Quella dei Frankenstein Bolts è un’atipica storia irlandese, un progetto che nasce tra le pareti della camera da letto di Justin Cullen, musicista innamorato della fragilità poetica del dream-pop e dei riverberi cristallini dell’acoustic-pop, due germi musicali non proprio peculiari della scena irlandese.
I primi demo di Cullen attirano subito l’attenzione del pubblico, e quello che in un primo momento viene concepito come un progetto di registrazioni casalinghe distribuite solo online, diventa ben presto qualcosa di più solido e corposo.
Tra il 2013 e il 2014, l’amico produttore Paul Juggins convince il giovane autore a mettere insieme un vero e proprio album, Slow Season, pubblicato nella prima metà del 2014. Le dieci canzoni sono un deciso colpo al cuore della migliore tradizione pop.
Cullen si muove con agilità e freschezza tra i confini, spesso limitanti, del dream-pop, ma nell’uniformità apparente di scrittura e arrangiamenti c’è molto di cui arguire e godere. Bastano le prime note di “Sleeping Sacks” per cogliere in pieno il talento del musicista irlandese, grazie a un refrain accattivante, un sognante tappeto di voci e un pizzico di shoegaze. La magia si ripete nella title track, una melodia dai toni cristallini e dal vellutato ritmo, un dream-folk crepuscolare e armonicamente ricco, che gode di un buon assolo chitarristico.
Sognanti ed eteree, senza essere né mielose né melodicamente ridondanti, “Old Horse Mind” e “Bad Impressionist” hanno la stessa agile grazia dei lavori di The Mostar Diving Club: sbarazzine ritmiche in chiave indietronica irraggiano le pur brumose armonie, infondendo un flavour esotico nella naif “Love Of Sailing”, infine trovando nella splendida “Cusp” la perfetta alchimia tra armonia e ritmo, con sonorità che evocano sia i Field Mice che i Lightning Seeds.
Una poco incisiva ma piacevole “Alone Ranger” e una ballata dalla sobria bellezza come “The Wave” completano il primo biglietto da visita del progetto Frankenstein Bolts.
Citata dalla stampa come una delle promesse della musica irlandese, la band prende man mano forma e sostanza. Paul Juggins entra in pianta stabile nel progetto e Justin Cullen apre le porte ad altri musicisti, come il bassista e batterista Scott Halliday e Gavin Glass, responsabili delle sonorità più elettro-pop del singolo “Up To The Root” (2015).
Un ulteriore cambio di formazione anticipa l’uscita dell’Ep Cinematic Views: tocca al chitarrista Dan Comerford (ex-Red Sail) il ruolo di alter ego di Cullen, insieme i due musicisti gettano i semi di quello che sarà il percorso definitivo della band irlandese.
Folk, dream-pop e gentili contaminazioni di synth-pop sono ancora al centro delle graziose e apparentemente innocue canzoni dei Frankenstein Bolts.
Il frizzante e rimarchevole refrain di “Anna Seed” mette in evidenza l’abilità della scrittura dei due musicisti, il ritmo veloce e sbarazzino, il riverbero cristallino della chitarra acustica e un lieve ritocco digitale cesellano un piccolo gioiellino folk-pop degno dei Belle And Sebastian. L’altrettanto ingegnosa “500,000 Green Balloons” pone una melodia parimenti degna di nota, al servizio di un’algida e raffinata architettura sonora, decisamente più ambiziosa e originale. Unica pagina di routine del lavoro è la pur gradevole “The Bay”, un brano melodicamente debole che non riesce a ripetere le pur dolci e flebili grazie di “Station Street”. La pubblicazione di un altro singolo, "Lost Shells", registrato con Scott Halliday alle percussioni e Dan Comerford alla chitarra elettrica, non aggiunge molto al profilo della band, ma funge da premessa al capitolo più avventuroso e importante dei Frankenstein Bolts. Il duo di Wexford si affida al finanziamento via crowfunding per la realizzazione del nuovo progetto, Aglow & Spark, un disco concepito non più come semplice raccolta di canzoni ma come un vero e proprio concept-album, quantomeno dal punto di vista strettamente musicale.
L’incalzante sequenza di riff chitarristici, il pulsare del basso, il lieve esotismo ritmico e il folgorante refrain quasi britpop assegnano ad “Anatomic Major”, il singolo che anticipa il disco, la palma di perfect pop song, il tutto racchiuso in soli due minuti e ventisei secondi.
