Quando un artista folk sale sul palco con la sua chitarra,
può pensare di essere James Taylor o Bob Dylan.
Quando ci salgo io, penso ancora di essere i Clash
(Billy Bragg a Nme, 1984)
In Gran Bretagna, gli anni Ottanta sono stati percorsi da diverse correnti di pensiero, unite nello spirito di protesta contro le politiche liberiste dell’era Thatcher. Una folta schiera di oppositori al governo dei conservatori, che ha visto coinvolti anche numerosi artisti e che guardava con preoccupazione lo smantellamento dello stato sociale messo in atto dalla “Lady di ferro”. Billy Bragg, nell’ambito della musica pop, è stato forse il musicista più autorevole nella battaglia ideologica contro il thatcherismo, intorno alla quale ha elaborato la propria visione e azione politica di matrice socialista. Oltre a opporsi con una significativa mole di canzoni e parole, il Bardo di Barking (la cittadina dove è nato e ha vissuto da ragazzo) ha contribuito anche in modi diversi a supportare le proprie cause politiche. Per la lucida analisi, ma anche per la tenerezza, mischiata all’ironia dei suoi testi, i suoi brani sono stati accostati ai film di Ken Loach o di Mike Leigh e, sempre nell’immaginario collettivo, più volte, la sua chitarra “ammazzafascisti”, suonata come fosse un “unico membro dei Clash”, ha evocato il fantasma di Woody Guthrie.
Subito accompagnato da un quasi mistico alone “marxista”, Big Ol’ Nose (come da anni, a causa del grosso naso, viene simpaticamente soprannominato) fu “gettato” dalla critica dentro al cosiddetto movimento anti-folk e negli anni a seguire i viaggi e i concerti nei paesi dell’Est - compresa l’Unione Sovietica - prima del crollo del Muro e dell’America Latina, gli conferirono lo status, non provo di strascichi polemici, di musicista da “propaganda”. Ancora oggi, i suoi album hanno un prezzo consigliato, spesso i suoi concerti pieni di energia si trasformano in piccoli comizi e, come un tempo, i detrattori non mancano. Diversi commentatori e alcuni esponenti dell’estrema destra inglese lo hanno più volte accusato di incoerenza fra il proprio stile di vita (risiede in una specie di appartato podere nel tranquillo Dorset) e i suoi ideali. E sono gli stessi che non hanno gradito l’iniziativa del comune di Barking di dedicargli una via cittadina o che guardano storto quando lo vedono partecipare ai dibattiti tv sull’immigrazione e sulla società multiculturale.
Tutto questo esplosivo mix può essere fatale per il riconoscimento del valore di un artista. In effetti, con Bragg questo rischio c’è e c’è stato. Un errore frutto della stessa miopia di chi vuole lasciarlo prigioniero del contesto che gli ha dato prestigio e notorietà. Vale a dire: gli anni Ottanta (“ma si può uscire vivi dagli anni ’80?”). Bragg, in realtà, non solo è stato capace di scrivere belle canzoni politiche (o belle canzoni e basta), oltre quella decade (ne è un esempio il suo capolavoro Don’t Try This At Home, il superbo sottovalutato Ep The Internationale o il lavoro con i Wilco), ma è da sempre un songwriter di razza, capace di raccontare e di raccontarsi anche con una notevole vena intimista, uno stile pennellato e melodico, quasi raffinato a dispetto della rozzezza che a volte gli è stata ingiustamente attribuita. Piuttosto, stupisce la tipicità del suo repertorio, denso di sfumature, di fronte a un canzoniere così ricco e variegato, che va ben oltre la sfera della tradizione folk di protesta.
Bragg è un musicista completo e, a volte, anche raffinato autore di musica pop. E se il “ruvido impegno politico” di questo soulboy arrabbiato della working class è il suo sudato marchio di fabbrica, altri contrappunti ci deliziano: storie d’amore e ritratti intimistici di rara bellezza che hanno il merito di aver reso la sua discografia un prezioso diario in divenire, fra pubblico e privato.
Proprio la sua opera omnia, nel 2006 ha subito un vero e proprio restyling (brutta ma efficace parola, sulla quale il Nostro farebbe qualche britannica battuta...). Sono stati pubblicati due monumentali e ottimi box set, Volume I e Volume II, il cui contenuto - 15 cd e 1 dvd - è acquistabile anche separatamente (esclusi i due dvd bonus From The West Down To The East - che contiene il live al South Bank Show del marzo dell’85 e il prezioso concerto a Berlino Est dell’agosto dell'86 e If You’ve Got A Guest List, dove spicca il pregevole live del ’91 "At The Town & Country Club", messi a disposizione soltanto con il cofanetto). Si tratta delle ristampe rimasterizzate di quasi tutti gli album (fanno eccezione i due Mermaid Avenue, le outtake di Bloke On Bloke, Reaching The Converted e il terzo cd extra della raccolta Must I Paint A Picture), con tanto di bonus cd zeppi di inediti, demo, b-side, alternate take, live che cercano di mettere ordine nel complicato universo bragghiano fra cambi di etichetta, raccolte di dischi ed Ep.
