Ricorrenze e anniversari con il numero 8 a farla da padrone. L'8 marzo del 1978, giorno del ventinovesimo compleanno, Antonello Venditti pubblica le otto tracce dell'ottavo album della propria discografia: "Sotto il segno dei Pesci". Esattamente quarant'anni fa. Quasi un'altra epoca, un'altra Italia, un altro mondo. Pinochet, Acca Larentia, Aldo Moro, la legge sull'aborto, Renato Curcio, Giovanni Paolo I e tanto Piombo per le strade. Come rispondeva la musica a tutto ciò? La classifica di quell'anno parla chiaro: se escludiamo le prime due posizioni dominate da fenomeni cinematografici (le colonne sonore di "Saturday Night Fever" e "Grease") il resto - tra pop e cantautorato - è antologia della musica italiana. In ordine abbiamo: "Una donna per amico" di Battisti, "La pulce d'acqua" di Branduardi, "De Gregori", "Zerolandia", "Figli delle stelle" di Sorrenti, "Boomerang" dei Pooh, "Riccardo Cocciante", "Tu" di Tozzi, "Rimini" di De André, "Com'è profondo il mare" di Dalla, "Amerigo" di Guccini. Tutti seguono il disco più venduto: "Sotto il segno dei Pesci". Oltre questi numeri, per fare allora una domanda ancora più vicina all'argomento: chi era l'Antonello Venditti di "Sotto il segno dei Pesci"?
Un cantautore in stato di grazia. "Sotto il segno dei Pesci" è il compimento del percorso iniziato nei primi anni 70 e l'apice discografico di Venditti. Da "Roma Capoccia" a "Lilly" fino poi alla "Modena" del compromesso storico tra Partito Comunista e Democrazia Cristiana, resterà per lui una decade intensa e piena di grandi momenti. Seguiranno degli anni 80 di successo ancora più clamoroso, buoni lavori ("Cuore" del 1984 è quasi la tracklist di un suo "best") e il progressivo adagiarsi nell'olimpo del pop nazionalpopolare, con rari momenti rilevanti. Niente di paragonabile ai suoi dischi degli anni 70. Sarà colpa del successo, dell'innata e limpida vena pop - fattori che solo nel Belpaese sono uno smacco, invece che un pregio - se il cantautore romano viene spesso dimenticato quando si parla dei padri della canzone italiana? Tutti d'accordo nel citare i Sacri Guccini, De André e De Gregori, ma perché non considerare Venditti? Forse ci siamo abituati a giudicarlo e inquadrarlo in base ai soliti classici radiofonici e ai non proprio ispirati ultimi lavori, eppure andando oltre gli eterni Ray Ban a goccia e i facili richiami alla romanità (soprattutto calcistica), uno sguardo più approfondito e onesto ci mostra una discografia di rara importanza, soprattutto oggi, in cui non poche band e cantautori, provenienti dai più svariati contesti, palesano la propria devozione al musicista capitolino.
La musica di Antonello Venditti è fatta di persone ed eventi. Una grande storia intrecciata a "Le cose della vita" di tutti i giorni, con annessi pensieri, riflessioni ed emozioni. È una musica di date, nomi e cognomi. Un incredibile equilibrio in cui la missione sociale e politica dell'autore (da sempre schierato con il Partito Comunista, anche se con una inedita vocazione cristiana) si accompagna a un continuo racconto di sentimenti. Più che "Roma Capoccia", il vero brano di riferimento degli esordi rimane "Sora Rosa", composta - così vuole la leggenda - come il brano precedente a quattordici anni. In un dialogo sincero e straziante, la voce si confida con questa signora emblema del popolo e si strugge dei mali del tempo. C'è tutto: la forte impronta romanesca (nella scelta dei nomi, del luogo e di alcune soluzioni dialettali nel testo), la denuncia dei vizi italiani e un forte senso di unione, solidarietà, intessuto tra i tasti del fedele pianoforte che a stento trattiene la crescente foga.
Annamo via, tenémose pe mmano,
c'è ssolo questo de vero pe cchi spera,
che fforze un giorno chi mmagna troppo adesso
possa sputa' le ossa che sso' ssante.
