I Ka Mate Ka Ora (dalle prime parole
della danza rituale maori che gli All Blacks inscenano per sbriciolare
le ginocchia tremanti dei loro avversari rugbistici) sono un trio
pistoiese guidato dai fratelli Venuturini, già firmatari nel 2009 di
un album di debutto, “Thicks As The Summer Stars”,che poteva
vantare la collaborazione di rango di Kramer (in passato al lavoro,
tra gli altri, con Low e Galaxie 500, nomi non certo evocati a caso).
Contemplazione, lentezza, riverbero e dilatazione rarefatta dei
suoni, paiono essere i quattro punti cardinali di un bussola sonora
con il magnete perennemente rivolto verso le regioni più brumose e
piovigginanti dell’Inghilterra primi anni Novanta. Le brinate
iridescenti di Pale Saints, le nebulose di torpore di Slowdive e
Ride, così come anche i crescendo spumosi dei Mogwai di un disco (a
suo modo paradigmatico) come “Ten Rapid”, paiono essere i nomi
che più colorano i monologhi solitari di questo album (ispirato
dalle visioni metafisiche di William Blake), nella cui economia di
scrittura gioca un ruolo tutt’altro che trascurabile anche certo
plumbeo slowcore d’annata (i già citati Low e Galaxie 500, ma
anche i primissimi Red House Painters, a ben sentire). Disco
godibile e ben congegnato, per quanto un po’ calligrafico, che non
deluderà comunque i cultori del filone. Collabora anche il
concittadino illustre Samuel Katarro.
16/01/2011