Nel lavoro di riedizione a parte i dischi sopra-citati non manca proprio nulla, anche se c’è qualche piccola ovvia lacuna (ad esempio la famosa cover dei Beatles “She’s Leaving Home”). Tutte le nuove edizioni sono consigliate, non solo per la cura con cui sono stati ristampate e per la difficile reperibilità di alcuni dei suoi lavori, ma anche per i dischetti bonus che, pur non stravolgendo gli ascolti, arricchiscono il materiale. Questo discorso di rivisitazione dell’autore fa il paio con la pubblicazione del suo esordio come scrittore: "The Progressive Patriot", una sorta di confessione politica e morale o, come suggerisce il sottotitolo, una ricerca per l’Appartenenza. Un libro dove Bragg amplia i concetti già espressi nel suo album England, Half English, ovvero l’Inghilterra multiculturale e come i socialisti non debbano lasciare la questione del patriottismo alla destra. Tale abbondanza di materiali, oltre a ridestare l'attenzione del pubblico sulla sua figura, offre lo spunto per una riflessione sulla sua vita e sulla sua musica.
Dopo aver lasciato la scuola senza troppo clamore, Stephen William Bragg, nato nel dicembre del 1957 in una famiglia della working class di Barking, nell’Essex, si esercita alla chitarra con Wiggy, il vicino di casa, che lo accompagnerà per quasi tutto il percorso della sua carriera. Al contrario di quello che si è soliti pensare, non è stato il punk, né il folk a formare l’orecchio di Bragg. I suoi ascolti adolescenziali sono vari, ma è lui stesso ad ammettere con una dose di humour una forte influenza, anche extra-musicale, della soul-music: “Non solo Smokey e i Tops (Four, ndr ), hanno fatto di me un vero amatore, ma mi hanno anche politicizzato. Essere un soulboy non significava ascoltare musica d’evasione senza per questo avere la capacità di coglierne la voce di eguaglianza e libertà”.
Il termine soulboy qui è usato da Bragg con precisione: ai tempi della sua educazione sentimentale e musicale, alla fine degli anni Sessanta fino alla fine del decennio successivo, una persona di quel tipo faceva parte di un gruppo nella cultura giovanile del Regno Unito. Era un individuo cresciuto con la musica mainstream dei grandi cantanti pop-soul, la gente della Tamla/Motown e della Stax, Curtis Mayfield, gli Impressions e gli Isley Brothers, tutti personaggi che avevano già avuto una pesante influenza sul stereotipo dei mod, i padri putativi di questa nuova generazione. Quando afferma che “Antonio Gramsci è lo Smokey Robinson del marxismo”, Bragg ci svela un mondo. Un universo parallelo che sta nel cuore e nell’animo di una gioventù britannica approdata ormai nelle secche del rock, giovani che sognano un’utopia da realizzare all’interno della pop-culture, un’area che assorbe correnti politico-culturali diverse e da accostamenti disparati, ma molto affini. In questo senso il movimento dei diritti civili, Martin Luther King e la scelta socialista diventano nell’adolescenza inquieta di Billy Bragg, l’unica lente possibile attraverso cui leggere la storia del proprio paese, ex-impero, originaria culla del capitalismo mondiale e ormai avviato verso una società multietnica.
Ma il Nostro non è solo “pane e Motown”, e sul lato B della cassetta dei primi ascolti ci piazza i songwriter: cita Simon and Garfunkel fra le sue contaminazioni e propone un approccio folk. All’età di 12-13 anni, infatti, scoraggiato dall’impossibilità di replicare con la chitarra le raffinate atmosfere delle ballate soul (solo in seguito e in certe composizioni della maturità riuscirà nell’intento di fondere i richiami della black music nel suo repertorio), si mette a scrivere pezzi in chiave folk. Col passare del tempo fanno capolino le band classiche del rock inglese, ascolti più smaliziati e accattivanti: Small Faces, Rolling Stones, Faces. Poi, d’un tratto, arriva il punk. Ed è una botta per tutti.
Migliaia di ragazzi formano una band, alcuni riprendono a suonare. L’Inghilterra è in fermento, il baricentro di un grande palco-enclave dove la creatività sembra essere tornata in mano al popolo. Londra brucia, i Clash diventano, più dei Sex Pistols, il riferimento “classico” di formazione, il manuale al quale abbeverarsi.
