Dai, non dite che non è così: quando le nostre orecchie desiderano un bell’album di canzonette, e sulla piazza compare un disco di canzonette davvero brillanti, è arduo dilungarsi in commenti positivi che siano qualcosa di diverso da "è bello", "la scaletta scorre che è un piacere" eccetera. Perciò, nella scomodissima posizione di recensore, è altrettanto arduo rendere conto dell’ottavo album di un gruppo longevo e rispettato come i Super Furry Animals, dieci anni di carriera, un sacco di splendide canzoni alle spalle, e un’unica costante di fondo in tutta la produzione: le canzonette di cui sopra.
In "Hey Venus!" ce ne sono ben undici, almeno sette delle quali valgono il meglio della produzione dei super-pelosi, qui lietissimi di lasciarsi andare alle molte varianti di composizione psichedelica, stupidella, melodicamente impeccabile, radiosa, che hanno fruttato loro un posto di riguardo nei cuori di tanti affezionati ascoltatori e fan.
Da registrare (applico qui la regola del "confronta l’album con quello precedente") il deciso scarto di velocità rispetto a "Love Kraft", 2005: là lunghezza, magniloquenza e fuochi d’artificio al ralenti; qui brani compatti, ritornelli immediati ("Baby Ate My Eightball", che sembra rubata ai Daft Punk, è un ritornello, e basta, e bellissimo) e una "scaletta che scorre che è un piacere" almeno fino a metà di questo presunto concept-album (il valore del disco resta altissimo anche ignorando che dovrebbe raccontare la storia di Venus, andata e ritorno tra campagna e città, purezza e corruzione, eccetera; non preoccupatevi, non è un’opera rock).
Ci si trovano almeno un paio di lenti Maiuscoli ("Run Away", spectoriana, e "Gift that Keeps Giving", superfurryanimalsiana), un trio di sciocchezze-killer da ascoltare non necessariamente a volume alto, ma di sicuro a finestre spalancate e sorriso scemo sulle labbra ("Neo Consumer", "Into the Night" e la già citata "Eightball"), ed elementi decorativi, a fine scaletta, che rilassano e placano dopo venti minuti di sballottamenti sonori: iniziato tra luci colorate e stelle filanti, il disco si chiude in dolcezza, con il proverbiale ballatone "Let The Wolves Howl At the Moon".
Album così brevi, così belli, così intensi, ma di fruizione tanto immediata (e soddisfacente), rendono la vita facile a chi poi si prende la briga di recensirli. In fondo, converrete anche voi che quando le nostre orecchie desiderano un bell’album di canzonette... (da capo).
14/09/2007