Nella storia della musica elettronica pochi dischi sono stati sottovalutati quanto "Microgravity". Senza neanche spostarsi dalla discografia di Biosphere, "Substrata" (1997) è nettamente più celebrato. È persino difficile trovare articoli su "Microgravity": in rete spicca Allmusic, che lo celebra assegnandogli cinque stelle, ma la cui recensione consiste in tre righe di numero. Per il resto, c'è solo qualche sparuto articolo da blog, in cui viene genericamente indicato come un buon disco con sonorità tipiche dei primi anni Novanta, una nota a piè di pagina per la musica dell'epoca.
Pitchfork non l'ha ritenuto degno della lista dei migliori album di Idm (acronimo di intelligent dance music), né Simon Reynolds lo ha citato in "Energy Flash". Volendo rimanere in Italia, Christian Zingales ignora del tutto Biosphere nella guida "Electronica". Eppure questo album uscì nell'anno che divise la musica elettronica in un prima e un dopo: il 1991.
Che l'ambient si potesse sposare alle pulsazioni di house e techno era stato già dimostrato da un ristretto gruppo di nomi dell'underground londinese nell'ultimo barlume degli anni Ottanta (il maxi-singolo "A Huge Ever Growing Pulsating Brain That Rules From The Centre Of The Ultraworld" degli Orb usciva proprio nell'ottobre 1989). Tuttavia, da lì alla nascita di una scena che avesse un mercato, e che potesse risultare competitiva all'infuori del formato 12 pollici, servivano ancora un paio d'anni di sedimentazione: il tempo per il pubblico di accorgersi che la musica in discoteca potesse anche essere rilassante e abbassare il volume, e per i produttori che fosse possibile sbizzarrirsi nella creazione di quelle atmosfere, anziché limitarsi a mixare dischi di Vangelis e Pink Floyd su una drum machine.
Il passo successivo fu allontanarsi definitivamente dalle discoteche per portare quelle atmosfere in casa: nasceva a quel punto la sopraccitata Idm.
In verità, guardare quell'evoluzione oggi porta con sé una gran confusione, come spesso accade quando si tenta di storicizzare la musica elettronica. Oltre che di Idm, si parlò e si parla tuttora di chill-out, ambient house e ambient techno.
Sono termini che confluiscono tutti nella musica elettronica di quel periodo e occupano grosso modo lo stesso ambito geografico, sovrapponendosi spesso, ma mai in maniera del tutto precisa: le discussioni degli appassionati al riguardo sono infinite, ormai quasi trentennali, e senza che se ne venga a capo, trattandosi di sesso degli angeli.
Per esempio, molti indicano Aphex Twin rigorosamente come ambient techno e gli Orb come ambient house, ma mescolandone le tracce in un ascolto alla cieca quanti saprebbero esattamente stabilirne l'appartenenza? Se la loro classificazione in un genere fosse così netta, la cosa risulterebbe fattibile, invece così non è.
Altri suggeriscono che l'ambient house sia la musica che ha rappresentato la nascita di questa ibridazione fra dance e ambient, mentre l'ambient techno sarebbe un'evoluzione successiva dovuta alla sua intellettualizzazione. Che è però la stessa identica definizione con cui si descrive la nascita dell'Idm: eppure gli appassionati di elettronica rifiutano che le definizioni vengano ritenute sinonimi.
Se molti anni dopo i cambiamenti avvenuti nella musica hanno portato a situazioni per cui è talvolta possibile distinguere in maniera netta le varie etichette (ci sono molti dischi usciti dopo il 2000 che fanno effettivamente parte dell'Idm ma non sono considerabili ambient techno), sottolineando comunque che talvolta non significa sempre, il problema di base rimane: più si va indietro nel tempo, più la distinzione è difficile. Si noti che in tutto questo non è stato neanche discusso il chill-out, o le cose si sarebbero ulteriormente complicate.
Lo scopo di questo articolo non è pretendere di riscrivere la storia della musica elettronica (che più di essere riscritta avrebbe bisogno di essere semplificata e spurgata di decine di classificazioni superflue), quanto piuttosto far notare come, in una narrazione così complicata e che rende tanto difficile accordarsi su cosa rappresenti cosa, può capitare che passi importanti per l'evoluzione di una scena finiscano per cadere in qualche buco della narrazione.