Ma Aglow & Spark è molto di più che un contenitore di potenziali singoli. I quasi sette minuti della prima traccia, “Land And Water”, sono un continuo crescendo di emozioni, un groove forgiato da aspre sonorità di synth, flussi shoegaze, minimalismo in chiave dream-pop e un possente muro del suono, che apre a nuovi punti di riferimento creativi, richiamando alla mente le pagine più memorabili della Sarah Records.
Il secondo album dei Frankenstein Bolts è, insomma, un autentico capolavoro. Justin e Dan compiono un deciso passo avanti in quanto ad arrangiamenti e scrittura: le tranquille lande del dream-pop non sono mai state così rigogliose dai tempi di "Hats" dei Blue Nile. Non sorprende, infatti, il passo melodicamente e ritmicamente slowburn di “Languages (I Know)”, splendida ballata dal fascino noir che sposta decisamente l’asse delle sonorità verso una colta elettronica, un’alchimia che si rinnova nell’ancor più enigmatica ed elegante “Woodshed”, un flusso di romanticismo dai toni poetici e malinconici che ancora una volta cita Paul Buchanan.
Aglow & Spark è un album compatto, privo di sbavature o incertezze: stuzzicante quando alle grazie del folk-pop aggiunge la fluidità di morbide sonorità shoegaze (“Four Hours”), altresì intrigante quando rimescola le carte del britpop con un vortice di riff e refrain che lascia senza fiato (“Night Whispering”), intelligentemente ambizioso quando fonde tutti gli elementi stilistici – dream-pop, folk, britpop e shoegaze – per un epico ed etereo dream-folk (“Short Term Memory”). La perfezione del mosaico pop dei Frankenstein Bolts è convalidata dalle due incursioni più decise nell’elettronica: le eleganti sonorità synth-disco e funky di “The Lonely Hour” e l’eccellente elettro-pop alla Beach House della memorabile “Human Hands” sono un'ulteriore conferma del talento di Cullen.
Ma la fortuna, purtroppo, non arride ai Frankenstein Bolts. Anche i due singoli pubblicati dopo l'uscita dell’album (“Night Whispering” e “Languages (I Know)”) non catturano l’attenzione e trascorrono più di quattro anni prima che il nome della band irlandese ricompaia sulle pagine Bandcamp.
Il nuovo singolo “Your Father”, pubblicato nel luglio del 2022, saluta l’ingresso di Tom Bates (batteria) e Brian Fanning (basso), oltre a rinnovare le credenziali di Cullen come egregio autore pop. Un ritorno che viene suggellato da un nuovo progetto affidato alla sola distribuzione via Bandcamp.
In concomitanza, Cullen pubblica, a partire dal mese di novembre, una serie di singoli registrati in completa solitudine tra le mura di casa. Il quadro offerto dalle canzoni è decisamente interessante, le sonorità sono meno pop e più elaborate, tre brani superano i cinque minuti e spesso necessitano di più ascolti per essere apprezzati.
Decisamente introspettiva e ben diversa dalla spensieratezza dei due album finora pubblicati, “Heaven” (dicembre 2022) affonda le mani nella fase evolutiva dei Talk Talk, con un tappeto sonoro vellutato ed elegante che fonde tastiere e chitarre con una naturalezza impressionante e avvincente. Anche le trame più noir della meno rifinita “Dark Hotel” (febbraio 2023) e il mesto candore della suggestiva ballata dream-pop “Stronger”(novembre 2022) restano nei dintorni di un più colto alt-pop.
Il graffio chitarristico e il brio vintage delle tastiere in “Downtime” (gennaio 2023) non sconfessano la più complessa struttura delle nuove composizioni di Cullen; in converso, la più primaverile e solare “Flies” (marzo 2023), nel tentativo di rievocare i fasti degli esordi, offre un mesto deja-vu e si candida come una delle canzoni meno riuscite. La più convincente e amabile “Winning” (aprile 2023) conferma lo strappo dell’autore con il fervore giovanilistico degli esordi: più che un cambio di rotta, è una vera e propria evoluzione che resta fedele alle logiche del pop, con un’attenzione più netta al tasso emotivo e romanticamente viscerale, come conferma l’eccellente ballad “Happyness” (maggio 2023).
In attesa di scoprire le prossime mosse di Justin Cullen e dei Frankenstein Bolts, non resta che assaporare fino in fondo i due album e i vari singoli pubblicati finora, con una particolare attenzione per Aglow & Spark, un disco che possiamo indicare senza timore come uno dei migliori album di pop irlandese.