Nel 1977 Bragg e Wiggy formano il loro gruppo punk/pub rock, i Riff Raff, e fanno il giro dei club e dei locali londinesi. Provano in una fattoria a Northamptonshire e relizzano una serie di singoli, fra i quali spicca il curioso "I Wanna Be Cosmonauts". Le cose, però, non vanno bene e il gruppo si scioglie in men che non si dica. Frustrato dall’esperienza fallimentare dei Riff Raff, Bragg nel maggio del 1981 si unisce all’Esercito Britannico. Quattro mesi dopo, si rende conto che quella della carriera militare non è la strada che fa per lui. A casa, con 175 sterline in mano, lo aspetta la madre e, soprattutto, la sua musica. Mentre lavora come commesso in un negozio di dischi, comincia a scrivere brani di suo pugno, accompagnandosi con la chitarra elettrica, iniziando a costruire quella che diventerà la sua più tipica e originale cifra espressiva. Compone seguendo la tradizione delle protest song , ispirato dai padri del genere, Woody Guthrie e Phil Ochs, ma anche e, soprattutto, dalla corrosiva ascendenza del Clash-sound. Questa coesione di stili è originale, funziona e convince l’autore ad andare avanti nonostante le difficoltà dell’essere un signor nessuno.
Sono i momenti duri della gavetta, che lo vedono spendersi in solitaria nei più disparati contesti: dai piccoli concerti nei club alle strimpellate nei parchi e nelle strade con tanto di cappello per raccogliere qualche spicciolo. In quello stesso periodo riesce a produrre un demo-tape con le sue prime incisioni soliste, ma senza aver alcun particolare riscontro. Pur di farsi notare, si traveste da tecnico riparatore di tv e fa breccia nell’ufficio di Peter Jenner, A&R della Charisma Records, che apprezza la trovata e garantisce di ascoltare il materiale. E' un incontro fondamentale per l’ex leader dei Riff Raff. Nel giro indie , Pete Jenner gode di gran prestigio: ha seguito come manager i Pink Floyd e le brevi apparizioni di Syd Barrett, Marc Bolan, Roy Harper (di cui è stato anche produttore) e niente meno che il gruppo di Joe Strummer e Mick Jones. A tutt’oggi, Jenner, che ha firmato un commosso commento al box Volume II (quello del Volume I porta la firma dell’ inseparabile amico Wiggy), è considerato l’uomo più importante dietro al fenomeno Bragg. Sicuramente è stato quello che più di tutti ha creduto in lui e l’ha aiutato a ritagliarsi uno spazio nello show-business.
In quegli anni, Billy è un perfetto sconosciuto, ma Pete intuisce subito che il ragazzo, con quelle sue canzoni così arrabbiate e dirette, può arrivare lontano. La Charisma, sull’orlo della bancarotta, non permette al manager di ottenere il budget per un contratto, però gli concede la possibilità di fargli registrare un disco, che lo stesso artista penserà a promuovere con una serie di concerti.
Nel luglio del 1983 esce il fragoroso Ep Life’s A Riot With Spy Vs Spy, per la sotto-etichetta Utility: un piccolo capolavoro minimale che contiene in sé già molti semi del linguaggio musicale di Bragg: solo voce e chitarra elettrica, riverberi accentuati, ritmica ruvida, scarna, ma precisa, marcato accento dell’Essex (che è un po’ un misto fra il Cockney dell’East London e quello delle regioni dell’East Anglia). Sette canzoni per un semi-debuttante che alla fine del 23° minuto è già un songwriter -promessa. A cominciare dall’apertura fulminante: “Milkman of Human Kindess”, il cui riff, roboante e ultra-amplificato, viene utilizzato come biglietto da visita. Il cantato stridente e imperfetto beneficia della combinazione con accordi potenti, ma spogli, ricchi di un immediato appeal . A volte, le migliori combinazioni pop funzionano in questi modi bizzarri. La seconda traccia è un altro must del canzoniere: quella “To Have And To Have Not” che entra in aperta critica con il sistema thatcheriano , dove il vestito con cui un disoccupato si presenta nel mondo del lavoro è ancora l’uniforme dell’appartenenza di classe: “Solo perché sei migliore di me/ non vuol dire che io sia pigro/ Solo perché mi vesto così/ non vuol dire che io sia un comunista”.
Ma è con un altro numero, “A New England”, che Billy Bragg va dritto al cuore del Paese. Il brano si trasforma immediatamente nel suo manifesto. "Non voglio cambiare il mondo/ non sto cercando una nuova Inghilterra/ sto solo cercando un'altra ragazza". E’ una canzone sui sentimenti, ma in qualche modo assume i connotati di un connubio fra amore e politica: le due facce classiche dell’impianto narrativo bragghiano, il gusto per l’ironia e il dolore delle vite private mischiate alle tematiche delle canzoni di protesta e alle voci della piazza. Un connubio di non semplice gestione che Billy riuscirà a integrare brillantemente per tutto il resto della carriera, smorzando gli inevitabili effetti retorici. “A New England” non fa solo la fortuna del suo ideatore: viene infatti ripresa dalla cantante Kirsty MacColl e svetta al numero uno delle top chart nel 1985 (da ricordare che, da quando la vocalist è morta prematuramente, Bragg canta sempre la versione estesa del brano con l’extra verse che scrisse a quei tempi apposta per lei).
