La cosa che più mi ha colpito e spiazzato ai primissimi ascolti di "Dell’Impero delle tenebre", disco d'esordio dei nostrani Il Teatro Degli Orrori, è stato l'uso "luciferino" della lingua italiana da parte del lead-singer Pier Paolo Capovilla, calato in un contesto noise e acido. Sonorità tutto sommato prevedibili, visto che assieme a Capovilla c'è anche Giulio Ragno Favero (basso e produttore tra i più ricercati nel panorama rock italiano), due membri degli One Dimensional Man, strepitoso e influente act noise-blues all'opera dalla metà dei 90. A completare la line-up di questo nuovo supergruppo, il chitarrista Gionata Mirai (Super Elastic Bubble Plastic) e il batterista Francesco Valente.
Ribadendo l'eccezionale muro di suono creato dalla neo-band in brani come "Carrarmatorock", "L'impero delle tenebre", "Vita mia", "Il turbamento della gelosia", soprattutto grazie all'impatto travolgente delle chitarre di Mirai e Favero, l'elemento più rimarchevole e sperimentale dell'album è proprio la rinuncia all'inglese (privilegiato dagli O.D.M.), lingua ideale per il tipo di sonorità adottate e il tentativo di sposare queste ultime a una espressività italiana quasi cantautorale. Essa tocca con cinica amarezza e totale disincanto temi come la perdità d'identità e il senso d'inutilità del vivere ("L'impero delle tenebre"), ma anche una strenua ricerca di speranza ("Vita Mia"), l'ipocrisia delle guerre ("Carrarmatorock"), il suicidio ("La canzone di Tom"), ma i toni si fanno anche elegiaci e teneri in "Lezione di musica" e "Compagna Teresa", con qualche ingenuità disseminata qua e là.
Capovilla quindi riesce a essere duttile, ma in generale il suo mood vocale è sulfureo e distaccato, ricordando a più riprese i cinici toni declamatori di un Carmelo Bene.
Individuerei l'apice creativo del disco nella finale epica "Maria Maddalena", tutta giocata su controversi temi religiosi, dove fondamentali appaiono i contributi del violino di Nicola Manzan e del violoncello di Angelo Maria Santisi per la drammatizzazione di otto minuti che, da soli, conferiscono una infinita dignità a un'opera decisamente "unica", nel bene e nel male, nell'attuale contesto indie italiano.
29/10/2007