"Black Sheep Boy" è davvero una pietra preziosa, una di quelle perle che, una volta trovate, ci si porta dietro per un'intera esistenza.
Il quarto lavoro dei texani Okkervil River (se escludiamo il primo Ep "Bedroom" del 1998) ricama trame intense e chiaroscurali, fondendo con una invidiabile naturalezza il folk-rock dylaniano, il country-pop degli Wilco e la psichedelia deviata della Incredibile String Band.
Una miscela sonora che reca comunque su di sé l'indelebile marchio di fabbrica delle stramberie liriche di Will Robison Sheff, il quale ci guida in un mondo immaginario, e forse per questo più vero che mai, popolato da psicopatici assassini e dolci amanti, vittime di stupro e cowboy in fuga verso il tramonto.
Il precedente "Down The River Of Golden Dreams" (2003, sempre per Jagjaguwar) aveva finalmente mostrato le reali capacità interpretative dell'ensemble, senza però raggiungere la quasi perfezione di questo nuovo, freschissimo lavoro; l'unica pecca qui rintracciabile è forse l'eccessiva esuberanza pop nei coretti della beachboysiana "The Latest Toughs", ma il resto è assolutamente compiuto.
La produzione esalta magnificamente il contrasto tra pieni liquidi e vuoti infiniti, e abbraccia parole prosaicamente distese su soffici tappeti di tastiere o evanescenti arpeggi chitarristici, senza rinunciare se necessario a graffiare con violenza ("For Real", squarciata incursione in una mente malata, o "Black", appassionata sfilata rock).
L'omaggio a Tim Hardin contenuto nel titolo e nell'eponima traccia d'apertura è una figura che incontriamo più volte nei diversi episodi del disco: il pecoraio sembra rappresentare una ideale rural setting che viene di volta in volta declinata in chiave epica, western o elegiaca.
Egli è insomma lo sfondo (la matrice) su cui il demiurgo Sheff tratteggia le proprie storie, accompagnato da una fitta schiera di strumentisti (in primis l'amico e co-fondatore del gruppo Seth Warren).
Gli Okkervil River (il nome deriva da un racconto dell'autrice russa Tatyana Tolstoya) hanno perfettamente focalizzato il loro stile e maneggiano con destrezza i complessi intrecci strumentali delle loro partiture sonore.
Una menzione speciale per il pezzo conclusivo, "A Glow", in cui una lacrima nel vento si libra in uno splendido tramonto del Far West; a sostenerla una chitarra languida, sofficemente elettrica, e una sezione ritmica ovattata e compatta.
E' ancora troppo presto per dire se "Black Sheep Boy" lascerà una traccia importante nella storia della musica rock degli ultimi anni, però noi almeno lo inseriamo tra i candidati di prim'ordine.