L’album, seppur breve, viene accolto come una ventata di freschezza nel panorama dei giovani autori. Ma non basta, Bragg sa che deve battere il chiodo finché è caldo e si presenta ancora a sorpresa davanti a un’altra autorità della musica pop. Si tratta del dj della Bbc, John Peel, talent scout lungimirante, che durante una trasmissione fa una strana richiesta gastronomica. Bragg ascolta e provvede presentandosi con ferrea determinazione negli studi di registrazione con il cibo e la sua cassetta in mano. Manco a dirlo, Peel s’innamora del Billy-style. Nel giro di qualche mese, cambia lo scenario: la Charisma finisce in pasto alla Virgin, Jenner viene licenziato e diventa il manager ufficiale di Bragg. Andy Macdonald, ex ufficio stampa della Stiff Records, ristampa per la sua etichetta Go! Disc l’Ep.
Il secondo lavoro, Brewing Up With Billy Bragg (1984), il suo primo vero Lp, svela un musicista nel pieno della maturazione. Anche se il modo di scrivere si muove su registri non troppo dissimili a quello del primo Ep, si possono notare elementi di maggiore presa. Soprattutto la messa a punto in fase di produzione è a un livello più professionale: qualche sovra-incisione, spizzichi di organo e fiati qua e là garantiscono all’ascoltatore una rinnovata attenzione alle composizioni. I titoli che entrano nel cuore sono “It Says Here” (contro la disinformazione della stampa di regime), ma c’è anche spazio per i sentimenti: “Love Gets Dangerous”, “A Lover Signs”, l’amore non corrisposto di “The Saturday Boy” e la superba ballata intimista “St. Swithin’s Day”. Il polemista si fa ancora sentire con pezzi ispirati alla tragedia della guerra delle Falklands (“Island Of No Returns”, “Like Soldiers Do”).
Alla fine del disco, si arriva però un po' stanchi: Bragg rischia di annoiare a causa di un impianto stilistico troppo monocorde. Un limite che lo stesso musicista rivedrà a cominciare dal disco successivo.
Il 1984 è l’inizio dell’impegno politico come artista: dall’incondizionato appoggio pubblico allo sciopero dei minatori arriva l’accorato Ep pubblicato l’anno successivo, Between The Wars, contenente alcune perle, come la stupenda ballata della title track che lo lancia nella Top 20 e con cui si presenta per la prima volta a Top of The Pops (Ho pagato i sindacati/ quando i tempi si sono fatti più duri/ Ho sperato che il governo aiutasse i lavoratori/ Ma loro hanno portato la prosperità nell'armeria/ Ci stiamo armando per la pace, ragazzi/ In mezzo alle guerre), la cover di “Which Side Are You On?” di Florence Reece e “The World Turned Upside Down” di Leon Rosselson.
Il “battesimo” politico di Billy Bragg continua l’anno successivo quando prende forma il Red Wedge, un’iniziativa coadiuvata con Paul Weller degli Style Council e Jerry Dammers degli Specials e condivisa con alcuni artisti britannici (fra cui spiccano, tra gli altri, gli Smiths, Jimmy Sommerville, i The The del sulfureo Matt Johnson, Junior Giscombe e i Madness), che durante il biennio ‘86/87 supporta il Labour Party e il suo leader, Neil Kinnock, in vista delle elezioni nazionali del 1987, con un’intensa “campagna live” dai palchi di mezzo Regno Unito. Ma la Lady di ferro regge anche l’urto della propaganda del collettivo di musicisti e porta a casa l’ennesimo successo elettorale.
Nonostante la sconfitta, il bardo di Barking non si dà per vinto e continua le sue battaglie compresa quella nel Charter 88, un movimento di pressione che punta a una riforma del sistema politico britannico. Nel frattempo, mantiene livellati i prezzi dei dischi e dei concerti e rifiuta di commercializzare i suoi lavori nell’Africa dell’apartheid.
A livello musicale, però, il momento della svolta arriva con Talking With The Taxman About Poetry (1986), il “difficile terzo album” come s’ironizza sulla cover dell’Lp. Il canto si fa più sicuro, i testi e le canzoni scorrono che è un piacere e a sostenere le composizioni, più incisive e mature. C’è il suono “pieno” di una band in cui si mette in evidenza uno dei più importanti eroi del pop inglese: Johnny Marr, direttamente dagli Smiths. Dalla frizzante ballata “Greetings To The New Brunette” (come fai a stare sdraiata e pensare all’Inghilterra/ quando non sai nemmeno chi c’è nella squadra/ Shirley, la tua politica sessuale/ mi ha messo nei pasticci), al blues viscerale di “Train Train”, ai fiati maestosi di “The Marriage”, al Dylan che incontra i Clash in “Ideology” (le richieste della gente/ cadono inascoltate/ i nostri politici sono tutti carrieristi), fino al capolavoro: "Levi’s Stubb Tears", ispirata all’epopea soul del leggendario leader dei Four Tops.
