Eh sì, forse non lo sapevate ma da qualche anno i Two Lone Swordsmen hanno la loro etichetta indipendente. In realtà ne avevano avuta una già una volta, da neonati, nel 1995. Era la famigerata Emissions Audio Output, e dovette chiudere in un paio di anni. La nuova, in (punta di) piedi dal 2001, si chiama Rotters Golf Club, e finora ha pubblicato soprattutto vinili e materiale sempre riconducibile a Weatherall e Tenniswood. Così, dopo una raccolta di brani contenuti nelle prime pubblicazioni degli Swordsmen (oggi introvabili proprio a causa della rapida fine della vecchia label), ecco i primi inediti firmati dal solo Andy con il proprio nome per esteso.
In questo Ep, Weatherall mette insieme un po’ tutte le sue esperienze per ricavarne una divertente riproposizione/elaborazione. I quattro brani (più un remix) che lo compongono, infatti, si differenziano molto l’uno dall’altro, dando l’impressione di una raccolta eterogenea ma che mantiene sempre lo stesso spirito nerissimo e dissacratorio.
Tocca all’iniziale “Feathers” riprendere il discorso da dove era stato lasciato. Una strumentale con basso predominante e batteria live in stile “From The Double Gone Chapel”. Non è un caso che sia l’unico brano firmato insieme a Tenniswood. La ritmica è sostenuta, ma ancora una volta siamo lontani dalle cose più ballabili. Comunque il vecchio Andy non le manda a dire: si attendono remix.
“La Sirena” pesca ancora nel torbidume dell’immaginario suburbano del nostro, laddove si nascondono (haunted) dancehall poco raccomandabili avvolte da nebbie che non si dissipano mai, dove un Jack lo Squartatore moderno potrebbe aspettarvi dietro ogni angolo.
“Edie Eleven” spiazza, perché praticamente è un pezzo trance dal carattere “spadaccino” ben delineato, ma in stile Border Community (sì, proprio la rampante giovane etichetta di Holden e Nathan Fake). Nella tensione montante Weatherall scioglie, oltre a chissà quali sostanze, una chitarra spagnola in loop. Risultato? Ottimo. L’uomo è un genio nel riuscire a rimanere al passo con i tempi senza sforzo. Tutte le volte sembra che ogni novità fosse sempre stata sua. Come se lui fosse già stato lì, e avesse solo aspettato che arrivassero gli altri.
Ma il capolavoro è uno solo, e lo abbiamo volutamente lasciato per ultimo. Se il remix dei Repeat/Repeat riprende un po’ lo stile di “Edie Eleven” ma è tutto sommato abbastanza convenzionale, la vera “You Can’t Do Disco Without A Strat” è uno dei pezzi più divertenti che ci siano capitati fra le orecchie ultimamente. Diciamo, per rendere un po’ l’idea, che è una specie di Weatherall goes LCD. Una sfida all’altro mitico panzone (quasi) quarantenne ma mai cresciuto, maturo ma ancora giovane. Sì, avete capito: è una sfida indiretta a James Murphy. E sullo stesso territorio. Weatherall, infatti, imbastisce un punk-funk tecnologico che sprizza ironia da ogni poro. Ed è l’umorismo dai denti aguzzi che già conosciamo, ma stavolta rasenterebbe la presa in giro, se non fosse così maledettamente catchy fin dal primo ascolto. Non basta il cantato strascicato con il quale abbiamo ormai una certa confidenza, non bastano le liriche sardoniche, non basta il vocoder? E allora via con un bel coro femminile di pura disco con tanto di vocalizzi da Supremes in scatola. Il confronto con la musica murphiana è inevitabile, e la sfida termina un pareggio in cui vincono tutti.
Qui urge un Lp.
17/03/2007