Una conclusione epica rivista da Tomas Milian in un ormai storico monologo nel celebre "La Banda del Gobbo" di Umberto Lenzi, a testimoniare quanto il musicista venisse accolto e recepito immediatamente nei più svariati contesti. Da "Theorius Campus" a "Sotto il segno dei Pesci" la lista dei grandi brani è lunga: "E li ponti so' soli", "L'ingresso della fabbrica", "Ciao uomo", "A Cristo", "Lilly", "Lo stambecco ferito", fino al culmine del binomio privato-sociale che toccherà il vertice nel capolavoro "Modena", in "Buona Domenica". Ma rimaniamo sulla domanda: chi era l'Antonello Venditti di "Sotto il segno dei Pesci"? Un autore affermatosi come voce di spicco nel panorama italiano, attivo e inserito anche in importanti collaborazioni: Mia Martini, Mario Schifano, Lucio Dalla,
Ivan Graziani, solo per fare qualche nome. "Ullallà" del 1976 - dopo il successo di "Lilly" - è un disco disperato e segna il primo flop di vendite con annessa pausa, interrompendo il ritmo di un lavoro all'anno. Poi nel 1978 arriva "Sotto il segno dei Pesci" e le cose cambiano. Per sempre.
L'album rende lampante una capacità dell'autore romano: leggere il proprio tempo, capire e analizzare la società, filtrare eventi e personaggi e renderli indimenticabili. "Sotto il segno dei Pesci" è una raccolta di fotografie. Scatti di Venditti, scatti dell'Italia e impressi in quelle istantanee ci siamo anche noi. L'
intro è ancora oggi da pelle d'oca: riesce a far respirare l'aria della manifestazione, della strada piena di giovani, gli ideali e le idee che li muovevano. Un ricordo incrinato da un senso di amarezza, di constatazione di un presente che non è il futuro per cui si era lottato.
Ti ricordi quella strada? Eravamo io e te. E la gente che correva e gridava insieme a noi.
Ma tutto quello che voglio è solamente amore ed unità per noi.
Sono gli Anni di piombo: il '68 è un amaro ricordo e otto giorni dopo l'uscita dell'album le Brigate Rosse rapiranno Aldo Moro. Eppure nella canzone c'è ancora quell'irrefrenabile desiderio e necessità d'amore, un tema che Venditti canterà - in maniera più o meno ispirata - per tutta la carriera.
Diciotto anni sono pochi per promettersi il futuro.
È Venditti, quel diciottenne, e dopo di lui arrivano gli altri protagonisti ispirati a esistenze vere, amicizie: Giovanni l'Ingegnere, Marisa l'insegnante.
Non ci sono solo loro in "Sotto il segno dei Pesci". Tra gli scatti - iconica la copertina di Mario Convertino - appaiono in primo piano due delle donne per eccellenza della produzione vendittiana: "Giulia" e "Sara". Due donne, due storie agli antipodi: se ancora oggi sorridiamo teneramente nell'ascoltare la quotidianità di quest'adolescente alle prese con la gravidanza (tema a dir poco tabù per l'epoca) e il rapporto non proprio idilliaco con il futuro padre, Giulia è in un triangolo ben più complesso e ambiguo. Se "Sara" è pura innocenza e freschezza pop, "Giulia" è la dolente ballata vendittiana in cui si racconta di questa femminista lesbica e alquanto spietata e calcolatrice, capace di sottrarre all'autore la sua amata, portando la vicenda e il percorso sonoro in un indimenticabile climax.
Poi arriva "Francesco"...
De Gregori. Chi erano i quattro ragazzi con la chitarra e il pianoforte sulla spalla della celebre "Notte prima degli esami"? Erano i ragazzi del Folkstudio di Via Garibaldi: Ernesto Bassignano, Giorgio Lo Cascio, Francesco De Gregori e Antonello Venditti. Gli ultimi due esordiranno insieme con "Theorius Campus", un nome inventato, una sorta di alter ego per entrambi. Come sappiamo, i percorsi progressivamente si diversificheranno: "Francesco" e "Bomba o non bomba" rappresentano le facce opposte del rapporto. Con i suoni del pianoforte a dipingere ogni volta l'atmosfera e i colori che ci aspettano, ecco in "Francesco" un'apertura solenne e malinconica.
