Per poter definire appieno la musica dei "surfisti del buco del culo" basta fare il nome di qualche ingrediente: Captain Beefheart, Chrome, Red Crayola, Flipper, Pere Ubu, Holy Modal Rounders, Sex Pistols, e via di questo passo. Ovviamente, potete miscelare le dosi a vostro piacimento, il risultato sarà sempre lo stesso, dato che i ragazzacci di San Antonio (Texas) erano praticamente "indefinibili", avulsi da ogni sciatta schematizzazione pseudo-artistica. Erano la forza malvagia e liberatoria della follia applicata alla forma canzone; erano l'esasperazione dell'estetica del brutto, l'urlo contro la meschinità e lo squallore sociale.
Dopo un primo, omonimo, Ep – ciò che si dice un esordio leggendario -, Gibby Haynes (voce), Paul Leary (chitarra), King Coffee (batteria), Teresa Taylor (batteria) e Kramer (Basso) danno alle stampe il loro capolavoro assoluto, "Psychic... Powerless… Another Man's Sac". E' il 1985. L'intento dissacratorio è evidente già dai primissimi secondi di "Concubine", una danza omicida intessuta di lamenti demenziali filtrati da un megafono e disturbata da rumori occasionali. Questo primo sigillo, lungo la strada che conduce verso il massacro degli stilemi classici dell'hardcore, pone senza remore la band in un territorio particolarmente "malsano": l'abilità con la quale i Butthole Surfers riescono a demolire convenzioni e credenze è davvero impressionante. Da questo punto di vista, la successiva "Eye Of The Chicken", un brano che manda in orbita i Chrome folgorati sulla strada della psichedelia più abnorme e malata, è un altro brandello di genio. E se ancora vi fossero dei dubbi, seguite attentamente l'evoluzione della filastrocca "Dum Dum", lasciata bollire tra riverberi galattici di chitarra, solide linee di basso e uno sfrontato ritmo tribale, il tutto destabilizzato da possenti quanto irresistibili accelerazioni al napalm. Il lavoro di Leary alla sei corde è a meta strada tra le visioni cosmiche di Manuel Göttsching e le scorciatoie rumoriste di Mayo Thompson. Dal canto suo, invece, Haynes declina un delirante incrocio vocale tra l'isteria brutale di Lux Interior e le parossistiche inflessioni al vetriolo di Captain Beefheart: il risultato è demoniaco, impareggiabile, senza compromessi.
La lezione dei Cramps si rivela fondamentale soprattutto nell'incalzante "Woly Boly", mentre "Negro Observer" lascia venire in superficie un gusto pop meravigliosamente sinistro, con un sax gigione a gettare ulteriore benzina sul fuoco. Segue, come uno schiaffo improvviso, l'hardcore supersonico di "Butthole Surfers", sintesi superba di idiozia, ironia e genio puro.
Se possedete il vinile originale, sapete che a questo punto bisogna girare lato. A operazione completata, eccovi aggrediti dal riff sgangherato e sudicio di "Lady Sniff", uno dei due grandi capolavori del disco. Sul passo R&B della ritmica, vengono incastonati reperti organici di ogni tipo: rutti, scorregge, sputi, e chi più ne ha più ne metta! Insomma: non proprio ciò che si dice politically correct… Il secondo capolavoro, "Cherub", è una ballata cosmica declamata attraverso un megafono. La lenta, quasi sofferta evoluzione del brano si carica, man mano, di vortici elettronici, echi sospesi e impennate furibonde all'insegna dell'emotività più sfrenata e lisergica. A questo punto, tutti a comprare eroina con la "Mexican Caravan", intossicati dal suo rock & roll indemoniato. In mezzo a tanto sfacelo, si stagliano gli assoli insistiti e paurosamente dissonanti di Leary, mentre Haynes pone la sua definitiva candidatura come voce solista nell'orchestrina del manicomio.
Un altro esercizio di ferocia incalzante e scalmanata, condotta fino al più truce parossismo, viene portato a compimento nella successiva "Cowboy Bob", egregiamente sostenuta dall'asse ritmico lungo una direttiva impervia. In chiusura i toni si fanno più rilassati, anche se la svagatezza country di "Gary Floyd" mantiene inalterati tutti i tratti nefandi e oltraggiosi della loro sublime arte "degenerata".
27/10/2006