “La donna cannone”, con la voce di Antonello che fa volare alto l’inciso, prima di scatenare il pubblico al ritmo di “Questo mondo di ladri” (uno di quei brani che invece De Gregori non potrebbe cantare mai).
Dopo quasi tre ore di concerto, mentre Venditti si emoziona cantando la “Sempre e per sempre” (dalla stessa parte mi troverai) dell'amico e De Gregori ricambia attribuendo alla sua “Roma Capoccia” il titolo di “più bella canzone mai scritta per Roma”, arrivano i bis: tra “Ricordati di me” e “Viva l'Italia”, si chiude con “Buonanotte Fiorellino” – che dopo 740 versioni live diverse sembra tornata quella originale - e “Grazie Roma”, con lo stadio tutto in piedi a tributare l'ovazione finale a nome della città eterna, dove torneranno a inizio settembre per due date alla Cavea dell’Auditorium.
Al netto dell’emozione, di qualche imprecisione da limare e di qualche assenza ingiustificata in scaletta (ad esempio “Compagno di scuola”, in rappresentanza dell'intero “Lilly” di Venditti, inspiegabilmente ignorato, oppure le degregoriane “Pezzi di vetro” e “Atlantide”), la performance ha colpito nel segno, centrando un duplice obiettivo: Venditti ha ritrovato un po' di credibilità da serio cantautore, De Gregori un po' di sano bagno di pubblico pop. Un divertimento meritato per entrambi, una festa per tutti gli altri.
Venditti & De Gregori sul palco:
1. Bomba o non bomba
2. La leva calcistica della classe ’68
3. Modena
4. Bufalo Bill
5. La Storia
6. Peppino
7. Generale
8. Sotto il segno dei Pesci
9. Che fantastica storia è la vita
10. Dolce signora che bruci
Sul palco solo De Gregori:
11. Alice
12. Sangue su sangue
13. Santa Lucia
Venditti & De Gregori sul palco:
14. Canzone (Cover Lucio Dalla)
Sul palco solo Venditti:
15. Ci vorrebbe un amico
16. Sara
17. Notte prima degli esami
Venditti & De Gregori sul palco:
18. Pablo
19. La donna cannone
20. Unica
Sul palco solo De Gregori:
21. Rimmel
22. Titanic
Sul palco solo Venditti:
23. Giulio Cesare
24. Alta marea
25. In questo mondo di ladri
Venditti & De Gregori sul palco:
26. Sempre e per sempre
27. Roma capoccia
Bis 1 – Venditti & De Gregori sul palco:
28. Il vestito del violinista
29. Ricordati di me
30. Viva l’Italia
Bis 2 – Venditti & De Gregori sul palco:
31. Buonanotte Fiorellino
32. Grazie Roma