Tutto l’album, il cui titolo proviene da un poema del poeta russo Vladimir Majakovsky, risplende di una luce lirica che recupera il senso del passato, come nell'azzeccato vaudeville di “Honey, I’m A Big Boy Now”. Non manca il richiamo agli ideali di “There Is Power in The Union” e “Help Save The Youth Of America” (Una nazione con i congelatori pieni/ Sta danzando sulle proprie poltrone/ Mentre fuori un'altra nazione/ Sta morendo di fame per strada), che recupera più o meno velatamente “Rudie Can’t Fail” cantata da Joe Strummer. L’album entra nella Top Ten.
L’anno seguente esce sul mercato Back To Basics, una raccolta che comprende i primi due album e l’Ep Between The Wars. Sempre nello stesso periodo Bragg trova un’insolita collaborazione con i Gang dei fratelli Severini, assieme ai quali canta per il loro secondo album la cover dei Clash “Junco Partners”.
Nel maggio del 1988 raggiunge il suo primo e - finora - unico numero 1 in classifica: è il magnifico remake di “She’s Leaving Home” dei Beatles, con Cara Tivey al piano, inserita in un album tributo di vari artisti e nel singolo estratto ripubblicato poi solo nella raccolta Reaching To The Converted (1999).
Pochi mesi dopo, arriva Workers Playtime, l’Lp, prodotto dal mitico Joy Boyd (Fairport Convention, Nick Drake) che scopre il lato “privato” dell’artista, agguerrito nei sentimenti come in piazza. E’ un disco d’orientamento soul, bello e pieno di pianoforti e organi, che disorienta i fan, ma nel disagio che esprime raggiunge discrete vette d’ispirazione, sottolineando l’acuta sensibilità del musicista. Il “Tempo libero dei lavoratori” segna uno momento particolare nella produzione di Bragg, che si concede lo spazio per una riflessione di carattere quasi filosofico. Una spiegazione ce la suggerisce la citazione di Gramsci in calce alla vecchia edizione dell’Lp. "Quante volte mi sono domandato se legarsi a una massa era possibile quando non si era mai voluto bene a nessuno, neppure ai propri parenti, se era possibile amare una collettività se non si era mai amato profondamente delle singole creature umane. Non avrebbe ciò isterilito e ridotto a un puro fatto intellettuale, a un puro calcolo matematico la mia qualità di rivoluzionario?”. Pensieri che gli provocano una sottile identificazione con il filosofo e militante di origine sarda. Come per Antonio Gramsci, l'innamoramento diviene per Billy Bragg momento di riflessione sul politico. Quindi amore e politica, pubblico e privato non vissuti come dicotomia, ma come parte del Tutto. Su questa scia obliqua, più interiorizzata che espressa, si muovono brani come la ballata “She’s Got A New Spell”, la souleggiante “Must I Paint You A Picture”, apice del suo songwriting e amatissima dall’autore (non a caso scelta come titolo della raccolta più significativa di Bragg, pubblicata 15 anni dopo), l'a cappella “Tender Comrade”, una delle canzoni più commoventi del suo repertorio, “The Short Answer”, che contiene un memorabile attacco lirico (Nel dizionario/ fra Marx e il marzapane/ c’era Mary/ fra il Profondo Mare Blu e il diavolo c’ero io). Da segnalare anche “The Price I Pay”, “Valentine Day Is Over”, ma anche “The Only One”, impreziosita da un delicato arpeggio. Cala il sipario con “Waiting For The Great Leap Forwards”, che ci sbatte in faccia tutte le contraddizioni dell’impegno politico ("The Revolution/ is just a t-shirt away").
Il disco verrà successivamente abbinato a Taxman (con l’esclusione di “Train Train”), nella raccolta Victim of Geography (1993).
Bragg entra nel nuovo decennio un po’ a sorpresa con il disco più militante della sua discografia: The Internationale, dove riprende diverse composizioni del canzoniere popolare di diversi paesi, a cominciare dall’inno dell’Internazionale Socialista di cui adatta il testo. In parte sottovalutato a causa dell’alone ideologico che lo percorre, l’Ep si presenta come un’autentica gemma, che alterna musiche molto arrangiate con tanto di brass band a pezzi solo vocali. Le lodi si sprecano: dall’omaggio a cappella a Phil Ochs (“I Dreamed I Saw Phil Ochs Last Night”), all’America Latina di “Nicaragua Nicarguita” di Carlos Mejia Godoy, a “The Marching Song Of The Covert Battalions”. Ma i veri due capolavori che conferiscono un’aura di classicità al lavoro sono la ballata pianistica “Blake’s Jerusalem” e l’affresco antimilitarista da brividi “My Youngest Son Came Home Today”, scritto dall’autore scozzese Eric Bogle.
