Nulla più che un grumo di polvere: che altro rimane dell’uomo, al declinare dei suoi giorni? Eppure, il grido del suo cuore ha la misura dell’intero universo. Mercoledì delle Ceneri dell’esistenza umana, memoria del suo niente e della sua grandezza: dissolversi come cenere e sorprendere in ogni granello un punto di fuga verso l’infinito. “Ash Wednesday” è tutto questo, una parabola di caducità e speranza capace di abbracciare con lo sguardo la verità dell’esperienza. E per un autore al debutto non potrebbe esserci preludio più carico di promessa.
Elvis Perkins sembra un perfetto nome d’arte, un omaggio ai giorni del "Million Dollar Quartet". Niente di tutto questo: l’autore di “Ash Wednesday” è proprio il figlio di Anthony Perkins, volto indimenticabile di “Psycho”, morto di Aids nel 1992. La madre, Berry Berenson, famosa fotografa per riviste come “Life” e “Vogue”, era a bordo dell’aereo che si schiantò per primo contro la Torre Nord del World Trade Center la mattina dell’11 settembre. Una concatenazione di sventure degna della biografia di Mr. E, che non ha potuto fare a meno di segnare profondamente la personalità artistica di Elvis Perkins.
Cresciuto tra New York e Los Angeles, il giovane Elvis ha imparato a suonare il sax e la chitarra prendendo lezioni da Prescott Niles degli Knack (sì, proprio quelli di “My Sharona”…). Accompagnato dagli “Elvis Perkins in Dearland”, un combo formato da Brigham Brough al basso, Nicholas Kinsey alla batteria e Wyndham Boylan-Garnett alla chitarra e alle tastiere, il songwriter americano si è fatto conoscere andando in tour con gente come Okkervil River, Pernice Brothers, My Morning Jacket e Cold War Kids. Il passaparola virtuale dei blog, i video di YouTube e l’inserimento di un paio di sue canzoni nella colonna sonora di “Fast Food Nation” di Richard Linklater ed in un episodio del telefilm “The O.C.” hanno fatto il resto.
Così, superata da poco la trentina, Perkins è giunto finalmente all’esordio discografico, raccogliendo un pugno di brani dalla lunga gestazione, scritti per metà prima della morte della madre, cui il disco è dedicato, e per l’altra metà nel periodo successivo. Registrate a Burbank e Los Angeles, le composizioni di “Ash Wednesday” sono state rifinite dal 2002 ad oggi con l’aiuto dell’amico Ethan Gold alla produzione, anch’egli songwriter in cerca di fortuna, oltre che di una multiforme orchestra di collaboratori, che annovera tra le proprie file anche il fratello Oz Perkins, attore come il padre.
Insomma, ce ne sarebbe già abbastanza per creare un personaggio indie da manuale: ma la musica di Elvis Perkins riesce a cancellare subito ogni possibile ombra di scetticismo, con il suo repertorio di canzoni dall’impronta classica e dalle nobili ascendenze, vibranti di carne e sangue e di ombre di fantasmi.
“Ash Wednesday” mette in mostra le proprie credenziali sin dall’incipit di “While You Were Sleeping”, invitando il raffinato eloquio di Leonard Cohen a trascorrere una notte in bianco con il torrenziale sonnambulismo dei Destroyer. Ed ecco la chitarra acustica e la tonalità nasale di Elvis Perkins accompagnarsi agli sbuffi della batteria ed al luccichio degli ottoni, come in una triste cavalcata verso la polvere del tramonto.
Le movenze gitane del violino di “All The Night Without Love” danzano sugli accenti fumosi del contrabbasso, ammantando di una malinconica solitudine le gighe dei Beirut. Poi, uno sprazzo di elettricità concede un’isolata svagatezza pop alla cantilena alla Neutral Milk Hotel di “May Day!”, facendo da contraltare al funereo violoncello del valzer folk di “The Night & The Liquor”.
I Decemberists di “Castaways And Cutouts” osservano compiaciuti, candidandosi come pietra di paragone più immediata per le atmosfere di “Ash Wednesday”. Il Dylan dei tardi anni Settanta è lì accanto, pronto a rivendicare la paternità di brani come “Emile’s Vietnam In The Sky”, il cui violino riporta in vita le scorribande dei tempi di “Desire”. E la tromba jazzistica di “Sleep Sandwich”, con le sue sottolineature di timpani, non sembra forse appartenere ad un Rufus Wainwright spogliato di magniloquenza?
Ma non basta snocciolare un elenco di modelli e rimandi per catturare l’essenza di “Ash Wednesday”. Pur scontando le comprensibili esitazioni di un esordio, Elvis Perkins rivela tutta la propria personalità quando non ha timore di mostrarsi nudo, come nei sofferti volteggi e nei drammatici fremiti di archi della title track.
“All this life is Ash Wednesday”, annuncia solennemente Perkins. Memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris. Ricordati che sei polvere, polvere come quella delle macerie sparse sull’alba di mercoledì 12 settembre, A.D. 2001, quando il nuovo millennio conobbe il proprio terribile Mercoledì delle Ceneri. “Nessuno uscirà vivo dal Mercoledì delle Ceneri / né soldati né amanti, né padri né madri, nemmeno un bimbo abbandonato”.
L’interrogativo di “Emile’s Vietnam In The Sky” aleggia come cenere nel vento: “do you ever wonder where you go when you die?”. E la tristezza di cui mormora dolcemente Perkins in “It’s A Sad World After All”, accompagnato dall’eco impalpabile della voce di Ariana Lenarsky, non è che il riverbero di quella stessa domanda.
Da “Ash Wednesday” all’epilogo pianistico di “Good Friday”, Perkins sembra allora suggerire che la vita si dipana in una misteriosa traiettoria tra Mercoledì delle Ceneri e Venerdì Santo, tra la coscienza della propria fragilità e la realtà del sacrificio come legge dell’amore. “Come lay here beside me / And I’ll fear no death”, è la preghiera che ispira i versi di “Good Friday”. Perché, come scriveva Gabriel Marcel, amare è dire all’altro “tu non puoi morire”. Come un grumo di polvere che non smette di esigere l’eternità.
16/03/2007
1. While You Were Sleeping
2. All The Night Without Love
3. May Day!
4. Moon Woman II
5. It's Only Me
6. Emile's Vietnam In The Sky
7. Ash Wednesday
8. The Night & The Liquor
9. It's A Sad World After All
10. Sleep Sandwich
11. Good Friday