Nel 1977, la sonda spaziale Voyager 1 ha lasciato la Terra portando con sé un inusuale messaggio: una testimonianza su disco della cultura umana nella sua espressione più universale, quella musicale. Da allora, la chitarra ed il rauco lamento di Blind Willie Johnson, inserite nella registrazione in rappresentanza delle radici della musica americana, attendono di trovare chi possa dare loro ascolto, in un viaggio tra le stelle da cui anche Wim Wenders, nel suo "L'anima di un uomo", ha voluto prendere le mosse per raccontare l'essenza del blues.
Ma che cosa accadrebbe se davvero, un giorno, quel disco dovesse raggiungere una civiltà extraterrestre? Che cosa accadrebbe se quelle note dovessero divenire il terreno comune per stabilire un contatto con la razza umana? Ascoltando i Califone, la domanda appare improvvisamente meno folle di quanto potrebbe sembrare: perché la musica della band di Tim Rutili è il folk-blues suonato dagli alieni, è la risposta al vecchio Omero del Delta inviata da un'altra galassia.
La tentazione, dopo anni di carriera e almeno due opere chiave come "Quicksand/Cradlesnakes" e "Roots & Crowns", è quella di dare ormai per scontata la genialità decostruzionista dei Califone: una capacità con pochi eguali di smontare il mosaico della tradizione americana per ricomporlo secondo nuove prospettive, senza mai cedere al gioco della cerebralità.
Bisogna ammettere, però, che nel nuovo capitolo della loro avventura, "All My Friends Are Funeral Singers", la consueta sapienza dei Califone nel mescolare i tasselli del puzzle non corrisponde sempre a un'altrettanto brillante sensibilità nella ricostruzione complessiva del quadro: questione di sfumature, di fronte a un lavoro che continua comunque a sviscerare con passione e inventiva gli archetipi della famigerata forma-canzone, anche se con risultati appena meno a fuoco rispetto al diretto predecessore.
Distorsioni fluttuanti, reiterazioni magmatiche, improvvisi squarci di interferenze al servizio di un beat più plastico che mai: l'iniziale "Giving Away The Bride" sembra fatta apposta per spiazzare. Il resto del disco, però, prosegue lungo coordinate più familiari alla traiettoria dei Califone. Sulla scia di "Roots & Crowns", Rutili e soci, nonostante il cambio di etichetta discografica, rimangono fedeli all'intento di importare ingredienti popular nella loro centrifuga folk: ecco allora nuove aperture melodiche prendere forma tra le chitarre asciutte e i feedback di "Polish Girls", mentre "Krill" sembra voler indire un immaginario convegno tra Will Oldham e Jason Lytle.
Il passo diretto di "Funeral Singers" porta impresso il marchio inconfondibile dei classici della band americana: del resto, i mormorii pensosi di Rutili, le percussioni di Ben Massarella e la produzione di Brian Deck sono i tratti costanti di una personalità e di una coerenza immediatamente riconoscibili. Al cuore del disco c'è sempre la dimensione folk in tutte le sue molteplici sfaccettature, dagli arpeggi circolari di "1928" al blues dalla lama affilata di "Salt", passando attraverso il ballo agreste (post-bluegrass?) di una "Ape-like" intorno a cui turbinano banjo, organo e feedback. Ogni brano sembra sospeso in un pulviscolo di suoni e ritmi, scampoli di elettricità e ceppi acustici sporcati di intromissioni digitali: c'è sempre un filo sottile, però, a tenerlo ancorato alla terra, con una cura dei dettagli dalla sorprendente ricchezza.
"All My Friends Are Funeral Singers" nasce come un progetto cinematografico, destinato a fare da colonna sonora al primo, omonimo lungometraggio firmato da Rutili, che verrà proiettato durante i prossimi concerti della band. Una vocazione al rapporto tra musica e immagine che non è certo nuova per i Califone e che è testimoniata in questa occasione dai tre brevi strumentali inseriti nel disco e da una "Buñuel" che rende omaggio al regista spagnolo ("Every camera loves you better / When you quit trying to play"), alternando una danza di fiddle ad un tagliente spirito rock degno del passato dei Red Red Meat.
Immagini e visioni, del resto, sono la sostanza della musica dei Califone e i sogni sono da sempre i migliori amici di Rutili: "All my friends are weeds and rain / All my friends are half-gone birds, are magnets / All my friends are words", sussurra in "Funeral Singers". Alberi che crescono dalle tombe, gettando le radici nelle nostre stesse ossa; mangiatori d'oppio e macerie di guerre civili; caleidoscopi dai colori cupi, popolati di animali, esorcisti e spose. Apparizioni antiche e postmoderne, inestricabilmente intrecciate tra di loro. Probabilmente è così che appare la Terra vista dalle stelle.
13/10/2009
1. Giving Away The Bride
2. Polish Girls
3. 1928
4. Funeral Singers
5. Snake's Tooth = Protection Against Fever And Luck In Gambling
6. Buñuel
7. Ape-like
8. A Wish Made While Burning Onions Will Come True
9. Evidence
10. Alice Marble Gray
11. Salt
12. Krill
13. Seven, Fourteen, Or Twenty-One Knots
14. Better Angels