A valorizzare ulteriormente l’Ep provvederà la successiva ristampa del 2006 (forse, fra tutte, la migliore), che comprende l’Ep agit-prop in vista delle presidenziali Usa del 1988 Help Save The Youth Of America: Live & Dubious, un manciata d’inediti (fra cui spiccano “Joe Hill” di Ochs che potrebbe benissimo figurare sulle "Seeger Sessions" di Springsteen, l’immortale “This Land Is Your Land” di Woody Guthrie) e un bonus dvd con esibizioni del periodo ‘86/’88 estratte dai concerti a Berlino Est, Nicaragua e Lituania. Fra i brani non pubblicati, unico neo, la stonata cover di "A Change Is Gonna Come" di Sam Cooke: la canzone della cultura black che più ha inciso nella storia del movimento dei diritti civili frana dolorosamente nel paragone con l’originale.
Ormai considerato un autore completo, Bragg firma il suo capolavoro. E' il doppio vinile Don’t Try This At Home (1991), che lo proietta nell'olimpo dei songwriter . A fargli compagnia assieme alla sua nuova backing band, i Red Stars, ci sono alcuni amici-ospiti: mezzi Rem (Peter Buck e Michael Stipe, che duetta nella countreggiante “You Woke Up My Neighborhood”) e sempre Johnny Marr. L’ensemble “gira” bene e i brani sembrano tutti azzeccati. Dal pop-rock arrabbiato di “Accident Waiting To Happen” alla bucolica “Everywhere”, ballata antibellica scritta da Sid Griffin e Greg Trooper, al pop etereo di “Cindy Of Thousands Lives”. “North Sea Bubbole”, “Body Of Water” e l’hit single “Sexuality”, scritta con Marr, sprizzano energia da tutti i pori. Ma è la parte più “lenta” di Don’t Try... che conquista il cuore. Canzoni come “God's Footballer”, “Trust”, “Rumors Of War”, “Dolphins” di Fred Neil, ma soprattutto, “Tank Park Salute” (uno struggente addio al padre scomparso) e “Moving The Goalposts” (un’impossibile colonna sonora scritta da Burt Bacharach per un film mai scritto di Mike Leigh), sono il respiro profondo di un album a cui ci si affeziona ascolto dopo ascolto. Questi ultimi due brani, toccanti e quasi onirici, segnano uno degli apici della scrittura di Bragg.
Fra le perle del bonus disc della versione 2006, segnaliamo la superba ballata “The Gulf Between Us” e le B-side “Party Of God” con i 10,000 Maniacs di Natalie Merchant, “Just One Victory” di Todd Rundgren e "Bread & Circus" sempre in coppia con la Merchant.
La major Elektra, con cui Bragg firma un milionario contratto spinto dai boss della Go! Disc, studia una campagna promozionale, con tanto di video per Mtv, per l’ultimo lavoro dell’artista, con lo scopo di farne una star, ma gli sforzi non sortiscono gli effetti sperati. Sempre nel 1991, viene dato alle stampe l’album live in studio con John Peel: The Peel Sessions, di cui si era già avuta un’anticipazione qualche anno prima.
Passano cinque anni, Bragg ha messo su famiglia e con il suo nuovo lavoro, William Bloke, mette a nudo il suo nuovo io. Che, in sostanza, si può sintetizzare in: meno idealismo, più senso pratico. Sorprende il pubblico con l’ironia quando canta in una versione modificata del suo cavallo da battaglia “A New England”: Sto solo cercando un’altra ragazza/ per far da babysitter al bambino. Intanto è andato a vivere nel Dorset dove, nelle elezioni del 2001 (www.votedorset.net), organizzerà vere e proprie battaglie sistematiche per cambiare il voto nelle diverse zone della regione. Il disco è considerato un anello debole della sua discografia, ma in realtà è un lavoro ben fatto e piacevole. “From Red To Blue” è una discreta ballata, mentre “Upfield”, in cui il Nostro ci racconta di aver trovato il “socialismo del cuore”, è addirittura travolgente, gioioso. “Everybody Loves You Babe” è divertente e raffinata. Tra le tracce più riuscite di Don’t Try, si segnala “Brickbat”. Non sfigurano neanche “The Space Race Is Over” e “The Fourteenth Frebuary”, mentre “Goalhanger” è un inaspettato e un po’ leggerino “quasi-ska”. “Sugardaddy” impone un relax che non t’aspetteresti in un suo disco. Il resto? Ordinaria (deboluccia) amministrazione.
Piace di più ai fan la successiva raccolta di outtake dello stesso periodo ribattezzata, citando il Dylan di "Blonde On Blonde", Bloke On Bloke, che celebra anche la vittoria sui Tories e l’ascesa di Tony Blair. Una spanna sopra, “The Boy Done Good” e il j'accuse in salsa irish-folk di “Thatcherites”.
