Anche dalle parti di OndaRock si ascolta il nuovo album di Caparezza. E dirò di più: lo aspettavo con una certa curiosità. Che questa volta riesca finalmente a gestire la sua esuberanza e realizzare il capolavorazzo che sarebbe giusto pretendere da un outsider così talentuoso?
"Le dimensioni del mio caos" si presenta come concept (più o meno) sul Sessantotto e dunque parte con ben due punti di vantaggio sugli altri. Basta poco a farli svanire: l'aspetto concept si traduce in una serie di raccordi parlati tra una traccia e l'altra - del tutto pretestuosi visto che le canzoni non hanno alcuna attinenza reciproca. Di Sessantotto poi si parla pochetto e in questo pochetto tutto ciò che svetta è un'assonanza azzeccata ("Sessantotto/Sessintutto").
Caparezza sembra più che altro interessato a invettive di stampo grillino in cui lo sdegno offusca buona parte dell'autoironia e della verve satirica degli album precedenti. Lo schema regge fintanto che i bersagli sono circoscritti e il taglio resta surreale ("Non mettere le mani in tasca"), ma appena assume i toni del sermone diventa facile vittima dei "da che pulpito?". "Abiura di me" se la prende col disinteresse politico e sociale dei giovani, troppo impegnati con computer e videogame per occuparsi di vivere attivamente. La canzone è però anche un discreto sfoggio di cultura nerd e lascia qualche dubbio sulla credibilità del rapper come paladino dell'impegno civile.
Meglio, ma non troppo, l'aspetto musicale. CapaRezza mette al bando i sample e chiude col fastidioso stile Linkin Park/kitsch in favore di un crossover simil-Rage Against The Machine a tono con l'analogia hendrixiana che apre l'album ("La rivoluzione del Sessintutto"). Non perde però il vizio del ritornello ad effetto che-però-non-c'entra-niente col resto della canzone. "Vieni a ballare in Puglia" è un lodevole esperimento di commistione taranta-rap, rovinato da un refrain vuoto e molesto ("Vieni a ballare in Puglia, Puglia, Puglia/ Tremulo come una foglia, foglia, foglia"). Una sorte simile tocca a diversi altri pezzi altrimenti notevoli, a partire dal singolo "Eroe": nonostante il lavoro di rime e il pungente ritratto dell'onesto lavoratore, il pietismo del ritornello sfiora il nazionalpopolare.
L'album è insomma coraggioso, musicalmente e metricamente, ma a conti fatti mediocre. Spicca comunque un pugno di canzoni azzeccate: la già citata "Non mettere le mani in tasca", cupa e incalzante in termini di flow, "Pimpami la storia" - riff funky e botta-e-risposta a suon di rime interne - "Ilaria condizionata", con tanto di citazione "dotta" di Amon Düül e Tool.
E la nuova "Fuori dal tunnel" (sempre che ce ne sia bisogno)? "La grande opera" sembra perfetta: inizio in medias res sul ritornello - riuscito, va riconosciuto - testo cinico e attuale, giochi di parole a non finire, arrangiamento circense nella miglior tradizione caparezziana. Cellulari di tutto il mondo, unitevi: è arrivata la suoneria più impegnata dell'estate 2008.
21/05/2008