Scusa Francesco
mi hanno ingannato
mi hanno portato via i ricordi
come se il tempo fosse uno schiavo e noi due aquiloni strappati
Siamo di fronte a una persona intenta a capire come possa essersi incrinato il rapporto con un amico e "collega". Il dialogo inizia con la parola più difficile da usare in questi casi: scusa. Non ci interessa sapere la realtà dei fatti, ma apprezzare come un Venditti giunto a questo punto abbia ancora a cuore tale rapporto e soprattutto il rimpianto per come si sono sviluppate le cose.
Francesco, vedi Francesco
possiamo ancora suoniamo ancora l'ultima volta
senza rimpianti, senza paura
come due amici antichi
e nient'altro di più, di più, di più.
Solo il lieto fine della vicenda (Venditti tornerà persino a duettare con De Gregori in "Io e mio fratello" su "Che fantastica storia è la vita" del 2003) riesce ad attenuare l'amarezza del finale da brividi.
"Bomba o non bomba" inizia allegra e movimentata, intenta a raccontare l'avventura
on the road della coppia. La strada percorsa è sia quella fisica dei tanti tour, dei tanti incontri bizzarri e delle drammatiche notizie di cronaca dal resto dell'Italia, ma è anche il tragitto percorso verso il successo, verso casa, verso Roma.
Il Venditti di "Sotto il segno dei Pesci", però, è sempre meno romano e più italiano: lo dimostrano "Il Telegiornale" e "L'Uomo Falco". Nella prima, con fare quasi profetico, il cantautore annuncia su una melodia divertita una lunga fila di Tg, poco prima della fine del monopolio Rai e l'avvento di Fininvest, tratteggiando dei format di informazione molto più vicini all'intrattenimento di basso livello piuttosto che a dei veri contenitori di informazione e approfondimento. Non ci è andato lontano...
Il telegiornale
così spettacolare
il telegiornale
così obiettivamente imparziale
il telegiornale
la rapina te la dà in diretta
il telegiornale
salva la povera vecchietta
TG1 TG2 TG3 TG4 TG5 TG6 TG notte...
"L'Uomo Falco" a tutt'oggi si presta a molte interpretazioni. Qui sta la grandezza di un autore non solo capace di plasmare una figura subdola e arrivista facilmente applicabile a tanti politici o personaggi noti dell'epoca, ma prefigurarne di ben peggiori.
Lui è un bravo ragazzo
e se qualcuno lo accusa
se ne lava le mani perché...
Perché lui porta la cravatta
il sorriso più smagliante
ha una banca che lo aspetta
e un aereo sempre pronto
e lui vola sempre più in alto.
In un disco con tanta bellezza e qualità non può mancare il Venditti dei primi anni. Il neorealista e di denuncia, in grado di aggiungere alla galleria di ritratti l'indimenticabile "Chen il cinese". Anche lui viene dal popolo, dal quartiere e per colpa di una vita criminale (è "quello che ha cambiato l'insegna del bar" e "l'erba che dava era sempre più dolce") non se la passa benissimo. Sembra sia scomparso, forse scappato o peggio ancora ("Scusate avete visto il muto assassino? È lui che gli ha offerto quel biglietto per Roma"): nonostante il contesto appaia degradato e plumbeo, Venditti riesce a piazzare la sua firma poetica, quel tratto che porta la canzone su un altro livello. Chen appartiene a quel mondo ma ha pur sempre un'anima, un cuore: "Cantava fantastiche storie d'amore" e l'erba spacciata era coltivata in memoria di un vecchio amore mai dimenticato.
Musicalmente, "Sotto il segno dei Pesci" si avvale di collaborazioni a dir poco illustri. Da questo punto di vista Venditti si è sempre trattato bene, circondandosi di nomi prestigiosi: da Vince Tempera al già citato Ivan Graziani. In questo lavoro - prodotto da Michelangelo Romano - compone come al solito tutti i testi e le musiche, ma a fargli compagnia e a supportalo ci sono gli Stradaperta - nome cult del
prog italiano degli anni 70 - e niente meno che Mr.
Goblin Claudio Simonetti al mellotron & Roland System 100, come recita l'
artwork dell'album.
Simbolo e vetta di una splendida stagione musicale italiana, "Sotto il segno dei Pesci" è il disco di Antonello Venditti in cui tutte le sue anime convivono in maniera magica e ispirata. Non c'è più passato, presente, futuro: solo una strada da continuare a percorrere, magari uniti e innamorati. Figli di una vecchia canzone.
25/03/2018