A due anni dal loro terzo album, "Dreams That Breathe Your Name", tornano Jennifer Charles e Oren Bloedow, ovvero gli Elysian Fields. Per chi non conoscesse questa band newyorkese, basti sapere che i due (con l'aiuto di collaboratori esterni, ovviamente, tra cui il fido Ed Pastorini alle tastiere) hanno dato vita, sin dalle origini, a una poetica sonora ben precisa, basata su strutture di rock dilatato e lento (senza suonare slo-core, però), riflessivo e spesso cupo, che si dipana come senza vita, scaldato solo dal suadente canto da sirena della Charles, proveniente dalla scuola di Hope Sandoval.
Ancora oggi, con "Bum Raps & Love Taps", gli Elysian Fields mostrano di essere ben ancorati agli anni Novanta e a sé stessi, dando alle stampe un disco nato e concepito vecchio, come se nulla intorno fosse cambiato. E in verità così facendo percorrono la strada giusta, dato che il risultato ripaga ampiamente.
"Lions in the Storm", morbido rock jazzato, contornato da violini e con colpi d'organo sullo sfondo; "Sharpening Skills", inquieta e sussurrante, con qualche tensione post nelle chitarre, mood oscuro sottolineato da stacchi di batteria e note sbilenche di piano; "Duel With Cudgles", rintocchi orientali su intrecci strumentali di piano, chitarra e riverberi di elettronica sino all'apertura in psych-rock, più convenzionale ma non meno bello: sono tutti brani in cui si mettono in evidenza mestiere, fantasia e qualità, riuscendo a trovare le giuste soluzioni per convincere.
Nella prima metà a incidere di meno è solo "Set the Grass on Fire", brano comunque gradevole, che monta un piglio più aggressivo, pur senza rinunciare alla vena psichedelica e guardinga delle altre composizioni. "Lame Lady of the Highways", ballata noir accompagnata da giri di chitarra dal sapore di bossa (con nel cuore un'ampia pausa a tinte oscure grazie a tamburi tribali, canto ipnotico e frattaglie rumorose), si associa invece al livello della maggioranza.
Agli Elysian Fields manca forse solo il colpo da ko. Ed eccolo subito giungere, anticipato e promesso da "When", trasognato dream-pop per voce, pianoforte e pochi orpelli: trattasi della title track, altra lunga romanza, stavolta per piano e chitarra, intessuta e cesellata con grazia e capace di altissimo coinvolgimento emotivo.
Gli Elysian Fields non sono una band brillante per definizione e le loro architetture decisamente poco immediate ci mettono un po' a rapire: eppure alla fine indovinano sempre il giusto giro di ogni pezzo, con lampi valorosi e capaci di toccare in profondità, riuscendo a unire sostanza alla forma. Saranno anche fuori dal tempo: beh, chissenefrega.
29/06/2006