Magnetica, eterea, ipnotica: questa è Giulia Impache, che con la sua voce soave ha incantato lo Sghetto Club di Bologna, proprio come una sirena ammalia i marinai di passaggio. La cantautrice ha portato sul palco una performance sensoriale, fatta di onde che inghiottono gli spettatori in un mondo evanescente, sublime, tanto dolce quanto tenebroso.
Le canzoni sono tratte dal suo primo album solista "IN:titolo", composto da dieci brani e uscito lo scorso 17 gennaio per l'etichetta indipendente Costello's. Un lavoro in cui confluisce la multiforme esperienza accumulata negli ultimi anni: a dispetto della giovane età, Giulia può infatti vantare un percorso eclettico (oltre ai Corsi di Formazione Musicale di Torino, anche una laurea in Arte contemporanea e un master in Arte e musicoterapia), la collaborazione con svariati enti e festival e una "carriera" parallela come insegnante di tecnica vocale. Sotto il profilo musicale, poi, non è certo stata con le mani in mano: da citare almeno il jazz per voce e contrabbasso del Soft Morning Duo, l'orchestra moderna Pietra Tonale, il trio etnico-elettronico Voz de la Frontera e il progetto didattico-storico Primule Rosse.
L'atmosfera del locale è resa ancora più onirica dalle luci viola e rosa. Il palco, piuttosto basso, restituisce l'effetto di un concerto nel salotto di casa, intimo e confortevole. Ad affiancarla troviamo sulla sinistra Jacopo Acquafresca alla chitarra (che si è occupato anche della produzione dell'album) e sulla destra Andrea Marazzi al basso. I due impreziosiscono l'esibizione anche con l'uso di synth e suoni variegati, mentre Giulia accompagna il tutto con un sintetizzatore. La musica crea continuamente ombre e sfumature: la voce della cantante, delicata e sensuale, che avvolge e respinge, si adagia su contrasti sonori, dissonanze e dissolvenze, dilatazioni temporali, dalle influenze psichedeliche, folk, new wave, jazz ed elettroniche. L'improvvisazione diventa strumento di unione con lo spirito, un mezzo di espressione dell'emotività dell'artista che, con l'uso di effetti vocali, trasporta gli ascoltatori in una dimensione sospesa tra terra e aria.
Gli applausi, un po' come a teatro, arrivano timidi e impauriti, quasi per timore di inquinare il vibrante scenario a cui Giulia ci sta facendo assistere. È come se, dopo due o tre brani, il pubblico si prendesse il tempo di riemergere dallo stato di ipnosi che la musica aveva generato, manifestando presenza e assenso. "Mi sono sentita come su una grande nave con degli ottimi marinai": queste le parole che l'artista, dopo avere eseguito il brano "Sailor," ha dedicato ai suoi colleghi, sottolineando l'importanza del suonare insieme, di scegliere dei buoni compagni di viaggio. Il brano "Life Is Short" riprende invece la canzone "We Can Work It Out" dei Beatles, che Giulia ha dichiarato essere una delle influenze musicali che hanno più caratterizzato la sua infanzia e adolescenza. "Life is very short and there's no time for fussing and fighting", cantava la band inglese: un messaggio che la giovane artista torinese ha voluto riprendere e far suo, omaggiando uno dei gruppi più importanti della storia.
L'autrice compone i testi sia in italiano che in inglese e il passaggio da una lingua all'altra impone un'esplosione di energia: i pezzi in inglese hanno una maggiore forza nei bassi, caratterizzati da un groove decisamente blues. La setlist si è conclusa con i due brani che aprono il disco, capovolgendo l'ordine originale dell'album. Tutti gli elementi sopracitati, uniti alla padronanza interpretativa di Giulia, delineano i contorni di un progetto musicale suggestivo e dolcemente dirompente.
Tu ti meravigli
(I'm) Looking (For) life
Occhi
Al fin
Life Is Short
Quello che (Outside)
Ogni cosa
Please
Sailor (For Fin)
When My Eyes
Oh Girl
In The Dark