C'era una volta in Inghilterra. Un'Inghilterra linda e pastorale, tutta prati verdi, casette e campanili. L'Inghilterra che la "Village Green Preservation Society" vorrebbe cristallizzare per sempre, incurante delle spinte della modernità.
C'era, o forse non è mai esistita se non nella mente di Ray Davies, leader dei Kinks: una delle band che più avrebbe diritto a un ideale "risarcimento dei danni" dalla storia del rock. Sì, perché passi la iella di ritrovarsi a competere con Beatles, Rolling Stones, Who, & C., ma ciò che è stato perpetrato nei confronti dei fratelli di Muswell Hill, Londra, è un vero crimine musicale. Tutti colpevoli: la critica dell'epoca, ottenebrata dal duopolio pietre-scarafaggi, la casa discografica (Pye), che voleva farne solo l'ennesimo juke-box sforna-singoli, i manager che li boicottarono, e persino la Corona, che li osteggiò per via dei loro testi irriverenti.
Fatto sta che l'album di cui stiamo per raccontarvi fu un fiasco per un gruppo che aveva già piazzato tre 45 giri al n. 1 delle Uk Chart ("You Really Got Me", "Tired Of Waiting For You", "Sunny Afternoon"). Troppo britannico per il mercato americano, non abbastanza groovy per la Swingin' London , troverà soddisfazione solo nella rivalutazione postuma della critica, che lo consacrerà come capolavoro del pop.
Pop, più che rock. Perché il riff distorto di "You Really Got Me" aveva già gettato le basi delle rivoluzioni hard-rock e garage. Ora, tra i pascoli di "Village Green" e senza mai uscire dal sentiero della canzone breve (tre minuti al massimo), Davies e soci vivisezionano il pop, aprendolo a un'incredibile varietà di contaminazioni: dal music-hall alle marce militari, dal blues al folk, dalla psichedelia a quelle indolenze in odore di glam che aumenteranno poi nel successivo "Arthur". Uno zibaldone al quale viene anche data l'ambiziosa veste della rock opera (la seconda di sempre, dopo "S.F. Sorrow" dei Pretty Things). Con testi mai banali, sempre sagaci, spesso commoventi.
Il fil rouge della nostalgia per l'innocenza perduta lega i 15 sketch , istantanee sbiadite di un'Arcadia britannica popolata da personaggi buffi e anacronistici, che si bamboleggiano con slogan come "God save Donald Duck, Vaudeville and Variety/... God save strawberry jam and all the different varieties" (la title track), che trascorrono i pomeriggi a scattare foto-ricordo in giardino ("Picture Book", "People Take Pictures Of Each Other"), o che si struggono nei ricordi delle amicizie e nel tramonto di un'utopia ("Walter, isn't it a shame the way our little world has changed?/ Do you remember, Walter, how we said we'd fight the world so we'd be free/ We'd save up all our money and we'd buy a boat and sail away to sea/ But it was not to be", da "Do You Remember Walter").
In fondo, non siamo così distanti dall'idealismo che in quegli anni faceva inneggiare all'età dell'Acquario. Solo che è ripiegato su sé stesso, disilluso, e condensato in caustiche vignette di denuncia sociale. Niente a che vedere, insomma, con l'immaginario adolescenzial-ribelle che faceva la fortuna delle rock-band dell'epoca.
L'incipit orchestrale della title track , per piano e cori a festa, infonde subito una sensazione di spensieratezza ingannatrice: non è l'allegria, infatti, il mood dell'album, ma una malinconia pungente, che cresce col passare dei brani. "Do You Remember Walter" ne è già un saggio incisivo, seppur mascherato da folk-pop a briglie sciolte. Il rock'n'roll di "Picture Book" prova a celare nel brio dell'hook la nostalgia dei ricordi, ma quando irrompono i coretti di "Johnny Thunder" a impregnare d'umori decadenti un beffardo country-western, si è già persi in questo sogno dolceamaro, in questa donchisciottesca corsa a ritroso nel tempo. Una corsa sull'ultimo treno a vapore: "Last Of The Steam Powered Trains", formidabile shuffle bluesy griffato da un riff d'armonica. Una corsa a occhi aperti nella brughiera, per fissare il cielo (l'epica "Big Sky", ripresa anche dagli Yo La Tengo) o contemplare il fiume dalla riva (la trasognata "Sitting By The Riverside").
E' un grido disperato quello di Davies: "This world is big and wild and half insane/ Take me where real animals are playing" (la ringhiosa "Animal Farm", che fonde il passo blues con radiose aperture melodiche). E il climax di questa nostalgia che stringe il cuore è "Village Green", meravigliosa ballata barocca, per organo, clarinetto e clavicembalo, dove l'amarcord della Old Britannia si unisce all'amarezza per quel che ne è rimasto oggi: una reliquia in pasto ai turisti ("And now all the houses/ Are rare antiquities/ American tourists flock to see the village green/ They snap their photographs and say 'Gawd darn it/ Isn't it a pretty scene?' ").
Ma prima che cali il sipario su questa Spoon River della decadenza albionica, c'è tempo per altri numeri ad effetto: lo stacco di rullante e il mellotron di "Starstruck", il clarinetto e le vocine filtrate della sinistra (e psichedelica) ''Phenomenal Cat''; l'ubriacante marcia da vaudeville di "All Of My Friends Were There"; i riff garage di Dave Davies in ''Wicked Annabella''; i languori caraibici di "Monica"; fino all'handclapping e al coro finale di "People Take Pictures Of Each Other".
Armonie vocali, cadenze trascinanti, chitarre limpide e organetti di strada: la band suona compatta e affiatata, grazie alla guida salda dei Davies e al lavoro dietro le quinte di Peter Quaife al basso e Mick Avory alla batteria.
Village Green: agli albori del britpop, all'apice del Brit-wit, la britannica arguzia di cui i fratelli londinesi resteranno tra i più vividi interpreti. E ora dateci pure orde di emuli più o meno consapevoli (dai Blur in giù), dateci pure i turisti americani, ma Dio ci preservi per sempre il Villaggio Verde... God save the Kinks!
Nel 2018 The Kinks Are The Village Green Preservation Society, il disco pastorale dei Kinks, quello che sublimò l’incrocio fra aromi folk e psichedelia beatlesiana, compie 50 anni. Il 26 ottobre la BMG immette sul mercato una preziosa deluxe edition, che dona maggior fascino alla (ri)scoperta di uno dei capolavori della band di Ray Davies. Diversi i formati previsti, fra i quali il più a portata di portafoglio è il doppio Cd con la trackilst originale proposta in una duplice rimasterizzazione - stereo e mono - con l’aggiunta di diverse bonus track, dell’inedito “Time Song” e di un booklet ricco di foto e copertine dell’epoca.
Per chi è disposto a spendere qualcosa in più c’è il ricchissimo Super Deluxe Box Set, proposto con un packaging speciale: cover in rilievo, testo in foglio di alluminio e finitura in lino. 174 tracce audio totali suddivisi in tre vinili e cinque Cd. Inclusi nel box set anche un booklet con note scritte da Ray Davies, tre 45 giri, un libro cartonato di 52 pagine, poster del tour, foto, biglietti dei concerti e spartiti. A tutto questo si aggiunge una mostra fotografica dedicata ai Kinks visitabile presso la Proud Gallery di Londra fino al 18 novembre.
20/12/2006