Parlando dei Black Tape For A Blue Girl è sempre bene chiarire un punto fondamentale: che, cioè, non si sta parlando di un "gruppo", quanto piuttosto del vero e proprio centro attorno a cui orbita una intera scena musicale, un progetto aperto in cui Sam Rosenthal, tastierista e songwriter (e orgoglioso "non musicista", secondo l'espressione coniata da Brian Eno), si circonda di talenti per la gran parte provenienti dalla pregiata scuderia della Projekt Records, l'etichetta discografica da lui stesso fondata nel lontano 1983 e diventata il centro della odierna scena "gothic" americana. Alcuni l'hanno accompagnato per anni (come il cantante Oscar Herrera, che dal 1986 al 1999 è stato il cantante principale del progetto e alla cui voce è legato molto dell'immaginario "Black Tape"), altri hanno fatto solo brevi comparsate, ma la sostanza non cambia: Black Tape For A Blue Girl non è mai stato un "gruppo", è stato un palcoscenico su cui diversi attori si sono dati il cambio, sempre agli ordini di Rosenthal, autore e regista indiscusso.
Bene, dopo questa lunga premessa, rimangiamoci tutto: "Halo Star", il nono album uscito a nome Black Tape, è l'album di un gruppo. Sam Rosenthal si fa da parte come mai prima d'ora, lasciando la scena non a dei "comprimari" chiamati ad aiutarlo per l'occasione, ma a una "band" vera e propria, composta da Bret Helm (cantante degli Audra, discreto gruppo dark-wave della Projekt) alla voce e alla chitarra e Michael Laird (mente di uno dei più interessanti gruppi Projekt, gli Unto Ashes) alle percussioni, liberi di dare vita alle sue composizioni secondo i loro personali stili.
Entrambi, peraltro, già figuravano sul precedente album di Black Tape, quello che ha inaugurato il nuovo corso (il meraviglioso "The Scavenger Bride" del 2002), e Rosenthal in pratica non fa altro che ampliare quelle che erano le loro parti su quel disco. Riducendo così lo spessore degli arrangiamenti, che da densi, pastosi e sinfonici che erano si fanno ora più semplici e prevalentemente acustici. La creatura di Rosenthal, insomma cambia pelle, e questo "Halo Star" è anche e soprattutto per questo motivo un disco a cui è difficile abituarsi, specie se si è un fan della prima ora.
L'apertura dell'album, inoltre, non è certo tra le più incisive e affascinanti - almeno per lo standard di Rosenthal - con l'intro orientaleggiante e percussiva di "Glow" e il singolo "Tarnished", gradevole, energico, ma in sostanza piuttosto debole. Da qui, però, si fanno strada lentamente canzoni tenui, sfocate e malinconiche come la bellissima "The Gravediggers" e "Indefinable, Yet" che torna alle atmosfere sensuali ed eteree del precedente disco (alla voce c'è proprio la protagonista di quel recital a più voci che era "The Scavenger Bride", l'ottima Elysabeth Grant). "Knock Three Times" si staglia come uno dei momenti migliori dell'album: scarna, ipnotica, misteriosa, scandita da rintocchi di pianoforte che in sottofondo sembra piangere silenziosamente, e cesellata magnificamente dalla voce di Helm, perfettamente a suo agio in uno scenario tanto sottilmente sinistro.
Il secondo singolo "Scarecrow" è una splendida ballata che costituisce il climax drammatico del disco (e contiene anche il verso che al disco dà il titolo). Due romantiche e tristissime arie come "Damn Swan!" e la magica "Already Forgotten" - entrambe interpretate da Elysabeth Grant - hanno il compito di dilatare ulteriormente le atmosfere, e la seconda raggiunge quasi la stasi più assoluta. E che dire di "The Fourth Footstep", una lunga fiaba visionaria che lascia a bocca aperta, ultima boccata d'ossigeno prima che "Dagger" e la title track chiudano il disco su note sempre più cupe, soffocanti e silenziose.
"Halo Star" è un disco che, come sempre, contiene vette di puro incanto. Solo che Rosenthal stavolta sparge e nasconde le sue gemme in una struttura sfilacciata e irrisolta, a differenza che nel precedente album, dove tutto era invece perfettamente scorrevole, calcolato e rifinito al millimetro. E dove "The Scavenger Bride" era ricco e maestoso anche nei suoi momenti più intimisti, "Halo Star" è invece ridotto all'essenziale, dimesso, quasi indolente, anche nei suoi momenti più intensi.
"Halo Star" è un'opera sfuggente come poche altre; chiuso in sé stesso e nella sua fragilità, è un disco che richiede un ascolto attento e paziente, che permetta di cogliere il cuore pulsante di vita, di bellezza e di emozione che anima le sue composizioni, che si agita sotto la sua superficie solo apparentemente spoglia e raggelata.
16/11/2006