21 maggio 2005, Festival International de Musique Actuelle di Victoriaville. Una piacevole serata organizzata da Thurston Moore con la seguente line-up : Hair Police, Double Leopards, Dead Machines, No-Neck Blues Band e appunto Wolf Eyes. E Anthony?
Facciamo un passo indietro. Storia narra che, durante un viaggio in Svezia, Braxton abbia assistito a uno show dei Wolf Eyes e, rimasto fulminato dal trio, abbia tentato di accaparrarsi al banchetto dei cd quanta più roba potesse. Neanche sapeva che fossero americani, tanto che nella sua testa stava ventilando l'idea di trasferirsi per un periodo in Svezia, "anche come cuoco se dovessi", in modo da poterli seguire più da vicino. Scoperte le origini del gruppo (Michigan), la collaborazione sembrava dietro l'angolo, restava da definire solo il momento e il luogo.
A questo punto si è messo in mezzo Mr. "prezzemolo" Moore, il quale ha suggerito la collaborazione tra i due proprio sul palco del suddetto festival di Victoriaville. E così è stato. Moore sale sul palco, fa le presentazioni e tra lo stupore del pubblico la formazione tre più uno inizia a suonare.
"The Mangler" è un lungo pezzo in larga parte improvvisato, la partenza è soffusa, quasi minimalista, i Wolf Eyes creano un tappeto elettronico sul quale il sassofonista scandisce brevi frasi. È come se due bestie esitanti si studiassero a vicende prima dell'affondo. Una guerra di nervi nella quale nessuno dei due vuole fare la prima mossa, e ci vuole un po' perché il concerto entri nel vivo. Il sound inizia a prendere corpo, forse quel poco di timore reverenziale verso il jazzista ha lasciato spazio alla voglia di confronto; il risultato è che la tensione cresce di minuto in minuto, ora con una stridula sferzata di sax, ora con un sordo rimbombo metallico. Tutto capita a poco a poco, senza strappi, fino a quando, dopo un breve momento di pausa (banalmente definibile la classica pausa prima della tempesta), i suoni ritornano a farsi vivi, ed è soprattutto Braxton ad indicare una strada che i tre percorrono con somma gioia. Il sax si erge su tutto, vola su note acutissime mentre chilometri sotto il trio noise partorisce brutali scariche elettrostatiche, fino a quando Braxton resta di colpo da solo. Parte un battito, ne segue un altro, parte il ritmo di un fabbro che colpisce un'incudine. "This song's called Stabbed In The Face, men".
In tanti anni e in tanti album i Wolf Eyes probabilmente non hanno mai raggiunto una simile intensità. Lo stesso Braxton viene risucchiato in questo vortice e lascia giustamente il campo al gruppo dopo averlo progressivamente ridestato dal torpore iniziale. E di colpo, com'è iniziata, "Stabbed In The Face" si chiude tra gli applausi di un pubblico attonito.
Olson: "I think we got time for one more..."
Young: "You guys wanna hear Leper War or Black Vomit?"
Olson: "What song's better?"
Olson: "Anthony, what do you wanna hear man, Leper War or Black Vomit?"
Braxton: "Black Vomit!"
Olson: "Yeeeeaah! Let's see what you got!"
In verità è una sorta di medley tra una catastrofica versione di "Rationed Rot" dal nuovo Human Animal e una "Black Vomit" che chiude la serata in un collasso di feedback. Applausi, ringraziamenti, presentazioni e l'augurio di un buon weekend.
Quello che colpisce è il percepire l'atmosfera di divertimento che ha circondato l'evento. Divertimento che traspare dalle battute iniziali su Guerre Stellari, dal chiedere al pubblico che canzone preferisce o dal farsi una risata alla risposta di Braxton. Questa è stata la grandezza dell'esibizione, non si è trattato solo di un ammasso di cieca violenza in musica o di uno sfogo pubblico del proprio malessere, è stato un concerto dal quale gli spettatori sono usciti con un sorriso stampato in faccia e con la consapevolezza di aver assistito a qualcosa di unico.
21/10/2006