Li avevamo lasciati con il mediocre “Onde”, disco che non lasciava sperare niente di buono per il prosieguo dell’attività musicale dei genovesi Edo Grandi e Maurizio Gusmerini (entrambi al timone della Niente Records). E, invece, “Cercando Niente” rialza di brutto le quotazioni dei due.
Con Edo alle macchine analogiche e digitali e alle percussioni e Maurizio alla voce, al synth e alla chitarra elettrica, c’è questa volta anche la batteria di Andrea Ferraris, ed è un’aggiunta che si fa sentire. Abbandonata, quindi, l’idea peregrina di tirare fuori dalle onde corte briciole di poesia, questa volta il sound è sbilanciato sul versante più oltranzista, rumoroso e sperimentale della no-wave e della ricerca noise. Tra l’astrazione del digitale e la fisicità rude e algida dell’analogico, “Cercando Niente” si spinge dentro territori alieni, tra espressionismo spinto e gestualità anarchica.
La deflagrazione e la successiva confluenza dei detriti sonori è tutta da seguire con occhio clinico, mentre le liriche di Maurizio scavano nel fango delle nevrosi, fino al tagliente nonsense della frantumazione in diretta di “Mastrapparolato”. Sullo sfondo, le percussioni circoscrivono spazi immaginari che la fuliggine radioattiva contamina senza scampo (il “Requiem” per i generi musicali, il magma meccanico di “Equilibrio Precario”), rimpallano sghembe in un clima surreale (“Metamorfosi”) o straripano veementi, come nel free-rock fuori di senno di “Autodifesa”, il cui testo nasconde punte di “inafferrabile” romanticismo (“Non ho soluzioni / a pretese del cazzo / mi suona nel cesso / nel cesso di un bar / io ci vado spesso / ma piscio soltanto / son dentro e rispondo / e schizzo per terra… “).
Tra post-punk e musica industriale, “Facce” ha un piglio quasi austero, ma è un’austerità che nasconde un nichilismo magari intimamente “giocoso”, eppure capace di inquietare. A tal proposito, le scosse pre-apocalisse di “Conflitto interiore” sono perfette per sonorizzare il momento in cui, districandosi tra le proprie ambiguità, si decide di farla finita con quelle alterità che strangolano la nostra tensione verso la libertà assoluta (“Io di te ne ho abbastanza / la pazienza non mi basta / ormai sto per soffocare / ma quand’è che te ne vai? / rompi il cazzo tutti i giorni / (…) / mi sta bene anche se muori”).
C’è spazio anche per un campionamento da “Haiku 1” (su “Crocevia”) degli Ovo (il martellamento a oltranza di “Sotto controllo”), ed è un nome che non sorprende, così come non meravigliano tutte quelle suggestioni che lasciano affiorare le ombre degli Starfuckers. C’è, infatti, anche dentro queste piéce ostili e minacciose un senso di asettica disperazione, un umore pesantemente sinistro che le trasfigurazioni subsoniche di “La bella stagione”, “Liberazione” e “Mastrapparolato” (in parte, memori delle terribili visioni dei Throbbing Gristle e dello Slava Ranko più “artico”) traghettano nel mare di una negatività malsana, tanto che anche le liriche finiscono per esprimersi mediante il diniego (“Non fumo più / non mangio più / non penso più…”) o per il tramite di una lingua fatta di strappi improvvisi e stolidi dissidi.
Alla fine, la vocalità robotica dell’estasi sci-fi di “Respirare” è quasi rivelatrice di un nuovo modo di essere, dove basta respirare perché tutt’intorno inizi a liquefarsi, come in un incubo che solo Cronenberg…
01/12/2010