Esattamente questo è successo a "Microgravity", che stando al canone ambient house è uno dei primi due album mai pubblicati (l'altro è il debutto degli Orb) e stando a quello ambient techno è addirittura il primo in assoluto, anticipando di un anno "Selected Ambient Works 85-92" di Aphex Twin. In quello Idm non viene solitamente considerato, salvo poi, quando se ne parla, descriverlo con paragoni con alcuni fra gli artisti fondanti della corrente, come Autechre e Black Dog, allo scopo di ridimensionarlo (ma a ben vedere, i nomi in questione hanno debuttato un anno dopo, se non due).
In qualunque modo si possa rigirare questo confusionario cubo di Rubik, "Microgravity" è lì a inaugurare una nuova epoca della musica elettronica. Pochi dischi, impattati in diretta, devono essere risultati altrettanto alieni.
Geir Jenssen è stato tastierista dei Bel Canto, band synth-pop nata a Tromsø, nel nord della Norvegia, a metà anni Ottanta. Dopo due album con distribuzione internazionale tramite Crammed Records, ma di scarso riscontro, li lascia nel 1990 per concentrarsi su un progetto solista. Adotta così il moniker Biosphere (in sostituzione dell'iniziale Bleep, utilizzato nel biennio '89-'90 per produrre acid house) e si dedica a una creazione in cui fa confluire tutte le sue passioni, musicali e non: la techno di Detroit (che promuove dalle radio di Tromsø in veste di disc jockey), l'ambient, i film di fantascienza, l'astronomia. Sono del resto abbracci verso cui evidentemente la cultura dell'epoca sta spingendo: Jenssen arriva per primo grazie a creatività e intuizione, ma come tutti gli innovatori non è un alieno. Vive nel suo tempo e ne assorbe gli input, realizza il suo prodotto perché in quel momento ci sono sia il modo per arrivarci, sia la necessità di farlo: a riprova di ciò, queste sonorità imperverseranno almeno fino a metà anni Novanta.
L'album viene inizialmente rifiutato dalla Ssr Records, sussidiaria della Crammed, e si accontenta della distribuzione della piccola etichetta norvegese Origo Sound. Nel 1992 trova comunque sbocco internazionale tramite la Apollo, fondata quello stesso anno dal discografico Renaat Vandepapeliere per accogliere questo nuovo tipo di sonorità. Delle nove tracce in scaletta, sei si basano su ritmi elettronici e tre sono strettamente ambientali.
Nel primo gruppo rientrano "Baby Satellite" (scandita da voci sussurrate, beep da navicella spaziale e sibilanti piatti sintetici), "Tranquillizer" (che con i suoi profondi bassi sembra anticipare la dub techno dei Basic Channel), "The Fairy Tale" (che campiona "Wild Boys", pièce radiofonica di Winston Tong, e "The Right Stuff", film del 1983 diretto da Philip Kaufman), "Chromosphere" (fra le più acide e meccaniche), "Cygnus-A" (senza cassa, ma con grande lavoro di variazione timbrica sulle percussioni, che sembrano pescare nella musica tribale africana) e "Baby Interphase" (una ripresa di "Baby Satellite", con le frequenze basse in maggior evidenza e l'aggiunta di dialoghi dalla serie televisiva "Space 1999").
Del secondo fanno invece parte "Microgravity" (affastellarsi di tastiere a teppeto, bassline al rallentatore e rumori ambientali, con uno dei synth che imita l'arpeggio di una chitarra), "Biosphere" (il momento più cupo, denso di droni e tonalità sature) e soprattutto "Cloudwalker II", che suona come una processione ambientata in un futuro remoto, posteriore alla razza umana. La sua atmosfera minacciosa si nutre di freddi pad sintetici, melodie in minore, piccoli campionamenti di cacofonie non identificabili, un pattern di sottofondo che ricorda vagamente uno steelpan, e sordi tonfi provocati da chissà cosa, in lontananza.
È il brano che più di tutti, nel repertorio di Biosphere, ha influenzato l'immaginario elettronico successivo. Nel 1993 è stato incluso nella storica Vhs "3Lux-3", dell'etichetta tedesca Stud!o K7: tredici video girati appositamente per altrettanti classici di techno, ambient, Idm e dintorni, sfruttando collage di immagini, animazione sperimentale e avveniristici esperimenti di computer grafica. Si allega nella apposita colonna il video abbinato a "Cloudwalker II", girato dal grafico e animatore svizzero Robert Müller.
12/04/2021