Riuscire di questi tempi a coniugare tradizioni islamiche e
attitudini occidentali è già operazione non da poco. Farlo ottenendo anche
risultati artistici pregevoli rasenta l’impresa. Natacha Atlas vi riesce con
disinvoltura da anni, sin dai tempi in cui era la chanteuse dei
Transglobal Underground, una delle realtà più significative del crossover
ethno-dance degli anni 90. Ma è soprattutto da solista che la cantante,
compositrice e ballerina belga-egiziana ha colpito nel segno, con una babele
sonora capace di catturare tanto l’etnologo musicale quanto l' habitué
delle discoteche. Un ibrido temerario, riscaldato da una sinuosa vocalità che le
è valsa anche collaborazioni di prestigio (da Jocelyn Pook a Franco Battiato) e il premio come
Miglior cantante al Victoire de la Musique Awards, l'equivalente francese dei
Grammy. E la particolarità della sua "missione" non è sfuggita nemmeno alla
presidente irlandese Mary Robinson che nel 2001 l'ha nominata ambasciatrice alla
Conferenza Onu contro il razzismo.
"Mish Maoul", ottavo disco in undici
anni, vede il rientro in cabina di regia di Nick Page aka Count Dubulah
(Temple of Sound), già al fianco della Atlas ai tempi dei Transglobal
Underground e del suo debutto solista, "Diaspora". Musicalmente, sono due le
direttrici principali. Da un lato, il ritorno alle origini, con l'attenuazione
del battito trip-hop in favore di un recupero delle musiche tradizionali
marocchine e dell'eredità dei taiwid , i cantori del Corano presenti con
diversi stili e forme all’interno del mondo islamico. Dall'altro, l'ulteriore
estensione dell’orizzonte sonoro, con rimandi a ritmi hip-hop e al Brasile della
bossa nova. Resta, invece, la straordinaria policromia della tavolozza
strumentale, che predilige tastiere, archi, fiati e percussioni, attingendo
particolarmente alla tradizione nordafricana (ud, tablah, bendir, bouzouqi, nay
etc.).
Trionfa l'esotismo, dunque, a scapito dell'anima pop che aveva
permeato le precedenti produzioni, a cominciare dal fortunato "Gedida". Una
scelta ambiziosa che si rispecchia anche nella scelta di cantare quasi solo in
arabo (nei dialetti egiziano e levantino), rinunciando all'inglese e al
francese, e nel costruire i brani più sulle tessiture che sul refrain ad
effetto. Ecco allora l'esplorazione di un raffinato north-african cool
nell'iniziale "Oully" - languide frasi di nay (il flauto egiziano) e bel duetto
vocale con Sofiane Saidi - o ancora il soffuso ambient mediorientale
venato di saudade di "Bab El Janna", con archi a profusione e cantato
celestiale, e di "Wahashni", dove un semplice handclapping tiene il ritmo
su cui poggiano i melismi vocali di Atlas inframezzati dal qanun di Abdullah
Chadeh.
Ma è in vorticose danze del deserto come "Hayati Inta",
"Bathaddak" e "Haram Aleyk" che l’istrionismo della belly-dancer di
Bruxelles riesce a esprimersi appieno, liberando la carica sensuale che l'ha
resa celebre, in una casbah di percussioni e canti berberi.
A mantenere il
contatto col trip-hop bristoliano è rimasta soprattutto "La Lil Knowf",
dove il canto di Natacha trova un contrappunto maschile in Clotaire K e Sofiane
Saidi, sotto un battito ora più serrato. Esito contraddittorio, invece, per i
due brani che "osano" di più: se "Ghanwah Bossanova" amalgama mirabilmente
timbri mediorientali e morbidezze brasiliane, il tentato abbraccio con
l'universo hip-hop di "Feen" (con Princess Juliana) si sgretola attorno a un
ritornello scipito e a un andamento r'n'b di maniera. Chiude degnamente
l'album il ricamo acustico di "Yariet", tra luccichii di corde e arabeschi
vocali.
La ricerca sul sound è certosina ma, anche a causa di una
certa enfasi da iper-produzione, pecca talvolta di artificiosità - il che, per
un disco che si propone un ritorno alle radici, non è difetto da poco. Manca poi
la traccia trainante, la "Mistaneek" o la "Aqaba" in grado di assestare il colpo
da knock-out all'ascoltatore. Non sarà dunque quel disco "incredibile"
che il titolo (in arabo) vorrebbe far intendere, ma "Mish Maoul" offre comunque
un nuovo saggio delle capacità mesmeriche di Mademoiselle Atlas , la più
sapiente incantatrice di serpenti dell' ethno-pop contemporaneo.
18/10/2006