“Walking With The Beggar Boys” è il settimo album sulla lunga distanza degli Elf Power, la band originaria di Athens, Georgia, che in tale cittadina ha dato vita nel corso degli anni 90, insieme ad altri gruppi come Olivia Tremor Control, Neutral Milk Hotel, Apples in Stereo, a quel collettivo votato al pop obliquo di nome Elephant 6, all’interno del quale le collaborazioni, i progetti e gli scambi fra gli “adepti” hanno sempre avuto vita facile.
Album, questo, che segna una discreta svolta nel suono dei Nostri; laddove infatti i dischi precedenti, e in particolare quel capolavoro che è “A Dream In Sound” (edito nel 1999 da Arena Rock, ma distribuito in Europa solo nel 2001 dalla Shifty Disco), abbondavano di marcette, soffici ninnananne, musichette da carillon, esplosioni carnevalesche improvvisate, andando a forgiare una sonorità prettamente acustica, in bilico fra le lezioni dei Beatles e dei Byrds, venata di un costante e distintivo tocco di psichedelica (non a caso il già citato “A Dream in Sound” era coprodotto con Dave Fridmann, già al lavoro con Flaming Lips e Mercury Rev), in “Walking With The Beggar Boys” (2004, Orange Twin) le sonorità, pur senza scardinare i riferimenti basilari, fanno qualche passo verso il terreno del power-pop, raccogliendo i semi gettati dai Big Star di Alex Chilton, precursori del genere, e dando vita a una manciata di canzoni che rimandano a volte agli scozzesi Teenage Fanclub, a volte ai compatrioti Weezer, ai canadesi New Pornographers e ancor più spesso agli REM (guarda caso anche loro originari di Athens, e ditemi se una canzone come “Don’t Let It Be” non sembra rubata alla scaletta di qualche album degli anni 80 della band di Michael Stipe), ma fanno anche pensare, per l’espressione di talento pop, a Guided by Voices e Grandaddy.
Divorati evidentemente da un’intensa urgenza espressiva e forti dell’ingresso nella band di due nuovi elementi (Eric Harris, ex Olivia Tremor Control, e Craig McQuiston, ex Glands), Andrew Rieger, cantante, chitarrista e autore, Laura Carter, polistrumentista, ex Neutral Milk Hotel, e il batterista Aaron Wegelin ci regalano un disco di appena 33 minuti dove nulla o quasi è sprecato e le ispirazioni musicali sono messe a fuoco e finalizzate alla costruzione di canzoni di 2-3 minuti, che segnano il trionfo della capacità degli Elf Power di scrivere gioiellini pop giocati su pochi accordi, il cui fascino è da scovare nelle soluzioni melodiche, nell’inserimento, in fase di arrangiamento, di chicche strumentali, un piano honky tonky in un caso, una tastierina o un riff di chitarra in un altro, nonché nell’uso sapiente e coinvolgente dei cori e dei contrappunti alla voce, caratteristica questa ben presente nei lavori di tutti i gruppi da cui i Nostri traggono ispirazione.
Così l’incedere quasi glam della title track, impreziosita dalla collaborazione con Vic Chesnutt, l’indovinato ritornello acido di “Drawing Flies” (e l’inconfondibile tratto psichedelico è di certo un’impronta costantemente presente nel suono dei Nostri), le melodie e i cori di “Evil Eye” e della già citata “Don’t Let It Be”, la dolcezza di “Invisibile Men” (questa volta nell’ ”Elf Power style” che ricordavamo bene) e la tradizione nordamericana di “Empty Pictures” compongono infine un disco dotato di un “tiro” pop e di un’immediatezza unici, che non può che conquistarsi un posto fra i miei preferiti degli ultimi mesi e, forse, dell’intera annata.
13/12/2006