Ci avviciniamo a questo nuovo disco di Robyn Hitchcock con grande curiosità. Anzitutto perché vogliamo capire come può evolvere il discorso portato avanti dal prolifico musicista inglese con la superband Venus 3, la quale vanta nella propria line up Peter Buck dei Rem, più Scott McCaughey (ex-Young Fresh Fellows) e Bill Rieflin (ex-Ministry), tutti membri del collettivo indie-pop Minus 5.
Dopo l'esordio di "Olé Tarantula" (edito nel 2006) avvennero le registrazioni di questo "Propellor Time", ma Hitch e i Venus 3 decisero di tenere congelati i master e ricominciare tutto daccapo, lavorando su quello che sarebbe diventato "Goodnight Oslo", pubblicato nel 2009.
Soltanto oggi "Propellor Time" vede finalmente la luce.
Secondo motivo di curiosità, forse ancora più importante, è capire come si siano inseriti nel già amalgamato combo gli ingombranti ospiti chiamati a dare consistenza alle registrazioni.
Divoriamo le poche informazioni a nostra disposizione e scopriamo che Johnny Marr ha suonato le chitarre e addirittura composto "Ordinary Millionaire". Della partita fa parte anche l'attualmente iperattivo ex-Zeppelin (serve dirlo?) John Paul Jones, che dopo aver lanciato in orbita l'affaire Them Crooked Vultures, partecipa al progetto suonando il mandolino in due tracce.
Non è finita: altri contributi giungono da Nick Lowe, Chris Ballew, cantante e membro fondatore dei Presidents Of Usa e Morris Windsor, già batterista nei Soft Boys, proprio al fianco di Hitchcock.
"Propellor Time" non sfigura affatto nella tortuosa discografia di Robyn, si ascolta che è un piacere e non lascia emergere pecche particolari. Il problema è che questo suo scorrere lieve e notturno rende il disco pressoché inoffensivo, senza consentirgli di lasciare granché sul proprio cammino.
L'apporto di Peter Buck pare determinante nel far propendere il lavoro verso quelle sonorità acoustic folk che gli attuali Rem hanno oramai accantonato: basti ascoltare "The Afterlight", quasi una "Shiny Happy People" revisionata dai Traveling Wilburys, oppure la title track, che pare partorita dal Michael Stipe più lunare. Se cercate il Robyn Hitchcock più psichedelico, troverete piccole reminescenze soltanto in "John In The Air".
Inutile nascondere che un po' di noia affiora fra le pieghe di "Luckiness" e "Primitive"; molto meglio quando si tiene più alto il ritmo, come nel caso della piacevolmente lennoniana "Sickie Boy", che dà la giusta verve prima della chiusura affidata alla buona accoppiata "Born On The Wind" / "Evolove".
Non me ne vogliano i fan di Robyn Hitchcock, ma se parliamo di "americana" (e "Propellor Time " è tranquillamente ascrivibile in tale contesto), negli ultimi anni nessuno è riuscito a posizionarsi sui livelli di una band di Chicago capitanata da un certo Jeff Tweedy.
11/04/2010