Dopo “Assassine” (Bar La Muerte, 2001), “Vae Victis” (Bar La Muerte, 2002), “Cicatrici” (Bar La Muerte/Ebria, 2004) e “Miastenia” (Load, 2006), oltre a collaborazioni e split, “Crocevia” è per gli Ovo (Stefania Pedretti, voce e chitarra e Bruno Dorella, percussioni) l’album enciclopedico.
Seppur discretamente lambiccato, il disco annovera così diverse aggiunte al loro canone, dalla stilizzazione tribale di “Tiki 2020” al grunge ultraespressionista di “Ostkreuz”, dall’abbruttimento punk di “Rigaer Strasse” al flusso di coscienza alla Birthday Party di “Croce Del Gud”, fino alla pillola grindcore di “Haiku 1”.
“Via Crucis” è grossomodo ciò che recita il titolo, un canovaccio esteso con scorie doom cacofoniche, peraltro ormai un classico del duo dopo la title track di “Miastenia”, che in questo caso aggiunge un fioretto elettronico e un mantra Galas-iano di Stefania.
Ma il meglio del loro programma di sofisticazione sta forse nella title track (dapprima melodramma in forma di soliloquio vocale, e quindi danza ossessiva distorta strumentale, che infine si sfibra in decelerando) e ancor di più in “Tiki 2010” (un trio per slide atonale, voce mutevole e batteria, sospeso in un vuoto panico che piacerebbe a Stephen O’Malley).
Mai così polistrumentisti, fattucchieri, sacrileghi e pure un po’ farseschi, Stefania Pedretti e Bruno Dorella confezionano la parata perfetta del paradosso del rock italico recente. Rimane il loro disco più minuzioso, con meno intasamenti verbosi e una certa attenzione per l’effetto sorpresa. Lancio definitivo oltre i confini nazionali. Accompagnato da un disco di remix a cura di Daniele Brusaschetto (“OvO rmxd”; Blossoming Noise, 2008), una sorta di aliena retrospettiva in cui si diverte a riprocessare le piece del duo.
11/02/2009