Fra il 1998 e il 2000 esce in due parti Mermaid Avenue, un progetto d’interpretazioni di alcune liriche originali messe a disposizione per musicarle dalla figlia di Woody Gutrhire, Nora, che Billy, assieme ai Wilco di Jeff Tweedy esegue con spunti originali. I due album, che sono sostanzialmente alla pari per qualità, ottengono un discreto successo commerciale. Anche se alcuni sostengono che la presenza di Billy risulta meno incisiva di quella dei Wilco, per il songwriter inglese è una riaffermazione.
In realtà, il risultato è equamente diviso a metà. Ognuno fa la sua parte in un lavoro atipico, capace di parlare alle nuove generazioni e agli appassionati, nonostante un’ispirazione e un gusto musicale lontani da quella del popolare folksinger. Fa anche una bella comparsa l'amica Natalie Merchant.
Reduce dal successo di Mermaid Avenue , che ha ottenuto nomination ai Grammy Awards, Bragg torna in pista con i Blokes, il suo nuovo gruppo di supporto, nelle cui fila troviamo anche Ian Mc Lagan, mitico tastierista degli Small Faces, band di culto osannata dal cantautore britannico.
Nel 2002 esce l’ultimo lavoro in ordine di tempo, questa volta accreditato anche a The Blokes. Si tratta di England, Half English, un album che tenta di raccontare il nuovo tessuto sociale di un’Inghilterra sempre più irriconoscibile, fra spinte alla globalizzazione e diritti negati. La musica risente molto del lavoro del gruppo, che appare però non sempre in linea con l’ispirazione del cantante. Alcune contaminazioni con certi generi (il pastiche della title track o il reggae di “Dreadbelly”), proprio non sembrano in sintonia con la forma mentis di Billy, che in “Take Down The Union Jack” rispolvera la chitarra per suonare “alla sua maniera”. Incompleta “Some Days I See The Point”, mentre è curiosa "NPWA", una traccia “tirata” che sembra uscita fuori dal repertorio dell’ultimo Paul Weller.
Giunto al traguardo dei cinquant'anni e con una sostanziosa discografia alle spalle, Bragg si rimette in gioco con Mr. Love & Justice (2008), un disco che però non aggiunge granché a quanto già detto in passato.
L'inizio è promettente, la ballata "I Keep Faith" con l'apporto minimo ma fondamentale dell'ospite Robert Wyatt, "I Almost Killed You", ritmata a battimani e fisarmonica, e "M For Me", con le sue dolcezze di fiati e piano, sono canzoni fatte di mestiere ma anche di passione e sentimenti veri.
Godibili senza essere eccezionali sono pure la cavalcata anti-folk "The Beaches Are Free", il soul corale di "Sings Their Souls Back Home", la blueseggiante "Farm Boy" e il triste canto rassegnato di "O'Freedom", ma il resto del disco si spegne in una insipidità piuttosto evidente e anche in episodi con temi scottanti quali il tabagismo ("The Johnny Carcinogenic Show") Bragg non riesce a imprimere la verve di un tempo.
Con gli ultimi dischi il discorso in canzoni di Bragg ha perso un po' di spessore e di credibilità musicale, ma dal punto di vista delle idee è più che mai attuale e parla ancora una lingua tagliente e ironica, capace di suscitare emozioni, pensieri e critiche su alcuni dis-valori della nostra epoca.
Il 2013 ci consegna un Bragg da meditazione, insolito, yankee. Uno “Sherpa of Heartbreak”, come lui stesso si è definito. Attento alle fratture emotive e alle difficoltà relazionali. Nell’ultimo biennio il Progressive Patriot ha concesso una licenza illimitata ai fidati Blokes, coi quali sembrava aver perso mordente. E’ tornato a fare la spola in solitaria tra un piccolo club e l’altro, coronando con l’estemporaneo progetto Pressure Drop il vecchio sogno del teatro-canzone: un po’ comizio, un po’commedia, installazione d’arte e concerto, con pochi ritocchi rispetto a quelle mitragliate di aneddoti e ironia che sono i suoi folgoranti spettacoli. Quindi è volato a Pasadena per registrare questo Tooth & Nail (2013), il suo disco da navigato alfiere dell’Americana.
La scelta di Joe Henry in guisa di produttore e coautore chiarisce le nuove coordinate meglio di tutte le note stampa di questo mondo, mentre le pennate di pedal steel griffate Greg Leisz o l’elegante impronta Delta di “Handyman Blues” valgono come sbaffi di evidenziatore sul taccuino per rimarcare l’assunto. Dietro l’ispida corteccia esibita nelle foto promozionali s’impone uno sguardo accigliato à-la Johnny Cash, e nasconde un sorriso. Sarà la sicurezza grandiosa con cui abbraccia un songwriting dal taglio smaccatamente classicista, con esiti felici quantomeno spiazzanti, oppure il piglio del cantastorie pauperista di “January Song”, tutta sostanza e disillusione.
