"And the water laps at the harbour side/ Our royal dance is codified/ We are all traversed in suicides/ We are condoms washed on the harbour side/ So sit with me and we'll toast the bride of Europe..."
da "Europe"
No, Julia e Simon Indelicate non sono per niente delicati. Possono nascondersi dietro uno spirito cabarettistico, affettando accento balcanico nella marcia circense di "Be Afraid Of Your Parents", ma il loro sarcasmo rimane un pungolo che si incastra nel costato anche quando l'attenzione vorrebbe lasciarsi andare.
Gli Indelicates rappresentano una realtà purtroppo ancora un po' in ombra nel panorama internazionale: eppure il loro esordio, "American Demo" (così chiamato perché tali sarebbero quasi tutti gli esordi delle band britanniche oggi), rappresenta un raro esempio di un azzeccato intreccio tra immediatezza, abilità compositiva, fervore intellettuale e
verve cantautorale.
Certo, si trattava di un lavoro piuttosto lontano dal gusto imperante nel mondo indipendente attuale, ammiccando più che altro al pop-rock inglese alternativo degli anni 90 (dagli Hefner di
Darren Hayman a
Billy Bragg, con una punta dei primi
Manic Street Preachers, qui più evidente in "Your Money"), mantenendosi tutto sommato a distanza dai richiami
new new wave o folk-pop che sarebbero le soluzioni più facili per un gruppo alle prime armi in Inghilterra.
Ma, con le strade più sicure, Simon e Julia hanno scarsa dimestichezza. Per questo "Songs For Swinging Lovers" i due hanno lasciato l'etichetta che aveva pubblicato "American Demo" per fondarne una, la Corporate Records, e votarsi a un nuovo, moderno modello di marketing: il
download a offerta libera. La versione fisica di questo nuovo lavoro non sarà disponibile, infatti, che a giugno: il gruppo del Sussex ha deciso di anticipare la data che i propri fan aspettano con ansia rendendo disponibile il disco fin da ora.
"Songs For Swinging Lovers" mantiene evidenti punti di contatto col lavoro precedente, sia dal punto di vista stilistico che nei temi, fortemente polemici ma sempre intrisi del loro caratteristico
humour, caustico e amaro.
Prendiamo ad esempio il salto geografico che introduce il disco, dall'"America" (pezzo di "American Demo") all'"Europa" ("Europe" introduce invece "Songs For Swinging Lovers"): dal militaresco inno di estrema alienazione (se l'Inghilterra è "squallida e meschina", parteggiare per lo spettro di un'America "senza Dio" pare la perfetta chiusura dell'incubo) alla teatrale invettiva contro un Vecchio Continente svuotato, "ubriaco di stile e classe ereditati". Prese testualmente dal libro pubblicato dal gruppo inglese (e già esaurito) in occasione dell'uscita di questo secondo disco, le parole con cui Simon spiega la scelta di aprire con un brano così opprimente, dallo spirito che realmente evoca i fantasmi di un'Europa avviluppata da fumi marcescenti, risuonano della sua inconfondibile schiettezza: "Volevamo che
["Europe", ndr] suonasse il più sgradevole e disgustoso possibile.
[...] Se sembra affrettato disprezzare un continente in modo così radicale, beh, lo è in effetti.
[...] Ma c'è qualcosa da cui guardarsi.
[...] L'orribile mancanza di gusto della moda "alto"-europea con i suoi
tailleur rifiniti e le sue pietre levigate del tutto inutili. Il modo in cui ci aggrappiamo a un comodo pacifismo pur affidandoci a obblighi e trattati con l'America per gestire la nostra sicurezza".
E' inevitabile quindi, in questa visione del mondo certamente non diplomatica ma neanche macchiettistica, che il disco acquisisca, rispetto all'esordio, un'atmosfera forse un po' più malinconica, meditabonda; perde in aggressività (che, riguardo ad "American Demo", aveva attirato qualche riferimento al mondo
punk inglese), recuperando in termini di spessore negli episodi in cui Julia prende il timone nei "suoi" pezzi al pianoforte. Oltre alla già citata "Europe", la maestosa
murder ballad al pianoforte di "Roses" la mostra più ammaliante che mai (una
Kate Bush dei tempi d'oro), nella sinistra progressione che racconta di un sensuale assassinio notturno ("The stark composition of essence and parts/ I gathered your limbs for a final dance/ A silent waltz to your songs unsung/ As the lifeblood seeps from your punctured lung/ Do you bleed diamonds/ Do you bleed rubies/ Do you bleed roses ").
"Songs For Swinging Lovers" non è solo corrosiva presa di posizione, non è solo piacere intellettuale ma anche, al solito, pura soddisfazione pop. La tripletta di "We Love You, Tania", "Ill" e "Flesh" fa sobbalzare sulla poltrona non solo per la riuscita melodica, per la semplicità non banale degli arrangiamenti, ma soprattutto per la fusione ormai allo stadio finale tra due personalità musicali e non solo (i due si sono conosciuti a un concorso di poesia poi vinto da Simon). Pura ballata
à-la Billy Bragg la prima (dal testo e atmosfera riecheggianti "
Singer Songwriter" degli
Okkervil River), si procede poi con un'altra "agiografia polemica", la rappresentazione dell'uomo moderno come incubo
huxleyano, un misto di dipendenze varie e tendenze suicide narcotizzate dall'assuefazione, nella solarità elettroacustica di "Flesh" ("Because you'll never take enough of those pills/ You know you're too clever to be mentally ill/ You'll never fashion your damaged soul/ Because you're too clever to lose control").
Riferimento a "Brave New World" ripreso esplicitamente in "Savages", in cui il connubio tra Simon e Julia viene sostanzialmente sancito, non solo dal punto di vista musicale (che mostra qui chiare inflessioni
eighties, anzi propriamente synth-pop). In una sorta di dialogo tra i due, viene infatti qui promosso come rivendicazione "identitaria" ("And the world has no need/ Of the songs that we sang/ We are savages, you and I/ And we will hang, hang, hang").
Va annotata solo una lieve, a dir la verità quasi inspiegabile, flessione in "Sympathy For The Devil" (solo una citazione), motivetto country-pop gradevole, ma non di più. Più convincente la coinvolgente chiassosità popolare di "Jerusalem", con tanto di strombazzate a rimbeccare il duetto sbarazzino tra Simon e Julia, che piazzano una delle loro stilettate ("We all love The Smiths, and we dig The Clash/ But the smell of leather is intoxicating/ Brilliant minds, we are genii/ We excel at drama and formal debating") e non possono non risultare simpatici per questa consueta dose di (auto-)ironia che riesce, va detto, più naturale che in altri più incensati autori (Will Sheff, per dirne uno, tra questi).
Non poteva mancare, dopo i titoli che da soli valevano il prezzo del biglietto di "American Demo" (da "Last Significant Statement To Be Made In Rock'n Roll" a "If Jeff Buckley Had Lived"), una chiusura affidata al testamento in tre quarti di "Anthem For Doomed Youth", trattato di sconfitta e disillusione per una generazione "che non ha subito abbastanza torti per essere punk", "né affamata, né in lotta, né credibilmente povera". Una generazione "condannata" in partenza, che Simon e Julia raccontano con leggerezza, piccoli
riff acustici e volteggi pianistici che si alternano e sfociano nello ieratico valzer finale.
Una leggerezza, una sapienza compositiva che confermano una band che sarà in grado di fornire più di una soddisfazione negli anni a venire, se riuscirà ad avere un supporto più consistente della comunque preziosa (e prevedibile, dati i tipi umani) amicizia con Eddie Argos degli
Art Brut.
30/04/2010