Suicide

Suicide

1977 (Red Star)
avantgarde

Se restate per qualche attimo a fissare la scritta "Suicide" grondante sangue sulla copertina di questo disco leggendario, è possibile vi appaiano dei suoni sotto forma di ossessioni. E' possibile abbiate sentore di quello che vi aspetta una volta introdotto il supporto nel lettore: un battito insidioso, astratto, metafisico; una voce che è come una pellicola viscida, un malefico banco di nebbia che separa il reale dall'alterità che ci portiamo dentro, come un incubo (o forse un sogno?) inesauribile.

New York, 1977. Ecco, adesso avete chiare le coordinate del tutto. Non una città qualunque, non un anno qualunque. Proprio così: New York, 1977. E, poi, ancora: Martin Rev, electronics. Alan Vega, voice. Nient'altro. O quasi.
La definizione corretta è: "blues di New York City". Parola di Alan Vega. Solo che del blues (o del rock, del jazz, dell'avanguardia… fate un po' voi) è rimasto ben poco: solo la proiezione dell'anima, il fuoco che divampa, una mano tesa verso il tempo, inafferrabile. Tutto il resto è battito, pulsazione, energia; suicidio, certo, ma come riappropriazione della vita, ritorno alla sua fonte. Non la morte come ribellione, bensì la ribellione estrema come urlo contro l'oscuro che abbacina la vita. In tal senso, "Frankie Teardrop" è predisposta come performance catartica, come sconvolgimento e liberazione dei sensi, in vista di un sentire più alto, più abissale. Quel suo minimalismo scheletrico e, al tempo stesso, abnorme, trascina lentamente la voce (quella voce che è come un sussurro gelido) verso la dissoluzione — quell'urlo che prepara la discesa agli inferi, salvo poi comprendere — come diceva Strindberg — che l'inferno è già lì fuori, tra le macerie di questa terra, in mezzo a folate di vento sintetico e a presenze agghiaccianti.

Frankie è dentro di sé, chiuso nel suo mistero di uomo. L'era tecnologica ha fallito, ha ucciso ogni solidarietà col mondo. Frankie può anche non sapere tutto questo, ma il suo gesto (l'uccisione di moglie e figlio, con annesso suicidio) è il prodotto di tutto questo. Ma tutto questo è già in secondo piano, messo in disparte dal taglio "teatrale" che assume il brano, dalla sua "drammaturgia post-industriale", che è anche e soprattutto un tentativo chiarificatore dell'esistenza. Non ha più senso riferirsi al rock, allora. Forse è più giusto parlare di "Musica Totale". Come definire, infatti, l'eco tremolante di "Che", con il suo organo fluorescente e quella circolarità inifinitesimale che lascia culminare il disco in vuoto cosmico? E che dire della bellezza estenuante di "Cheree", litania meccanica dal cuore umano? Che dire della sua dolcezza macchiata di colpa e di una possibile redenzione?

"Musica Totale", insomma, il che è come dire che non si da più differenza tra rappresentazione (musicale) e cosa rappresentata. New York è qui dentro, questa è New York. Questa è la realtà, e solo questa. Questo è il suono dell'umanità sacrificata sull'altare dell'utopia modernista. E per raccontare questo sacrificio è cosa buona e giusta che si tenga ben presente il passato. Ecco, perciò, venire alla ribalta il rockabilly, ma deturpato e destrutturato, condotto verso la sua apoteosi meccanica: "Ghost Rider". Ma, in fin dei conti, non c'è nulla di meccanico in tutto questo. C'è solo un senso di frenesia acida, di tensione stratificata, fatta di riverberi accecanti, come la voce di Vega che perde continuamente la sua posizione nella struttura del brano, martoriata da feedback immondi, come si evince anche dalla successiva "Rocket USA", quasi una danza tribale in costante "devoluzione" o un remix proto-techno di "I'm Waiting for the Man" dei Velvet Underground
Dal canto suo, invece, "Johnny" conferma il gusto per la rilettura in chiave elettronica del rockabilly, questa volta, però, impacchettato e spedito direttamente nel futuro. Resta soltanto la sensuale "Girl", intenta a dondolare stralunata su di un tappeto fatto di ricami di organo e pulsazioni ovattate.

Sette schegge impazzite. Sette rituali di autodistruzione. Trentuno minuti e quindici secondi di cui la storia della musica non potrà mai liberarsi. Dopo questa prima prova, non ci sarà più spazio per risultati del genere nella carriera del duo. E, in effetti, cosa avrebbero potuto fare dopo un capolavoro, al tempo stesso, straordinario e sconcertante come questo? Solo aspettare che il tempo rendesse giustizia alla loro grandezza…

12/11/2006

Tracklist

  1. Ghost Rider
  2. Rocket U.S.A.
  3. Cheree
  4. Johnny
  5. Girl
  6. Frankie Teardrop
  7. Che