All’improvviso l’irruenza della gioventù è davvero molto, molto lontana. Bragg non è più il portavoce di un disagio sociale. Le ombre di oggi sono un’esclusiva del suo spirito, ma non prevaricano. Con la saggezza della misura, questo nuovo Billy ricorda a tratti l’omonimo Principe oldhamiano, perfino ottimista se visto in controluce. La convinzione è che i giorni a venire saranno comunque migliori, e che eventuali rese dei conti rimarranno eccezioni prive di strascichi. Come le sonorità elettriche in questo disco, rare e mai esasperate, perfette per accompagnarsi con una voce invecchiata ma ancora magnificamente evocativa. Oltre il velo di malinconia, nessuna traccia di autocompiacimento e anzi un ultimo sibillino messaggio che profuma d’orgoglio: “Conservo ancora l’entusiasmo di chi si innamora di tutto”. Ora che la Lady di ferro è entrata ufficialmente nell’album dei ricordi, dovrebbe riuscirgli anche più semplice.
Dopo aver registrato nel 2016 Shine A Light: Field Recordings From The Great American Railroad nelle stazioni degli Stati Uniti e il mini-Lp del 2017 “Bridges Not Walls”, nel 2021 Billy Bragg torna a cantare Londra e il suo paese, un’Inghilterra alle prese con una realtà amara tra Brexit e pandemia.
In The Million Things That Never Happened (2021), un album fuori dai trend, l’artista, come di consuetudine, si mette a nudo mostrando la sua visione dell’attualità, ma anche suoi dubbi e le sue vulnerabilità. La pandemia è al centro della narrazione, con le sue mancanze descritte nella title track, le sensazioni di solitudine, le depressioni, come pure il ruolo della Rete durante il lockdown: utile come strumento di comunicazione e informazione ma anche “eroina per autodidatti” come è definita in “Ten Mysterious Photos That Can't Be Explained”.
A livello musicale, siamo sul classico: tante ballate midtempo con largo uso di moog, mellotron e chitarre dobro, che grazie alla mano delicata di Dave Izumi e Romeo Stodart alla produzione, unita alla voce sempre più educata di Bragg, conferiscono un clima caldo e avvolgente a tutta l’opera. E’ presente qualche rimando al country del recente passato ("Freedom Doesn't Come For Free"), alcune canzoni con il piano a sottolineare i passaggi più sofferti ("Lonesome Ocean", "I Will Be Your Shield"), archi per quelli più struggenti ("The Million Things That Never Happened"), ma figurano anche banjo, violino e coretti da pub ("Freedom Doesn't Come For Free") e rigeneranti momenti acustici per sospensioni bucoliche alla Nick Drake ("Reflections On The Mirth Of Creativity").
“I Will Be Your Shield”, la toccante “The Million Things That Never Happened”, sulle privazioni che abbiamo dovuto accettare durante la pandemia, e la saltellante “Ten Mysterious Photos That Can't Be Explained”, scritta insieme al figlio Jack Valero, possono avanzare di diritto la loro candidatura per diventare dei classici del già ricco repertorio di Billy Bragg.
Contributi di Lorenzo Montefreddo ("The Million Things That Never Happened")
Note
La traduzione della citazione di Gramsci è a cura Francesco Scalambrino, autore di” Un uomo sotto la mole”. Biografia di Antonio Gramsci, Editrice Il Punto, Torino, 1998.
Alcune trascrizioni delle frasi dei brani di Billy Bragg sono tratte dal lavoro di Salvatore Patti sull’autore pubblicato su musicboom.it
Life's A Riot With Spy Vs. Spy (1983 - più bonus cd nell’edizione 2006) | 6,5 | |
Brewing Up with Billy Bragg (1984, più bonus ed. cd 2006) | 7 | |
Between The Wars Ep (1985, bonus cd 2006 con Brewing Up with Billy Bragg) | 7 | |
Talking With The Taxman About Poetry (1986, più bonus cd ed. 2006) | 8 | |
Don't Try This At Home (1991, più bonus cd ed. 2006) | 8 | |
Workers Playtime (1988, più bonus cd ed. 2006) | 7 | |
Help Save the Youth of America (1988, bonus cd 2006 con The Internationale) | ||
The Internationale (Ep, 1990, più bonus Dvd 2006) | 8 | |
The Peel Sessions Album (live, 1991) | ||
Victim Of Geography (anthology, 1993) | ||
William Bloke (1996, più bonus cd ed. 2006) | 6 | |
Bloke on Bloke (1997) | 6 | |
Mermaid Avenue (with Wilco, 1998) | 7 | |
Reaching To The Converted (1999) | ||
Mermaid Avenue Vol. II (with Wilco, 2000) | 6,5 | |
Must I Paint You a Picture? The Essential Billy Bragg (anthology, 2003) | 7,5 | |
England, Half English (2002, più bonus cd ed. 2006) | 5,5 | |
Volume 1 (box set, 2006) | 8 | |
Volume 2 (box set, 2006) | 7 | |
Mr. Love & Justice (Cooking Vinyl, 2008) | ||
Tooth & Nail (Cooking Vinyl, 2013) | 6,5 | |
7 |
The Progressive Patriot | |
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