Il blues urbano dei Bachi da Pietra spinge l'acceleratore su visioni iperrealistiche pregne di un nichilismo sconquassante, dove l'etica della sofferenza difficilmente ottiene catarsi, ma forse neanche ci prova. Una musica che morde alla giugulare per trascinarti giù nelle lande della perdizione, che si nutre di una foga repressa, vivida, quasi tangibile, totalmente riversata in suoni serrati, implosi, in cui l'incedere lento è metafora di un calvario doloroso quanto inevitabile.
Dentro/fuori, aperto/chiuso, l'arte del duo Succi-Dorella vive di dicotomici slanci poetici, nei quali lo spazio interno già devastato da inquietudini e turbamenti incontra difficoltà nel rapportarsi allo scorrere del reale. Ciò comporta un chiudersi a riccio, un rimuginare sui propri moti d'animo che nondimeno scalciano (inutilmente) per emergere. Di qui il manifesto "Casa di legno" rende il senso di un riflettersi addosso, nonostante non restituisca risposte. Il suono, così ancorato al suolo, è alla perenne ricerca di uno sfiato, di una via d'uscita, in verità in qualche modo percepibile solo nella conclusiva "Ofelia", onirica, melodiosa e quasi ottimistica nel prendere atto dell'irreversibilità della situazione.
In mezzo tante immagini catramose, istantanee luminosamente claustrofobiche orientate verso l'espressionismo astratto di un Mark Rothko in monocolore. Una modulazione in stati d'animo che procede per microspostamenti umorali, dallo "...scendo giù all'inferno e torno..." della bellissima "Giorno perso" all'impossibilità di fuggire di "Lunedì" fino alla prostrazione biascicata in "Check In Life". Perfetta, poi, l'integrazione tra il recitato doomy e un'impalcatura sonora che, pur essenziale se non scheletrica, emana calore da ogni nota, alla ricerca semmai di una musicalità maggiormente pronunciata nell'ubriacatura (avant) punk/blues di "Bastiano". E l'impressione finale è che quand'anche dovesse scendere la pioggia purificatrice, il sangue rappreso resti difficile da tirar via.
15/05/2007