Sì, d'accordo, l'attuale scena rock trabocca di "next big things", di band studiate a tavolino, fintamente alternative, epigoniche ai limiti del plagio, pompate in modo sfacciato dalle loro case discografiche e prontamente incensate in copertina come "fenomeno dell'anno" dalle compiacenti riviste musicali italiane (e non). E, d'accordo, ci può stare che anche i Black Rebel Motorcycle Club possano avvicinarsi sinistramente a questo identikit di band "precotta", da spremere come un limone (vero Virgin?) per ricavarne dollari a palate, fino a che qualche furbastro del marketing d'oltre oceano non trovi altre facce giuste per un nuovo affare.
Se però è alla musica - e non ai pregiudizi - che si deve badare, appare altrettanto stupefacente (e finanche un po’ irritante) l'ondata di indignazione che questo "Take Them On, On Your Own" ha suscitato nelle frange più "snob" della critica. Già, perché messo da parte l'istinto stroncatorio che ogni "fenomeno dell'anno" tende a suscitare, bisogna ammettere che il Club della Motocicletta Nera Ribelle ha anche dei buoni numeri. Niente di particolarmente nuovo, per carità. Ma saper rivitalizzare suoni del passato (Interpol docent) non è da tutti. E i Black Rebel Motorcycle Club, a tratti, vi riescono davvero, rievocando, a turno, gli spiriti inquieti di Stooges, Rolling Stones e (soprattutto) Jesus And Mary Chain, la band citata come principale riferimento dal trio di San Francisco (il bassista e cantante Robert Turner, il chitarrista Peter Hayes e il batterista Nick Jago).
E poi ammettiamolo: è difficile, ascoltando questo disco, non battere il piede per terra o (per i meno compassati) iniziare a dimenarsi spudoratamente. Provare per credere con l'iniziale, tiratissima "Stop", che irrompe dopo il caos della title track (traccia 0, nascosta) sfoderando un riff contagioso e un ritmo sfrontato alla Iggy Pop. Una linea di basso torbida e sensuale è l'àncora melodica del brano, sfigurato dai feedback di chitarra di Peter Hayes e scosso dai sibili dei piatti di Jago. Il solito singolo lascivo-ruffiano alla Strokes? Può darsi, ma funziona.
Se l'omonimo album d'esordio di due anni prima vibrava di una sanguigna ingenuità, qui il suono dei Black Rebel è più maturo e vitale, come conferma la seconda traccia, "Six Barrel Shotgun", dura, depravata e iper-cinetica, nella miglior tradizione del Detroit-sound di Stooges e Mc5. Ma nell'arsenale della band statunitense c'è anche molto di britannico. Anzitutto, il retaggio "shoegazing": l'impronta "heavy", i feedback e i riverberi delle chitarre, la qualità ipnotica del suono, le bordate "dark" del basso, l'andamento ripetitivo delle canzoni, gli strati di rumore in sottofondo. Ed è una vena palesemente gotica, nel senso albionico del termine, quella che emerge in un brano come "We're All in Love".
Ma "Take Them On, On Your Own" è anche la testimonianza (furbetta, su questo non ci piove...) del disagio generazionale di inizio millennio, quello che fa cantare a Peter Hayes "Non mi sento a mio agio in questa generazione/ mi sono sentito solo in questa generazione" nella trascinante "Generation", in cui trapela una tendenza al "groove" figlia dei Primal Scream. "Us Government", invece, è una canzone antigovernativa che era stata scartata due anni sull'onda emozionale post-11 settembre.
Necessariamente, tra una sferragliata di chitarra e l'altra, arrivano i momenti di pausa, affidati ai ritornelli melodici di "Shade Of Blue" o della psichedelica "Suddenly", alla delicatezza di "In Like The Rose" o alle leziosità acustiche, al limite della melensaggine, di "And I'm Aching", o ancora all'andamento indolente di "Ha Ha High Babe", avvolta in una coltre di loop e rumori assortiti. Il finale, invece, è ancora una volta arrembante, con il delirio psicotico di "Heart +Soul": oltre sette minuti di jam torrenziale, nati come antidoto alla noia di concludere i concerti sempre allo stesso modo.
La produzione è sì levigata - si avverte la mano di ingegneri del suono navigati come Richard Simpson (già insieme a John Denver e Christian Death), Michael Been (ex chitarrista dei Call e quindi solista per l'etichetta di Quincy Jone's) e Ben Thackeray (assistente al suono di Coldplay e The Music) - ma non al punto da compromettere l'indole "lo-fi" della band (cinque tracce, ad esempio, sono direttamente riprese dai demo originali).
Insomma, i Black Rebel non sono né la band dell'anno, né i nuovi Nirvana. La loro estetica ribelle, ispirata al film "Il Selvaggio" con Marlon Brando, è fin troppo ostentata per apparire sincera e non può non risultare stucchevole. Alcune tracce sono spudoratamente calligrafiche. Ma un barlume di talento c'è, e si vede. E, alla fine, ascoltare il loro ultimo disco si rivela un'esperienza più piacevole di quanto ci si potesse aspettare.
26/10/2006